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Letta impara dalla Troika: avanti per diktat

Il presidente del Consiglio Enrico Letta ha inteso mandare un “forte” segnale politico ai partiti e a tutti quelli che recalcitrano in tema di riforme istituzionali. Il messaggio e’ stato chiaro, come un diktat: se entro 18 mesi la grande riforma costituzionale non viene avviata, il premier darebbe le dimissioni aprendo così una crisi il cui unico sbocco sarebbe il “tutti a casa” e nuove elezioni.
Intervistato alla trasmissione ”Otto e mezzo” su La7, Letta “il giovane” ha sottolineato, come secondo lui, il governo potrebbe arrivare alla fine della legislatura “superando la montagna delle riforme istituzionali”.
Un intervento perfettamente allineato con gli analoghi diktat e il pressing del Quirinale. Oggi il Consiglio dei Ministri discute di un disegno di legge costituzionale che definirà la cosiddetta road map della riforma (curiosa la mutuazione del linguaggio politico utilizzato per la crisi in Medio Oriente).
Il disegno di legge riguarderà sia il Comitato dei 40 (20 deputati e 20 senatori) che dovra’ definire un testo di riforma costituzionale da portare poi alla Camera e al Senato.
Definiti anche i tempi: 4 mesi per il lavoro del Comitato. Se non approderà ad una definizione convergente si passera’ comunque alle aule parlamentari, che saranno chiamate a fare la scelta tra i diversi sistemi in discussione. Balza agli occhi una prima forzatura. Il disegno di legge in questione vedrà ridotto a un solo mese l’intervello di tre mesi previsto per l’approvazione di leggi costituzionali.
Se non dovesse funzionare, perche’ qualcuno di mette di traverso, scatterebbe la minaccia della caduta del governo con il tutti a casa e l’ipoteca delle elezioni anticipate.
Nel percorso viene coinvolto anche un altro soggetto: la Commissione dei 35 saggi composta da vari esperti che dovrebbe aiutare a mettere a fuoco un nuovo impianto costituzionale.
All’orizzonte si affacciano almeno tre opzioni: quella del premierato forte (modello inglese), semipresidenzialismo alla francese, cancellierato tedesco. In quest’ultimo caso però con un addentellato peggiorativo rispetto alla Germania che vada ben oltre sbarramento al 5% che ha dimostrato di poter consentire l’accesso alla rappresentanza ad un ventaglio di partiti più ampio di quello obbligato dal bipartitismo. Un modello dunque ritenuto troppo democratico per le esigenze di governabilità delle classi dominanti nel nostro paese.
Le opzioni preferite dai poteri forti sembrano quindi quelle che portano alla scelta tra semipresidenzialismo e governo del premier. Una governabilità totale che innestata su una situazione politica e sociale come quella italiana presenta non uno ma moltissimi rischi di autoritarismo. Un pericolo per la democrazia? Si…. ma ce lo chiede l’Europa, o meglio l’Unione Europea.

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