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Aministia e indulto, “li vuole l’Europa”

 

Lo vuole l’Europa… Non solo economia e tagli alla spesa pubblica, non solo obbligo di pareggio di bilancio inserito nella Costituzione. L’eterodirezione dell’Unione Europea investe direttamente anche la gestione della sicurezza sociale, in questo caso – e verrebbe da dire per fortuna – la situazione delle carceri italiane; una sentina senza luce su cui tutti i governi hanno speculato per decenni in nome della “linea dura” nei confronti del generico malessere sociale, dell’opposizione di piazza, della micro e della macro criminalità, ecc.

 

Un calderone in può finir dentro di tutto, senza alcuna distinzione, in nome di un concetto astratto di “legalità” che ha smarrito completamente le coordinate per mettergli di fianco l’idea di “giustizia” e poter così apprezzare la differenza. O l’abisso che separa le due cose.

 

Giorgio Napolitano, nel primo messaggio alle Camere in otto anni passati sul Colle, ha richiamato il Parlamento a metter mano a provvedimenti anche “straordinari” per riportare le condizioni di prigionia in questo paese dentro i parametri continentali. Impresa non facile, visto il degrado assoluto esistente da noi.

 

Il problema è che le argomentazioni usate da Napolitano pescano a piene mani nella migliore cultura giuridica, ma lo scopo concreto appare quantomeno compromesso dalla coincidenza con le vicende private di Silbio Berlusconi. Cui lo stesso Napolitano vorrebbe poter garantire la “liberazione” anticipata persino rispetto a una detenzione domiciliare o all’”affidamento ai servizi sociali”, se non altro per assicurare al “suo” governo una vita più lunga o almeno non così travagliata.

 

Insomma: ben pochi si interessano davvero della pessima vita condotta dalle decine di migliaia di poveri cristi che affollano le galere, ma questa vita orrenda diventa un’ottima “arma di distrazione” per far passare norme in grado di aiutare fondamentalmente “l’unico Detenuto” eccellente che possa pesare sulla politica nazionale.

 

Con questo evidente non detto alle spalle, il discorso del presidente è stato da tutti letto come un gioco di sponda. E gli strumenti straordinari inevitabili per ripulire a fondo le prigioni dalla parte più consistente e fragile di umanità che le popola – amnistia e indulto – sono finiti per apparire soprattutto strumenti del “privilegio” di un solo Potente.

 

Leggiamo: una situazione “intollerabile” la cui soluzione è diventata “inderogabile”, che “umilia” il paese davanti alla comunità internazionale, “mortificante” e in violazione del dettato Costituzionale. E in effetti l’Italia è già stata condannata dalla Corte di Strasburgo, nel gennaio scorso, con un “ordine” di risolvere la situazione entro il maggio 2014.

 

Napolitano si dice costretto a “mettere in evidenza come la decisione della Corte di Strasburgo rappresenta la mortificante conferma della perdurante incapacità del sistema italiano di garantire i diritti elementari e la sollecitazione pressante ad imboccare una strada efficace”. Del resto, nel 2011 erano rinchiusi 64.758 detenuti a frnte di una capienza di 47.615 posti. Numeri che rendono impossibile qualsiasi “trattamento umano”.

 

“Le istituzioni e l’opinione pubblica non possono scivolare nell’indifferenza convivendo con una realtà di degrado civile e sofferenza umana”. Ma i tempi stretti e le divisioni politiche infinite non consentono di immaginare una riforma penitenziaria e della repressione di ampio respiro. E quindi diventa “opportuno” varare un provvedimento di amnistia e uno di indulto, perché questo “permetterebbe di conseguire rapidamente i seguenti risultati positivi: l’indulto avrebbe immediato effetto di ridurre popolazione carceraria”, e “l’amnistia permetterebbe di estinguere procedimenti per fatti bagatellari”; quindi “permetterebbe di ridurre i tempi di custodia cautelare”.

 

Motivazioni di ordine “gestionale”, più che di civiltà giuridica, ma utili a smuovere anche i forcaioli più ottusi. Si distinguono in negativo, in questo caso, i grillini; che dimostrano come la malapianta ideologica della “legalità al posto della giustizia” partorisca mostri pieni di limiti e proprio per questo “socialmente pericolosi”.

 

 

Napolitano si spinge a teorizzare una “decisiva depenalizzazione” senza specificare per quali reati (ovviamente tutti “bagatellari”, ma la definizione di quali siano tali è altamente soggettiva). Da parte nostra, per esempio, pensiamo che quasi tutte le contestazioni di “resistenza a pubblico ufficiale” siano una semplice spada di Damocle pendente sulla testa di chiunque si trovi ad aver a che fare con un “agente”. Ma dubitiamo fortemente che Napolitano sia d’accordo con noi…

 

Le proposte più efficaci in termini numerici, anche di effetto quasi immediato, si dovrebbero però concentrare sulla “esecuzione della pena”; riprendendo il ventaglio di istituti che quasi 40 anni fa vennero inseriti nella cosiddetta “legge Gozzini” (in realtà scritta quasi per intero su indicazione dell’allora presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze, Alessandro Margara). Le cosiddette pene alternative alla detenzione, come gli arresti domiciliari o l’affidamento ai servizi sociali, la “messa alla prova come pena principale”.

 

“Fermo restando l’esclusione dall’amnistia dei reati di particolare allarme sociale come la violenza contro donne non ritengo che il capo dello Stato debba indicare le singole fattispecie da escludere: la perimetrazione dell’amnistia rientra nelle competenze esclusive Parlamento”. Che si troverà quindi a dover stabilire se e come le “pene del Cavaliere” possano essere sublimate senza far apparire questa come l’ennesima “legge ad personam”. Mentre invece ci sarebbe bisogno di concentrarsi sulle sofferenze vere di decine di migliaia di persone, italiane e non.

 

 

 

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