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Riprendiamoci il futuro, rompiamo l’Unione Europea

Rete dei Comunisti

 

Di seguito pubblichiamo le conclusioni del convegno “Fuori dall’Unione Europea: una proposta politica per il cambiamento” e l’appello finale sulla quale la Rete dei Comunisti continuerà nei prossimi mesi una capillare campagna di informazione, dibattito e iniziativa politica nei territori e tra i movimenti politici, sociali e sindacali.

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La Rete dei Comunisti con i due giorni di convegno internazionale del 30 novembre e del 1 dicembre ha parlato di strategia, perché oggi la politica non può essere che costruzione di una prospettiva, un progetto che pensa e costruisce il futuro sulla base di una rottura antimperialista, di classe e rivoluzionaria.

Occorre sottrarsi, dunque, a un modello di competizione globale sempre più aggressiva che sta trascinando il pianeta in una nuova escalation bellica e che potrebbe sfociare, come già avvenuto nel secolo scorso e ancor più tragicamente, in una nuova guerra mondiale.

Una rottura che non può che verificarsi a partire dall’anello debole, cioè sfruttando le contraddizioni che il processo d’integrazione europea produce inevitabilmente. Gli appelli all’unità della classe lavoratrice continentale da questo punto di vista possono risultare belli, ineccepibili dal punto di vista teorico e anche appaganti, ma non sono sufficienti per la genesi e le caratteristiche del processo di costruzione del superstato europeo.

Siamo così convinti del fatto che non è più possibile e auspicabile il ritorno ad una dimensione di stato nazionale, è per questo che la nostra proposta considera fondamentale la dimensione sovranazionale: nessuna rottura unilaterale ma la costruzione delle condizioni per una fuoriuscita che prepari la rottura. Non solo l’UE è irriformabile ma la storia del movimento operaio e delle forze rivoluzionarie insegna che è a partire dagli anelli deboli che si costruisce la rottura e il cambiamento.

E’ vero che anche i lavoratori dei paesi centrali soffrono attacchi da parte di una borghesia sempre più forte e organizzata, ma è anche vero che il processo d’integrazione e gerarchizzazione dello spazio europeo produce una diversa collocazione delle classi popolari dei singoli paesi; in questo senso è vero che la Ces o il sindacato e i partiti tedeschi di centrosinistra stanno subordinando le classi popolari dei paesi del centro dell’UE agli interessi delle borghesie dominanti in fase d’integrazione, ma questo può avvenire solo perché esiste una stratificazione sociale oggettiva ed una collocazione di queste stesse classi sociali che le rende (per l’appunto oggettivamente) consonanti con gli interessi delle rispettive borghesie.

La nostra è – dunque – una proposta politica: la capacità di trasformare la critica in accumulazione di forze, in azione, in conflitto. Occorre che la politica riassuma la sua funzione e che i comunisti e le forze antagoniste sappiano interpretare gli interessi popolari e anche di quelle classi e ceti sociali che oggi subiscono processi di proletarizzazione che le spingono verso pulsioni populiste nel migliori dei casi ma spesso di natura nazionalista, xenofoba e fascista.

La nostra proposta mira al cambiamento: tra le vertenze e i conflitti quotidiani (spesso con carattere difensivo di fronte agli attacchi feroci che subiamo dal capitale) e la proposta alta del socialismo non c’è nulla. Manca un progetto che miri sì alto e lontano nella sua identità altra ma che al tempo stesso sia credibile e possibile e che unifichi le lotte e le orienti verso un progetto di rottura non solo con l’UE ma anche con i meccanismi coercitivi del modo di produzione capitalistico avviando una fase di transizione nei modi e con i ritmi che il contesto, il qui ed ora, permettono.

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Di seguito l’appello della RdC letto nelle conclusioni:

“L’Unione Europea, lungi dall’essere la manifestazione politica del continente europeo, rappresenta l’architrave istituzionale ed economica attraverso cui le classi dominanti tentano di costruire un blocco di natura imperialista adatto a rivaleggiare con gli altri poli geopolitici in un’epoca in cui la crisi sistemica del capitalismo sta acuendo e accelerando la competizione globale.

L’Ue non è affatto un qualcosa di naturale, e l’integrazione aggressiva che le sue istituzioni perseguono non è affatto un processo ineluttabile.

L’UE è un’area economica e monetaria incentrata sull’esigenza esportatrice del modello tedesco che sta rapidamente realizzando un processo di gerarchizzazione dello spazio europeo, con la formazione di un centro dominante e di una periferia sottomessa, che coincide in buona parte con i cosiddetti Piigs – Portogallo, Italia, Irlanda, Spagna, Grecia – e Cipro.

In nome della riduzione del loro deficit questi paesi sono stati costretti negli ultimi anni a sottoporsi ad una cura a base di tagli, disoccupazione di massa, privatizzazioni e svendita dei beni comuni, licenziamenti nella pubblica amministrazione, precarizzazione dei rapporti di lavoro, riduzione dei diritti dei lavoratori, allungamento dell’età lavorativa, riduzione degli spazi di democrazia e annullamento della sovranità.

Ovviamente la cura non ha funzionato, ed oggi i paesi sottoposti ai diktat e ai meccanismi coercitivi dell’Unione europea vedono la propria economia distrutta, le proprie popolazioni impoverite, le proprie aziende chiuse oppure svendute ai grandi gruppi industriali della Germania, della Francia e degli altri paesi del nucleo dominante dell’UE.

Di fronte a questa devastazione delle economie e delle società dei paesi europei trasformati in periferie interne – al pari di quelle esterne (la sponda meridionale ed orientale del Mediterraneo) depredate delle loro risorse e sottomesse a un processo di espropriazione della sovranità – occorre opporre un’alleanza sociale e politica che ponga l’obiettivo della rottura di questo meccanismo e della creazione di un altro modello di integrazione che sia basato sull’eguaglianza, sulla solidarietà e sulla reciprocità, a partire dalla fuoriuscita dall’Eurozona e dalla creazione di una nuova moneta comune.

Una nuova alleanza euro-mediterranea che metta in discussione i dogmi del modo di produzione capitalistico per come questo si configura nello spazio europeo e mediterraneo nell’epoca della competizione globale. Una nuova alleanza sovranazionale che restituisca sovranità ai popoli, che rifiuti di pagare il debito nei confronti di banche e istituti finanziari liberando così ingenti risorse da destinare a grandi piani di investimento nello stato sociale e nella cura del territorio; che inverta la rotta della deindustrializzazione e delle privatizzazioni attraverso un piano di nazionalizzazione delle banche e delle imprese di importanza strategica.

Una nuova alleanza che si sottragga alle alleanze militari – Nato ed Esercito Europeo – e al meccanismo sempre più intollerabile della corsa agli armamenti e degli interventi bellici scatenati negli ultimi anni con sempre maggiore frequenza.

 

Oggi è impensabile un’ipotesi di fuoriuscita solitaria dei singoli paesi dall’Unione Europea con il loro ritorno alla moneta nazionale preesistente all’introduzione dell’Euro perché inattuabile e pericolosa. A una ipotesi nazionalistica, egoistica e xenofoba promossa dalle forze di destra e di estrema destra e da alcuni spezzoni delle borghesie dei paesi penalizzati dal processo di integrazione e di gerarchizzazione promosso dall’Ue, contrapponiamo una proposta alternativa di rottura e di integrazione progressista e rivoluzionaria, di natura solidale e internazionalista, che sappia parlare anche alle classi lavoratrici dei paesi del nucleo imperialista indicando la via del conflitto e della costruzione di un futuro degno per tutti i popoli del continente.”

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