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Storie di esilio. Un appello per Enrico Villimburgo

Enrico Villiburgo, ex militante delle BR, rifugiato in Francia sta male. Qui di seguito un appello per dare una mano e per non perdere la memoria nè la solidarietà.

Molti militanti delle formazioni armate, più di un trentennio fa, hanno preso un treno e sono partiti. Alla fine del 1980, una massiccia ondata, la prima di quelle che avrebbero caratterizzato il decennio successivo, sbarcava in Francia, con l’urgenza di mettere il più di chilometri possibile di distanza con una Italia che si stava avvitando in una spirale di violenta repressione. Al primo respiro di sollievo in suolo di Francia, ne sono seguiti molti altri, a ogni libertà provvisoria concessa, a ogni avviso sfavorevole emesso dalle Chambres, a ogni decreto d’estradizione non firmato. Di fatto, tra un sospiro e l’altro, si è arrivati a credere che la promessa di François Mitterrand fosse una di quelle serie. Il gruppo degli italiani, difficile definirli comunità, si andava ingrossando ed inventava le più diverse forme di sopravvivenza, insomma investiva il proprio futuro su una dichiarazione ufficiosa. Intorno, si creava la solidarietà della terra d’accoglienza, che seguiva con estrema attenzione le vicissitudini del paese Italia e le sue derive autoritarie. A lustri di calma piatta si alternavano arresti adrenalinici, e gli italiani zampettavano verso i tribunali, valutando il passare del tempo dalle borse stile mercato rionale sotto gli occhi, le tempie ingrigite, uno spessore allarmante del giro vita. Nel 1998, lo spettro Europa cominciò a battere i suoi colpi dal tavolino di Shengen; partirono tre ordini di arresto e gli italiani si svegliano, o meglio vengono svegliati da un tam-tam ben allarmato. E la storia si ripete: prigioni, solidarietà, tribunali ed alla fine l’ulteriore respiro di sollievo, questa volta più udibile: con la messa in libertà dei tre arrestati, arrivarono decine di permessi di soggiorno, che avevano trovato sino ad allora la negativa più ferma, quanto incomprensibile della prefettura. Si poteva andare avanti, restando aggrappati a un puro istinto di sopravvivenza. Dall’altra parte della frontiera, si aggiustava il tiro, nel senso del tiro al piccione. Il concorso del giornalismo ha regalato un’apparenza di legittimità ad una montagna di luoghi comuni a proposito degli italiani in Francia (e di un numero più ristretto altrove), trasformando una storia collettiva in un romanzo d’appendice.

L’esilio dorato, per citarne uno, quando lo si incontra scritto e sempre maiuscolo, riesce sempre a stupire: dorato? Basterebbe pensare a Dante, che pur non essendo obbligato a scavalcare le Alpi, trovava alquanto salato “lo pane altrui”. In verità gli italiani diventano oggetto di interesse solo nell’emergenza. O meglio così è stato sino all’estradizione di Paolo Persichetti, quando alla spontanea solidarietà dei suoi colleghi universitari si sono aggiunte le iniziative più diverse.

Ma la reazione più diffusa è stata di stupore e incredulità: dopo vent’anni ritornava il problema degli italiani rifugiati, peggio di guerre stellari! Poi in ordine di tempo è toccato a Cesare Battisti, poi a Marina Petrella. E non dimentichiamo la vergognosa estradizione di Rita Algranati dall’Algeria. La possibilità che in Francia era stata offerta, vivere liberi e preservare la propria memoria, al riparo per quanto possibile da pressioni e ricatti, è stata di nuovo messa in discussione. Oltre frontiera, opinionisti e politici puntarono di nuovo l’indice accusatorio verso la Francia e spesso più si collocano a sinistra e più sono incarogniti. Alla faccia della laicità della critica, qui siamo al peggio del dogmatismo religioso; di fronte a tanta pervicace ostinazione, una sola spiegazione è possibile: non vogliono capire, vogliono punire, schiacciare, umiliare. Eppure continua a restare incomprensibile cosa ci sia di gratificante nell’aver salvato l’Italia dal pericolo “terrorista” per consegnarla a Berlusconi, Fini, Bossi…

Intanto per gli scampati si vive solo il presente, che sia presente del passato, presente del presente, presente del futuro; ma in questa vicenda degli italiani esiliati, è come se tutto restasse sospeso in un tempo senza distinguo fra passato e presente e futuro. Per ritornare all’inizio, i treni che hanno portato in salvo in terra di Francia gli sbaragliati delle lotte armate italiane, sono ancora fermi al binario con il loro carico di salvi a metà, liberi a metà; da questi treni vorrebbero finalmente scendere.

Uno di loro è Enrico Villimburgo. Enrico è stato un militante della colonna romana delle BR. Uno di quelli che si è sottratto alla mannaia delle condanne infinite. Uno di quelli la cui condanna non scade. Adesso Enrico è malato e ha bisogno del sostegno che il piccolo gruppo di compagni che si stanno prendendo cura di lui non sono più in grado di garantire per intero.

Per sostenere Enrico:

 IBAN   IT04P0503437750000000000577  intestato a Manuela Villimburgo.

Specificare nella causale: “per Enrico”

c/o BANCO POPOLARE – FILIALE DI BORGO SAN LORENZO (FI)    –   VIA L. DA VINCI, 42

Novembre-dicembre 2013                                              

Le compagne e i compagni di Enrico

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