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Il tentato golpe dell”8 dicembre, “L’Immacolata”

 

La giornata di “mobilitazione nazionale degli italiani” del prossimo 9 dicembre, dovrebbe iniziare nella notte dell’8 dicembre, il giorno dell’Immacolata. Gli organizzatori, tra cui abbiamo individuato ed indicato parecchi esponenti e organizzazioni neofasciste, hanno scelto questa data per pura casualità? Può essere, ma può essere anche per riconnetterla ad un episodio gravissimo e inquietante della guerra di bassa intensità scatenata nel nostro paese contro la sinistra da parte degli apparati dello Stato, organizzazioni neofasciste e apparati statunitensi. Ci riferiamo al tentato colpo di stato della notte dell’8 dicembre 1970.

 

 

A leggere i nomi dei soggetti coinvolti nel tentato golpe – e che emersero dalla successiva inchiesta – si capisce benissimo che quello che si tentò di attuare nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 fu il più serio tentativo di colpo di stato nella storia italiana. Il più serio, non il più riuscito, a questo ci hanno pensato in tempi assai più recenti Draghi, l’Unione Europea e i governi Monti e Letta fortemente voluti e sostenuti dal Quirinale.

 

 

Il “Golpe Borghese” o “Golpe dell’Immacolata”, rappresenta uno dei tanti episodi più gravi della stagione delle stragi di stato o della “strategia della tensione” come è stata ribattezzata. Una parte della DC, partito-stato dell’epoca era disponibile a trasferire sul “fronte interno” la guerra fredda in corso a livello internazionale tra Usa e Urss. Nell’Europa mediterranea, in Grecia, Spagna e Portogallo (i Pigs di oggi) nel 1970 c’erano ovunque dittature militari, il franchismo in Spagna, i colonnelli in Grecia, il salazarismo in Portogallo. E in Italia? In Italia c’era invece il Partito Comunista Italiano, il più forte dell’Europa occidentale e una sinistra extraparlamentare molto ampia e radicata.

 

Il piano golpista era già stato messo a punto ed i gruppi operativi erano già stati creati nel 1969. Il piano prevedeva l’occupazione del Viminale, del Ministero della Difesa, il rapimento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e l’assassinio del Capo della Polizia Angelo Vicari. Gruppi armati avrebbero dovuto inoltre impossessarsi delle sedi della RAI per permettere la lettura, ad operazione avvenuta, del proclama da parte del promotore principale dell’impresa. Tra questi il “principe nero”, Junio Valerio Borghese. Nome forte e rispettato, comandante di sommergibili e gruppi incursori durante la seconda guerra mondiale, comandante della X MAS dall’armistizio del 1943 al 1945, fondatore del movimento di estrema destra “Fronte Nazionale”; fu suo il famoso ordine che bloccò l’intera operazione mentre questa era in pieno svolgimento, un ordine di cui non si conoscono né motivazione ne l’eventuale mandante. L’opinione pubblica venne informata dei fatti solo nel marzo del 1971. Il processo iniziò nel 1977 e si concluse nel 1984 con l’assoluzione in appello di tutti i 46 imputati “perché il fatto non sussiste”, ma nella sentenza venne comunque rilevato che l’accaduto “non fu certamente riconducibile a uno sparuto manipolo di sessantenni”. Junio Valerio Borghese se ne era già andato, morì a Cadice, in Spagna nel 1974, dove riparò nelle ore immediatamente successive al fallito golpe al riparo nel paese dominato dalla dittatura franchista.

 

La memoria corta di molti e il fatto che non se ne parli più o poco, non significa che fu un episodio da barzelletta, tantomeno in un paese come l’Italia. Oltre a Borghese, vi sono forti indizi che l’azione godette dell’appoggio di Gladio, dei membri della P2 di Licio Gelli e dei vertici della mafia siciliana nelle persone dei boss Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate, oltre che del silenzio assenso del capo del SID (Servizio Informazioni Difesa) generale Vito Miceli e di ambienti del Dipartimento di Stato americano. Stando alle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta furono i due boss ad ordinare il rapimento del cronista siciliano Mauro De Mauro, sequestrato nel settembre 1970 e mai più tornato a casa. De Mauro, cronista de “L’Ora” di Palermo ed ex combattente della Decima Mas, già nel mirino di Cosa Nostra per le sue indagini sulla morte di Enrico Mattei, ma la sua sorte sarebbe stata segnata dal presunto scoop sul golpe dell’Immacolata, su cui pare sapesse parecchio, e sul quale non mancò di vantarsi con i colleghi di redazione.

 

Al golpe dell’Immacolata non mancò ovviamente l’appoggio di altri movimenti di estrema destra come “Avanguardia Nazionale”, fondato nel 1960 da Stefano Delle Chiaie. Lo stesso Delle Chiaie venne accusato, al processo per il golpe dell’Immacolata, di aver guidato il primo manipolo di golpisti dentro il Viminale, accusa infondata visto che lo stesso Delle Chiaie dimostrò che all’epoca dei fatti si trovava in Spagna. Il suo nome attirò nuovamente l’attenzione degli inquirenti che indagavano sulle stragi di Piazza Fontana del 1969 di della stazione Bologna del 1980. Per i fatti di Piazza Fontana su Delle Chiaie fu spiccato un mandato di cattura internazionale, visto che all’epoca faceva la spola tra Spagna e Sud America dove continuava la sua l’attività fiancheggiando le giunte militari di tutta l’America Latina (dal Cile alla Bolivia all’Argentina).. Estradato in Italia nel 1987 venne processato e assolto da tutte le accuse. Lo scomparso Andrea Barbato disse di lui: “Lei è un imputato particolare, o è un colpevole molto fortunato o è un innocente molto sfortunato”. Ai militanti di Avanguardia Nazionale si sarebbero aggiunti anche quelli del già citato “Fronte Nazionale” di Borghese e del “Movimento Politico Ordine Nuovo”, fondato da Pino Rauti e poi passato nelle mani di Clemente Graziani e Sandro Saccucci dopo il rientro di Rauti nell’MSI.

 

Anche dagli ambienti militari non mancò il supporto all’operazione. Tra i luogotenenti di Borghese vi erano il generale dell’Aeronautica Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio, che presero posizione nei pressi del Ministero della Difesa garantendo di avere il beneplacito del Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, il generale Fanali. Il maggiore Luciano Berti, alla testa di un gruppo di 187 allievi cadetti del Corpo Forestale partì da Città Ducale e si appostò nei pressi della sede della RAI, azioni simili erano già previste a Venezia, Milano, Reggio Calabria, Verona, in Toscana ed in Umbria. Tutto sembrava pronto, si attendeva solo il segnale convenuto, che poi era la parola d’ordine “Tora Tora Tora” , la stessa dell’attacco giapponese a Pearl Harbour nel 1941.

 

Ma la notte dell’8 dicembre arrivò un contrordine. Invece del via libera al golpe tanto atteso, Junio Valerio Borghese ordinò il rientro immediato dell’intera operazione. A tutt’oggi nessuno conosce con certezza i motivi di tale decisione, l’unico fatto certo fu che Borghese certamente obbedì ad ordini superiori, ma egli si rifiutò fino alla morte di parlarne con chiunque, compresi i suoi più stretti collaboratori. Il processo non ha chiarito molto su questo aspetto e tanto meno come sia stato possibile che tale disegno sia stato concepito in maniera così meticolosa e senza il minimo intoppo all’interno stesso degli apparati dello Stato. Le ipotesi si sprecano: da un lato si pensa al mancato appoggio, che venne a mancare ad operazione in corso da parte di uno dei settori più importanti del progetto golpista: l’ Arma dei Carabinieri,.

 

Interessante in questa vicenda fu anche il ruolo del colonnello dell’esercito Amos Spiazzi (finito nelle indagini per la Rosa dei Venti e oggi animatore di un gruppo di destra). Secondo i sostenitori dello scenario del golpe la notte egli mosse da Milano con una colonna di militanti con lo scopo di occupare Sesto San Giovanni; a suo dire invece, a Borghese fu tesa una trappola, il golpe sarebbe stato utilizzato dalla DC per emanare leggi speciali, e fu lui stesso a telefonare a Borghese avvisandolo dell’imminente pericolo, in quanto l’esercito aveva già avviato la cosiddetta “Esigenza Triangolo”, a supporto delle forze dell’ordine contro eventuali disordini. Secondo Amos Spiazzi, le forze politiche nazionali più legate e devote agli Stati Uniti volevano e dovevano continuare a governare l’Italia a qualunque costo e con qualunque mezzo. Le minacce di colpi di stato erano un pericolo inventato, un modo per poter tenere in piedi un sistema di polizia. In breve, una dittatura pluripartitocratica, a detta di Spiazzi, che “da sessant’anni governa l’Italia non tenendo conto del volere dei cittadini”.

 

A leggere i documenti in circolazione per la “rivoluzione del 9 dicembre” i discorsi non sembrano molto diversi, fortunatamente e al momento, senza militari coinvolti direttamente.

 

 

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