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La fiction torinese contro i No Tav

Un grande sceneggiato si aggira per l’Italia. Non ci riferiamo alla fiction-spazzatura “Gli anni spezzati” (che dopo aver dato “il meglio di sè” rovesciando le parti sulla morte di Giuseppe Pinelli e la figura del commissario Luigi Calabresi – è già crollata nel già visto con la puntata dedicata a Mario Sossi). Stiamo parlando invece del melodramma che ha per protagonisti il senatore Stefano Esposito, del Partito Democratico, e il giornalista Massimo Numa, de La Stampa. Il primo teoricamente erede della tradizione Pci-Dc, il secondo noto in gioventù per un fervente libretto in onore di un repubblichino fascista, entrambi in prima fila per il “sì Tav” e la criminalizzazione del movimento in Val Susa.

I giornali di oggi – non tutti, perché la “storiella” puzza così forte da consigliare prudenza anche a molti cronisti mainstream – raccontano le sventure congiunte dei due. Il senatore avrebbe ricevuto fuori della sua porta di casa una busta di spazzatura contenente ben tre molotov, il secondo sarebbe stato pedinato e filmato “per anni” mentre porta a spasso il cane, o in altre scenette familiari.

Scandalo, condanna, solidarietà, indignazione. E soprattutto: allarme, “il terrorismo” è alle porte!

Alcuni di noi non sono giovanissimi e ne hanno viste di tutti i colori, negli ultimi 50 anni. Quindi un po’ di “esperienza” l’abbiamo conservata. E sappiamo distinguere – non “a naso”, ma studiando fatti e/o testimonianze – i fatti dalle sceneggiature. Sappiamo insomma che nella letteratura può accadere di tutto, nella realtà i limiti “fisici” si fanno sentire con molta forza.

Vediamo dunque cosa è successo e come “ce la raccontano”.

Dice Esposito, in una chiacchierata all’Huffington Post italiano, che il giornalista Numa si è recato a trovarlo a casa, alcuni giorni fa, per fargli vedere o parlargli di un video messo in rete (su Vimeo), dove viene sintetizzata la sua vita quotidiana, le sue abitudini, le sue auto, ecc.

Già qui sorge un problema: un cronista di “nera” come Numa conosce e frequenta – per puro mestiere, sia chiaro – più poliziotti e giudici che non persone normali. Dalla mattina alla notte, insomma. Deve contattare “uomini della legge” per verificare le notizie in suo possesso, farsene dare di nuove o fornirne a sua volta (questo tipo di “fonti” sono molto esigenti con i giornalisti che costruiscono la propria carirera – e il relativo stipendio – sulle “soffiate” provenienti da questure e tribunali). Possibile che la prima persona che gli viene in mente di contattare, quando scopre il minacciosissimo video, è il senatore Esposito?

Vabbeh, passiamoci sopra. Presumiamo che la scoperta l’abbia “turbato” e quindi fatto agire in modo irriflessivo.

Prosegue, Esposito, raccontando all’HuffPost che non l’ha ricevuto in casa, ma sarebbe sceso con lui in strada, anzi “ai giardinetti” vicini la propria abitazione. Forse per non allarmare i familiari… Questo piccolo episodio “privato” sarebbe stato però a sua volta “visionato” da ignoti para-terroristi “legati ai No Tav”. Gli stessi che gli avrebbero fatto trovare le molotov sul pianerottolo, fuori la porta.

Sorvoliamo anche sulle “certezze” che Esposito e Numa nutrono sulla matrice di video e molotov. Restiamo sulle loro dichiarazioni e sugli articoli cui fanno da “fonte” (come quello apparso su La Stampa; non è una presunzione eccessiva ritenere che il collega Laugeri abbia estesamente consultato Numa per riportarne la storia).

Il video – come descritto dall’articolo – sintetizzerebbe “Tre anni di «indagini» (poi scesi a due, in tarda mattinata, ndr). Pedinamenti, inseguimenti in auto, appostamenti. Ore di registrazioni, poi sintetizzate in un video di 4 minuti, inviato alle 16,22 dell’8 gennaio a una mezza dozzina di indirizzi mail di altrettanti media nazionali e sulla casella elettronica personale di Massimo Numa, il cronista de «La Stampa» preso di mira.

Vive sotto scorta dal 3 ottobre, quando gli è stato recapitato in redazione un hard-disc (scusate, l’ha scritto proprio così, ndr) imbottito di «nitrocellulosa». Per uccidere”.

Sentite anche voi quella musichetta inquietante che “entra” sempre nei momenti topici di un qualsiasi film? Beh, anche noi. Il problema ci sembra abbastanza semplice, quasi aritmetico. Una “indagine” di tre anni, in una città come Torino e con “obiettivi” come Numa – da oltre tre mesi sotto scorta! ovvero accompagnato quotidianamente da diversi agenti di polizia o equivalenti – richiede una quantità sconcertante di “forza lavoro”. Insomma: persone (“terroristi”, quindi dotati di una certa “professionalità operativa”, visto che il “cronista di nera” non si è accorto di nulla per ben 36 mesi) che passano ore nei pressi delle sue finestre di casa o lavoro (La Stampa, non proprio un luogo dove si possa stare a lungo senza essere notati…), si danno i turni (anche un “terrorista”, dopo un po’ di ore, dovrebbe chiedere il cambio), si alternano nell’”inseguimento in auto” (anche il più distratto di voi, se vede una macchina che fa il suo identico percorso per mezz’ora, comincia a mangiare la foglia…), vengono sostituite se hanno l’impressione che “l’obiettivo” li abbia notati, ecc. Il tutto in un ambiente metropolitano saturo di telecamere, cellulari, controlli di polizia, intercettazioni telefoniche, ecc. Ha quasi del miracoloso…

Facciamo due conti: decine di persone – pardon – “terroristi” che vivono tre anni soltanto per Numa. Gente che ha bisogno di mangiare, di spostarsi, di mettere la benzina nelle macchine usate per gli “inseguimenti”, ecc. Diciamo con una spesa di qualche centinaio di migliaia di euro? Diciamolo…

La domanda sorge immediata: ma dove cavolo la vedete voi un’organizzazione del genere, nell’Italia di oggi?

Soprattutto: quale sarebbe stato lo scopo di questa gigantesca operazione? Mettere un video su Youtube (pardon, Vimeo è un equivalente meno frequentato)? Diamine, che investimento da pirla…

Se invece le riprese fossero state fatte da “amici” dello stesso Numa, magari da un paio delle decine di poliziotti che conosce o che lo accompagnano, allora quelle riprese non sarebbero costate praticamente nulla (e in ogni caso le avreemmo pagate noi, con le tasse).

Quale ipotesi vi sembra più probabile? Potete vincere cinque centesimi ossidati…

Passiamo all’altro eroe della storia. Il senatore Esposito, sull’HuffPost, si dipinge come un uomo stanco di essere sotto tiro, minacciato, isolato. Isolato? Un parlamentare spesso in prima pagina, eletto nel partito-pilastro del governo? Un idolo delle imprese costruttrici della Tav (peccato che alcune siano legate alla ‘ndragheta, ops…)? Uno che ammette – anche lui, che noia – di “vivere blindato”? Uno che “Ho dovuto accettare la scorta e mettere telecamere a casa. E tre mesi fa ho dovuto portare mia moglie a partorire su un’auto blindata. È tutto molto difficile da accettare”.

Alt, fermo immagine, please. “Vive sotto scorta”, e non si potevano nutrire dubbi, visto quante volte aveva provocato “i terroristi” No Tav, arrivando a sfidarli – da molto lontano – a uno scontro fisico.

Altro fermo immagine. “Ha dovuto (accettare che fossero messe) telecamere a casa”. A occhio, lungo la via dove abita, all’interno del portone o delle scale, fuori della sua porta. Più d’una, naturalmente, altrimenti si rischia di fare la stessa figuraccia di Belpietro (altro attentato-fantasma, famoso per qualche giorno e poi finito in qualche cassetto di “scherzi a parte”).

E tutta questa parure di telecamere non ha inquadrato nemmeno di sguincio “il terrorista” – o più d’uno – che ha avuto la sfrontatezza di portare la busta con le molotov sul pianerottolo? Non ci si può più fidare nemmeno della tecnologica, signora mia, tutti complici dei No Tav…

 

Conclusione sintetica. È uno sceneggiato per palati fessi (la stragrande maggioranza, ahinoi, in questo paese e di questi tempi). Fatto male, girato con quattro soldi contando sulla complicità dei media mainstream. Un episodio di costruzione del “nemico pubblico”, che va – con una coincidenza di tempi degna di Hitchcock – insieme alle motivazioni con cui il Tribunale del riesame di Torino ha confermato gli arresti di quattro attivisti accusandoli di “terrorismo” e persino a “Gli anni spezzati”.

A ben pensarci, visto il tratto grossier della trama e delle concatenazioni, gli sceneggiatori sembrano praticamente gli stessi: ex fascisti ed ex Pci “uniti nella lotta”… ai No Tav (Adalberto Baldoni, Luciano Garibaldi e Sandro Provvisionato nel caso della fiction Rai; Massimo Numa, Stefano Esposito e Giancarlo Caselli in quello della fiction Stampa).

Gli “opposti centrismi” al tempo del governo della Troika.

 

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Giornalista pedinato e filmato per 2 anni

Nuova intimidazione al cronista de La Stampa che da ottobre è sotto scorta
per le minacce di estremisti No Tav

Claudio Laugeri

Tre anni di «indagini». Pedinamenti, inseguimenti in auto, appostamenti. Ore di registrazioni, poi sintetizzate in un video di 4 minuti, inviato alle 16,22 dell’8 gennaio a una mezza dozzina di indirizzi mail di altrettanti media nazionali e sulla casella elettronica personale di Massimo Numa, il cronista de «La Stampa» preso di mira.

Vive sotto scorta dal 3 ottobre, quando gli è stato recapitato in redazione un hard-disc imbottito di «nitrocellulosa». Per uccidere.

Qualche mese prima era arrivata un’altra busta esplosiva, poi rivendicata dalla Federazione Anarchica Informale (Fai), la stessa «cellula» dell’attentato all’amministratore delegato di Ansaldo, Roberto Adinolfi.

Secondo gli investigatori della Digos di Torino (coordinati dai pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo del pool antiterrorismo), questa è la sintesi di un’«istruttoria» condotta da elementi di frange estremiste-eversive vicine al movimento No Tav. Una procedura che richiama le tecniche terroristiche per l’organizzazione di un attentato. Un’analisi più approfondita delle immagini ha consentito di ricostruire anche altri dettagli.

Ci sono «frame» che indicano un pedinamento prolungato, anche per ore. In una circostanza, è anche immortalata l’auto di un familiare del giornalista, parcheggiata vicino al luogo di lavoro. Poco prima, la stessa auto era stata seguita dall’uscita di casa per una decina di chilometri, con varie tappe, dalla spesa, alle commissioni, all’ufficio.

Poi, ci sono immagini del cronista che esce di notte dal lavoro con un’altra auto. Anche lui viene pedinato da un’auto, dall’uscita dalla redazione fino a poche decine di metri da casa, nella cintura torinese. E non solo. Il filmato mostra sopralluoghi minuziosi, l’individuazione delle vie d’accesso e di fuga dal possibile obiettivo. In un’occasione, il cronista viene «accompagnato» nella passeggiata che quasi ogni giorno fa con il cane, nella campagna vicino a casa.

Con ogni probabilità, riprese fatte da un telefono cellulare, l’unico modo per non essere individuati. Le immagini sono state girate in tre tempi. Una parte è riferita alla seconda metà del 2011, quando il giornalista utilizzava un fuoristrada, venduto qualche mese dopo. Negli stessi mesi, c’è anche la Fiat «500» cabrio, immortalata dai pedinatori almeno in tre occasioni. E ancora, ci sono i mesi della Lancia «Ypsilon», ripresa di notte all’uscita dal lavoro, con ogni probabilità nella seconda metà del 2013. Nulla del 2012. Lo stesso periodo dell’attentato a Roberto Adinolfi.

Tutto questo poteva essere la premessa di un agguato «in via di pianificazione», come viene definito dagli inquirenti. Ma c’è anche una valenza intimidatoria, estesa nei confronti della famiglia. Accompagnata da didascalie in piemontese, con intento tra il minaccioso e il canzonatorio. Lo scopo da raggiungere è evidente: intimorire il cronista che si occupa di certi argomenti.

Le ultime immagini del video documentano il lancio di razzi e bombe carta nel vialetto di casa, che hanno lasciato ampie bruciature sulla pavimentazione in pietra. Il tutto, alle 2 della notte della Befana. Ai fotogrammi dedicati all’incursione segue la parte che gli investigatori considerano più preoccupante: è l’invito a colpire, con tanto di dati anagrafici, indirizzo completo, numeri di targa delle auto di famiglia, numero di cellulare. Il video è stato postato sul motore di ricerca «Vimeo» è stato poi diffuso dal network Indymedia e ripreso dai social legati all’area estremista del movimento valsusino.

Da La Stampa

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Stefano Esposito: “La mia vita contro i No Tav da spiato e blindato: ecco perché potrei lasciare”

“Eravate proprio belli tu e Numa ai giardinetti: vi vogliamo sempre vedere così”. È questo il post scriptum del biglietto che accompagnava le tre bottiglie molotov ritrovate sul pianerottolo di casa del senatore Pd Stefano Esposito, vicepresidente della commissione Trasporti a Palazzo Madama. Un politico da sempre in prima linea a favore della costruzione della Tav. Mentre Numa, Massimo, è un giornalista della Stampa che si occupa da tempo delle vicende di ordine pubblico legate alla protesta contro l’alta velocità Torino-Lione. Da quasi tre anni è pedinato in ogni suo spostamento come testimonia un video recapitatogli via mail qualche giorno fa. “È un video disgustoso – dice Esposito ad HuffPost -Numa è stato seguito per anni: si può vedere il suo indirizzo, il suo numero di telefono nonché le targhe delle sue auto e la moglie quando va a fare la spesa”.

Esposito è arrabbiato, una rabbia che si mescola a stanchezza. “Massimo mi è venuto a trovare qualche giorno fa – afferma il senatore – per dirmi del video. Siamo scesi nel giardino davanti a casa e mentre parlavamo c’era qualcuno che ci guardava, ci spiava. Non è possibile, sono stufo”. La minaccia delle molotov davanti alla porta del suo appartamento con cui vive assieme alla sua famiglia può essere la goccia che fa traboccare il vaso. Portando il vicepresidente della commissione Trasporti ad abbandonare la politica.

“Non lo farei per paura: questo deve essere chiaro – spiega Esposito -. Però ho una famiglia, tre figli piccoli, e andare avanti così non si può. Ho dovuto accettare la scorta e mettere telecamere a casa. E tre mesi fa ho dovuto portare mia moglie a partorire su un’auto blindata. È tutto molto difficile da accettare”. Il senatore aggiunge: “Andrò a Roma dove ho alcuni impegni, poi entro la settimana deciderò cosa fare insieme alla mia famiglia”.

Ciò che non va giù al democratico piemontese è l’essere stato sempre troppo solo. “Questi gruppuscoli di delinquenti – dice – che con il movimento no Tav non c’entrano nulla e non sanno nemmeno di cosa si parli, hanno avuto gioco facile nell’individuarmi. Ormai sono diventato un simbolo per loro, dato che è da prima delle indagini della magistratura che metto in guardia sulla violenza che poteva crescere attorno alla costruzione della Torino-Lione”. Una battaglia solitaria. “Ovvio che se contrasti queste intimidazioni in maniera corale – spiega Esposito – è più facile avere ragione. Purtroppo ci sono ancora troppi silenzi e troppi distinguo”.

Dall’Huffington Post

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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