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Come muore un paese di imbecilli

Nel proporvi questo articolo pubblicato oggi dal Corriere della sera, ci corre l’obbligo di spiegare per bene le ragioni per cui lo facciamo.

Nelle intenzioni e nella scrittura, questo pezzo di Fiorenza Sarzanini – una delle penne “giudiziarie” più note della stampa italiana – rientra nel genere “corruzione dei pubblici amministratori”, arrivando fino agli impiegati. In questa chiave, dovrebbe essere un tassello nella costruzione dell’immagine del “pubblico” (lo Stato che si impiccia dell’economia, o semplicemente “la burocrazia corrotta e inefficiente”) come il nemico da abbattere, facendo spazio al “privato”, come sempre pulito, efficiente, meritocratico e legalitario.

La realtà – soprattutto quella italiana – si fa però beffe dell’ideologia. Specie di quella miserella, cresciuta tra urli contro “la kastaaaa” e giustizialismo a corrente alternata (“li arrestassero tutti e gettare via la chiave”, mentre quando si viene presi in castagna si grida “alla presunzione di innocenza”, perché in fondo “così fan tutti”).

Quel che emerge con assoluta chiarezza da questo articolo, come da altri su vicende simili, è che c’è una perfetta corrispondenza tra corrotti e corruttori, tra un “privato” che rifiuta in toto la capitalistica “logica del rischio” e un “pubblico” che ritiene la “cosa pubblica” come un  bottino da utilizzare in affari privati. La corruzione culturale della “società civile”, insomma, produce esattamente il tipo di “amministrazione pubblica” che corrisponde alle sue esigenze. Solo i santi possono in effetti resistere alla continua offerta di mazzette in cambio di appalti pilotati, favori non dovuti, sconti tributari o prestazioni gratuite “in nero”. E solo imprenditori “atipici” possono pensare di concorrere a un appalto senza prima aver “aggiustato” l’iter anticipando qualche concorrente.

Prendiamo un esempio semplice: quello dei professori universitari che “accettano consulenze oppure ottengono incarichi in società private”. Da licenziare, certamente. Ma cosa vi aspettavate succedesse quando avete deciso – dal ministro dell’istruzione nominato direttamente da Confindustria (Giancarlo Lombardi, 1995), passando per Luigi Berlinguer, Moratti, Fioroni fino a Gelmini e Profumo) – che “le università dovevano aprirsi alla collaborazione con le imprese”? Pensavate davvero che si sarebbe trattato semplicemente – ed è già un attentato all’istituzione universitaria –  di “sagomare la formazione degli studenti” in modo da sfornarne di più adatti alla messa immediata in produzione?

Da un marciume simile, che coinvolge in pari misura e con pari responsabilità la “massa” dell’imprenditoria privata e i “la struttura delle responsabilità medio-alte” nella pubblica amministrazione (dai ministri che dirigevano le banche ai direttori generali col culo posato su innumerevoli poltrone sia private che pubbliche, dagli amministratori che decidono bandi e gare agli “arbitri” che assegnano gli appalti, ecc), non si esce davvero “privatizzando tutto”.

Il risultato sarebbe uno solo: quello di lasciare entrare tutti i lupi nella stalla, eliminando tutti i “guardiani” con la scusa che alcuni o molti di loro sono corrotti o corrompibili. E’ quello che stanno facendo da venti anni in questo paese. E i risultati si vedono (Telecom, Alitalia, Ferrovie, Italsider-Ilva, per dire solo quelle più note).

Da questo marciume non si esce in modo indolore, con un risultato elettorale “inatteso” che ti costringerebbe in ogni caso a “venire a patti” sia con i corruttori privati che con i corrotti “pubblici”. Uscire da questa situazioni richiede una Rivoluzione. Nulla di meno, per quanto sia difficile. Altrimenti così resti.

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Il rapporto della Guardia di Finanza: per gli appalti truccati perso in un anno più di un miliardo.

Dai prof universitari ai dirigenti pubblici. La truffa del doppio lavoro in nero

Consulenze e prestazioni in conflitto con quelle statali: un danno da 8 milioni

ROMA – Professori e ricercatori universitari che accettano consulenze oppure ottengono incarichi in società private. Alti funzionari di enti pubblici che svolgono attività in concorrenza o in conflitto con i compiti assegnati loro dallo Stato. Enti locali, Motorizzazione civile, Agenzia delle Entrate, Asl: sono migliaia i dipendenti con il «doppio lavoro». Dirigenti o semplici impiegati che, spesso in orario d’ufficio, sono altrove e percepiscono compensi «in nero». È uno dei capitoli del rapporto annuale della Guardia di Finanza sugli sprechi della «spesa pubblica» a destare maggior allarme. Perché si tratta di un fenomeno in crescita che drena le casse dell’Erario. Grave, come quello relativo al settore degli appalti che ha ormai raggiunto livelli da record: le gare «truccate» hanno causato nell’ultimo anno un danno economico di oltre un miliardo e 300mila euro.

«Baroni» e doppio lavoro
Sono decine i professori universitari già accusati di aver ottenuto incarichi in collegi sindacali e commissioni collaudi, ma anche consulenze per la realizzazione di progetti per aziende e addirittura docenze in strutture private. Una grave incompatibilità che – secondo le prime stime – ha provocato un danno di circa otto milioni di euro. Ma nuove indagini sono tuttora in corso su un fenomeno che ha dimensioni ben più ampie e non riguarda soltanto questo settore. Su 1.346 verifiche effettuate negli enti pubblici sono stati scoperti ben 1.704 impiegati con un secondo lavoro, nella maggior parte dei casi retribuito «in nero» e le sanzioni amministrative hanno superato i 21 milioni di euro.
Nella lista c’è un dirigente tecnico di svariati Comuni che faceva l’ingegnere per alcune imprese edili percependo oltre 200mila euro, esattamente come un suo collega impiegato in una Regione che però di euro ne ha presi 600mila. E poi un funzionario della Motorizzazione che effettuava perizie per i privati e un dirigente dell’Agenzia delle Entrate che aveva aperto uno studio da commercialista assistendo clienti che spesso avevano bisogno proprio per le contestazione di evasione fiscale, infermieri delle Asl che in realtà lavoravano in cliniche private.

I «cartelli» di imprese
Grave è la situazione per quel che riguarda gli appalti pubblici. Aumentano i controlli e migliorano i risultati ottenuti con interventi di prevenzione, ma il livello di corruzione dei funzionari che gestiscono settori strategici per l’economia del Paese si mantiene su livelli altissimi. Quello dei lavori Pubblici è certamente uno dei settori di maggiore interesse per chi deve garantire la legalità visto che il volume d’affari stimato dall’Autorità di Vigilanza del 2012 è stato di circa 95 miliardi di euro, equivalente al 5,9 per cento del prodotto interno lordo. Ebbene, nell’ultimo anno sono stati arrestati o denunciati «657 soggetti responsabili di turbata libertà degli incanti e frode belle pubbliche forniture». Dato ancora più eclatante emerge dall’attività svolta dai finanzieri su delega della Corte dei Conti perché «i soggetti segnalati alla magistratura contabile sono 1.186 soggetti e i danni erariali connessi a procedure di appalto un miliardo e 300 milioni di euro». L’illecito più grave, secondo quanto emerge dalla relazione, riguarda la costituzione di «cartelli preventivi tra imprese» che riescono in questo modo a pilotare le gare, oltre naturalmente all’erogazione di mazzette a chi deve materialmente gestire le procedure di assegnazione.
«Altre forme di illegalità – sottolineano gli analisti della Finanza – attengono alla materiale esecuzione dei contratti. In tale fase si annidano frodi nelle pubbliche forniture, inadempienze dannose per la regolare erogazione dei servizi pubblici, indebiti abbattimenti dei costi dell’opera tramite il ricorso al lavoro nero e ingiustificati rialzi dei valori delle commesse durante l’esecuzione, volti unicamente a drenare denaro pubblico in misura superiore a quella originariamente stabilita. Una realtà che si somma ai fenomeni di ingerenza della criminalità organizzata che sfociano in condotte violente o in comportamenti più subdoli di condizionamento dei mercati, con il riciclaggio e il reimpiego di cospicue masse di denaro provento di reato».
Da nord a sud, le modalità per truccare le gare mostrano spesso grande creatività. A Brindisi gli investigatori della Finanza hanno scoperto un’organizzazione formata da imprenditori e funzionari di una Asl che si spartivano i lavori riuscendo a eliminare la concorrenza. «Il meccanismo – è specificato nel dossier – consisteva nell’apertura fraudolenta e successiva chiusura delle buste contenenti le offerte economiche delle ditte, da parte dei componenti delle commissioni di seggio, tutte presiedute dal medesimo dirigente dell’Ufficio Tecnico, prima della procedura finale e nella comunicazione alla ditta “amica” delle informazioni acquisite per consentirle di formulare l’offerta più idonea».
Molto più sofisticato il sistema utilizzato a Monza dai titolari di alcune imprese che sono riusciti a ottenere commesse per 260 milioni di euro: la mazzetta veniva pagata «ai funzionari incaricati di redigere i capitolati di appalto dei vari bandi». I requisiti inseriti erano talmente stringenti da far risultare vincitrice sempre la stessa impresa. Un meccanismo simile a quello utilizzato a Milano da un ex dirigente del Comune che ha «venduto» a un imprenditore disposto a versare tangenti quattro appalti relativi ai servizi per la gestione delle «Case vacanza extraurbane», strutture che generalmente vengono utilizzate per l’accoglienza dei bambini durante il periodo estivo.
In questi casi di cattiva gestione dei fondi pubblici rientrano certamente le frodi su risorse nazionali e all’Unione europea, che possono causare gravi danni all’Italia soprattutto per quanto riguarda l’immagine internazionale. Perché anche nel 2013 si conferma altissima l’entità dei finanziamenti ottenuti per realizzare progetti in realtà inesistenti o comunque dal valore molto inferiore rispetto a quello dichiarato. Il bilancio finale parla di «indebite percezioni o richieste di fondi pubblici destinate al sostegno delle imprese pari a un miliardo e 400 milioni di euro».
Di questi, quasi un terzo provengono dall’Ue. «L’attività ispettiva della Guardia di Finanza – è scritto nella relazione annuale – ha consentito di individuare oltre 433 milioni di euro di provvidenze comunitarie indebitamente percepite o richieste riferibili a due settori di contribuzione: le Politiche agricole e i Fondi strutturali, nonché di segnalare all’autorità giudiziaria 793 soggetti per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato».

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