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Una classe dirigente alla deriva, in Barca

Lo squarcio di verità , dall’interno della classe dirigente, è più illuminante di mille analisi condotte sui dati. Perché restituisce in presa diretta la reale consistenza di questa classe. Impalpabile.

Lo “scherzo” de La Zanzara a Fabrizio Barca, ex ministro della Coesione Territoriale nel governo Monti, per qualche giorno candidato alla segreteria del Pd (in un tempo ormai lontanissimo: alcuni mesi fa), ha una potenza che un editoriale non avrebbe. Ve lo proponiamo qui anche noi, in modo da avere l’informazione completa.

Dobbiamo dire che Barca – ingenuità a parte, lo scherzo era comunque ben congegnato, perfetto per le abitudini di contatto telefonico tra “potenti” in relazione costante, anche se “militanti” in campi pubblicamente differenti – ne esce persino bene. Come un dirigente dello Stato, una persona seria, effettivamente preoccupato per quello che chiama lo “sfarinamento” della classe politica. La quale dovrebbe assicurare gli interessi del paese all’interno del processo di costruzione dell’Unione Europea, contrattando autorevolmente nella definizione di trattati e impegni internazionali, contrastando pressioni dannose, limitando danni, elaborando politiche di largo respiro, ecc.

Nulla di tutto ciò traspare nel breve filmato con cui Barca restituisce quanto sta avvenendo nella formazione del governo Renzi. “Avventurismo”, “totale mancanza di idee”, “siamo agli slogan”, “confusione e disperazione”, “sono fuori, sono fuori di testa”… Il tutto sullo sfondo di un imprenditore – il padrone di Repubblica, De Benedetti – che si dà  da fare per comporre la formazione di ministri al posto o insieme all’apparente “conducator” di Firenze.

Se questa è la situazione, l’ipotesi che la meteora Matteo Renzi esploda prima dell’estate non è affatto peregrina. Ma dato che “promette” di cominciare occupandosi del “lavoro”, con il Jobs act, non c’è davvero da tirare i remi in banrca e limitarsi a tifare per la sua rapida caduta. Lascerebbe comunque dietro di un nuovo “diritto acquisito” per le imprese, e una situazione più favorevole per quei “mercati” che stanno in queste ore festeggiandolo, tra spread in caduta libera e borsa che sale, come se il messia del thatcherismo fosse destinato a rimanere eterno.

C’è insomma uno scarto gigantesco tra la potenza del processo continentale in atto (la stretta sui vincoli e sui trattati europei, tanto in materia economica che istituzionale) e l’inconsistenza del personale politico nazionale chiamato a gestire la trasformazione “costituente” il nuovo ordine. Uno scarto che assicura una cosa sola: quel processo andrà  avanti. Anche a costo di macinare “leader carismatici” al ritmo di uno l’anno, o anche meno. Del resto, l’obbedienza ai diktat si ottiene più facilmente dagli incompetenti…

Se è così,  sarà  bene che si prenda definitivamente l’abitudine ad analizzare i processi, invece di farsi abbagliare dalle “facce”. Decine di anni fa (o mesi?), “a sinistra” si era soliti sbeffeggiare quei creduloni di statunitensi che ogni quattro anni andavano a votare un presidente scegliendolo in base all’eleganza nel vestire, allo sguardo maliardo o meno, alle promesse impossibili, ai richiami alla mitologia fondativa del West e altre amenità. Ora è la condizione “normale” di questo paese, o almeno di quella arte che ancora va a votare (la metà, anche in Sardegna, come nelle amministrative della scorsa estate).

Va preso atto che un “leader politico”, nell’Unione Europea governata dal capitale multinazionale, non è un “gigante”, un interprete geniale del tempo, ma semplicemente una “risultante” del campo di forze che dominano un certo ambito. Altamente precario, se non riesce ad abbindolare a dovere l’elettorato (la cattura del consenso resta necessaria, finché avranno bisogno di mantenere un’apparenza di democrazia parlamentare); stabile, se racconterà panzane di successo (“narrazioni”, vengono chiamate oggi).

In ogni caso, come si può leggere proprio dal progetto di Jobs act renziano, ma anche dal progetto di “legge elettorale” combinata all’abolizione del Senato, si va verso uno smantellamento deciso dei “corpi intermedi”. Ovvero del legame organizzato tra “società civile” (contraddittoria, campo di battaglia tra classi diverse, ma ognuna organizzata in associazioni (sindacati, Confindustria, ecc) e Stato. La fine dei partiti ha anticipato, in campo politico, questa recisione di rapporti. Un po’ come l’invenzione dei call center aveva permesso di recidere la relazione tra aziende e clienti.

L’obiettivo – del capitale multinazionale che plasma la “costituzione materiale e formale” dell’Unione Europea- è mettere a punto una macchina di comando impermeabile agli umori e agli interessi – delle masse popolari”. In altri paesi è stata trovata una classe politica adatta. Più facilmente in quelli forti, che possono scaricare altrove le contraddizioni economiche interne, ridefinendo filiere produttive e rapporti di forza.

Qui no. Un masnada di mezze figure, personaggi in cerca d’autore, attori disponibili per qualsiasi copione.

Se teniamo presente quei “400 miliardi di patrimoniale” di cui parla Barca ad un certo punto come “il minimo indispensabile” che andrebbe fatto per “aggiustare i conti pubblici” (inevitabilmente con: prelievo forzoso sui conti correnti, tassazione sugli immobili, ecc, oltre che violenta compressione salariale e saccheggio delle prestazioni pensionistiche) , il quadro si completa. Non conosciamo con esattezza i connotati della banda di rapinatori che ci attende dietro l’angolo, ma che si sarà  una rapina violenta ai nostri danni… “‘ sicuro.

L’importante è saperlo. E prepararsi a non subirla passivamente.

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