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“Jobs act”, carognate subito e molti rinvii

Il “jobs act” contiene diverse carognate, alcune delle quali entrano in vigore subito, altre devono essere necessariamente rinviate (alla faccia del “fare, fare, fare” del giovin attore fiorentino).

Le nuove norme che vanno a regime con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, essendo state approvate per decreto mercoledì scorso dal Consiglio dei ministri, sono sostanzialmente due e riguardano apprendistato e contratti a termine.

Il primo, fin qui, richiedeva un “training aziendale” accoppiato a una “formazione pubblica” obbligatoria. Il “piano formativo” doveva essere messo nero su bianco e ogni nuova assunzione di “apprendisti” era vincolata a una certa percentuale di trasformazione dei precedenti contratti di apprendistato in assunzioni a tempo indeterminato. “Troppi vincoli”, protestavano le imprese; e Renzi le ha accontentate. Via ogni limite di assunzione o di stabilizzazione dei vecchi contratti, la “formazione pubblica” diventa “facoltativa”, il “piano formativo” viene scritto nelle nuvole delle buone intenzioni e il salario previsto per le ore di “formazione” scende al 35% di quello contrattuale. In pratica: l’azienda può assumere tutti gli “apprendisti” che vuole, cambiarli ogni volta che vuole, non ha obblighi di “stabilizzazione” nemmeno di un solo apprendista e può persino dire che tutte le ore lavorate sono di “formazione” e quindi retribuirle un terzo del salario normale. Roba che nemmeno i negrieri osavano sperare.

Il secondo “decreto immediato” riguarda invece i contratti a termine. Anche qui il regime vigente prevedeva qualche “cautela” (stiamo parlando della “riforma Fornero”, mica del socialismo in terra!), tipo l’obbligo di specificare una “causale” per l’assunzione a termine invece che a tempo indeterminato; oppure della durata massima fino a 12 mesi, comprese eventuali proroghe. Tutto “semplificato”: la “causale” scompare (“fate come vi pare”), la durata sale a tre anni, entro i quali ci possono essere fino a otto proroghe; l’unico limite diventa il 20% di “contratti a termine” sul totale dell’occupazione aziendale.

Tutto il resto va su tempi più lunghi. Persino un autentico regalo alle imprese “a regolarità contributiva altamente incerta”, con la trasformazione del Durc (documento unico di regolarità contributiva) da documento cartaceo dovuto a Inps, Inail ed eventualmente Casse Edili, in “documento virtuale” che gli enti interessati dovranno acquisire in 120 giorni. Passati i quali chissà che succede.

Il sistema degli ammortizzatori sociali sarà invece “riformato” entro sei mesi; nel frattempo andrà trovato un miliardo per finanziare la Cassa integrazione in deroga, l’unica per cui è lo Stato a dover intervenire finanziariamente (l’ordinaria e la straordinaria sono a carico di lavoratori e imprese). Si parla com’è noto di una “riforma dell’Aspi” (assegno di disoccupazione introdotto dalla Fornero, non ancora andato a regime, che dovrebbe riassumere in sé tutti gli ammortizzatori sociali esistenti, meno la cig ordinaria). Sarà un assegno di durata temporale inferiore all’attuale, ma furbescamente esteso anche a categorie che fin qui ne erano prive (alcune tipologie di precariato). In pratica, con gli stessi soldi di prima di tenterà di coprire più persone che perdono il lavoro, col risultato di dare di meno a qualcuno in più. Altra certezza è la cancelazione dell’assegno in caso di secondo rifiuto a un’offerta di lavoro.

Rinvio lungo, probabilmente, anche sul piano dlele “politiche ative”. Qui è necessario riformare completamente il sistema dei “centri per l’impiego”, visto che si immagina una sola “agenzia nazionale”. Oltretutto dovrebbero essere “razionalizzati” anche i diversi tipi di “incentivi all’impiego” oggi esistenti (in genere si tratta di sgravi fiscali e contributivi per le aziende).

Idem per il capitolo “semplificazioni”, per cui si prevede il passaggio da un regime prevalentemente sanzionatorio e fondato su documenti cartacei ad uno “premiale” e basato su comunicazioni telematiche (anche per quanto riguarda assunzioni, licenziamenti, ecc).

Sui contratti atipici, il senso della “riforma” consiste nella riduzione ad uno, che significa “precarietà per tutti”. Non manca naturalmente lo zuccherino menzognero (viene infatti chiamato “contratto a tutele crescenti”, come proposto da Pietro Ichino, l’inventore di questa formula perversa). Ma anche per questo, e per fortuna, i tempi non possono essere rapidissimi visto che serve una disegno organico, un certo numero di decreti attuativi e indicazioni ulteriori da parte dell’Unione Europea.

Sulla maternità e la genitorialità, per ora, molte promesse (diverse categorie, tra cui collaboratrici e precarie di vario tipo ne sono escluse), a cominciare dall’universalizzazione del diritto. Ma bisognerà vedere le modalità concrete di attuazione, al momento misteriose.

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