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Malpancisti Pd in difesa di Chiti e Mineo

L’estromissione di Corradino Mineo dalla commissione Affari Costituzionali – luogo decisivo, dsal punto di vista delle procedure, per arrivare velocemente allo stravolgimento della Costituzione – sembrava destinata a passare sotto silenzio o quasi. E invece in difesa dell’ex direttore di RaiNews24 (sostituito, certo non per caso, con l’enbedded Monica Maggioni, fresca di invito al Bilderberg Group) sono scesi in campo ben tredici senatori.

Non solo per Mineo, visto che la sua rimozione segue di poche ore quella di Vannino Chiti, altro “difensore del Senato” (in realtà, dello “spirito” della Costituzione) ostile perciò al decisionismo centralizzatore incarnato da Matteo Renzi.

Inevitabile che la doppia sostituzione venisse letta per quello che in effetti è: un atto di forza semi-dittatoriale per cui i “cagadubbi” debbono essere messi da parte rapidamente, in modo da non disturbare i manovratori.

Il portavoce del gruppo dissidente, il senatore Paolo Corsini, del Pd, ha spiegato direttamente in aula un documento in cui è scritto: “La rimozione dei senatori Chiti e Mineo decisa ieri dalla presidenza del gruppo rappresenta un’epurazione delle idee considerate non ortodosse”.

Tredici nomi non proprio di sconosciuti, ma non appartenenti al “cerchio magico” dell’affabulatore di Pontassieve: Felice Casson, Vannino Chiti, Paolo Corsini, Erica D’Adda, Nerina Dirindin, Maria Grazia Gatti, Sergio Lo Giudice, Claudio Micheloni, Corradino Mineo, Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiuti, Walter Tocci e Renato Turano.

“E’ una palese violazione dell’articolo 67 della Costituzione – si può leggere nel documento – Chiediamo alla presidenza del gruppo parlamentare il necessario chiarimento prima dell’assemblea del 17 giugno. Nel frattempo i senatori si autospendono dal gruppo Pd. Questo non potrà non avere conseguenze sui lavori parlamentari”.
E non sembrano essere gli unici, visto che lo stesso Corsini ha raccontato alle telecamere che “altri colleghi che non abbiamo potuto contattare hanno manifestato la volontà di aderire alla nostra iniziativa. Noi riteniamo che sia stato effettuato un vulnus all’articolo 67 della Costituzione, che dice che il parlamentare non ha vincolo di mandato e risponde alla sua coscienza”.
Corradino Mineo e Vannino Chiti, a più riprese, sisino detti contrari all’idea di una riforma del Senato che lo trasformi in un’assise “dopolavoristica” di membri non eletti, ma nominati dalle realtà politico-amministrative territoriali (i Consigli regionali). Questo è del resto il punto-cardine del progetto di riforma renziano – espresso compiutamente nel “testo Boschi” – che disegna un’architettura istituzionale decisamente “verticale”, dove quasi tutti i poteri vanno a finire nella meggioranza di governo, espropriando la Camera e abolendo di fatto il Senato. Una “dittaura morbida”m molto simile a quella dell’Unione Europea; ma che al bisogno può diventare “dura”.
La conferma che l’attacco è partito direttamente dal premier-segretario è arrivata proprio da Renzi, impegnato a Pechino nella promozione delle aziende nazionali. “Non molliamo di un centimetro. Non lasciamo a nessuno il diritto di veto. Conta molto di più il voto degli italiani che il veto di qualche politico che vuole bloccare le riforme. E siccome conta di più il voto degli italiani, vi garantisco che andremo avanti a testa alta”.
Voleva dire “a testa bassa”, ma i suoi spin-doctor gli hanno consigliato di usare un’espressione più “positiva”, meno “da mulo”…

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