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De Benedetti, fustigatore del “pubblico” e “locusta” in privato

Se uno vuol capire bene cos’è il governo Renzi, il “sistema Pd”, il senso comune “contro il pubblico” e altre stronzate di successo di questi tempi, è bene che guardi a Carlo De Benedetti, proprietariio del gruppo Repubblica-L’Espresso, ovvero il primo caso di “partito-azienda” in questo paese (proprio così: è arrivato prima di Berlusconi, anche se ha “vinto” soltanto ora, dopo aver sponsorizzato e bruciato decine di aspiranti “salvatori della patria”: De Mita, Craxi, Segni, Rutelli, D’Alema, Veltroni, Bersani, ecc). Curiosità: anhe lui, come Sergio Marchionne, ha preferito farsi “naturalizzare” come cittadino svizzero, chissà perché…

Un esempio solare viene dalla vicenda Sorgenia, società controllata dalla Cir (finanziaria della famiglia De Benedetti) fino a pochissimo tempo fa. Quando, cioè, le perdite sono diventate tali da convincere il boss di Repubblica e tessera n. 1 del Pd a mollare tutto nelle mani delle banche creditrici. Le quali ora si ritrovano a gestire 1,8 miliardi di “sofferenze” (l’eufemismo con cui definiscono i prestiti che non rientraranno mai più in cassa) e a dover trovare qualcuno – nessuno – che acquisti una società ormai valutata zero euro.

Perché è illuminante (al di là delle facili battute sul fatto che Sorgenia si occupa di forniture elettriche)? Perché il comportamento delle banche è stato paradigmatico: in piena crisi finanziaria, mente chiudevano i rubinetti del credito sia a piccole e medie imprese che alle famiglie, mentre chiedevano “rientri” anche di pochi euro a clienti giudicati “non solidi”… continuavano a prestare centinaia di milioni a De Benedetti, per una società che non ha mai fatto un euro di guadagno e accumulava decine di milioni di perdite l’anno. Evidentemente, nella valutazione sulla solidità delle “garanzie” offerte da Cir, c’era non soltanto la grande ricchezza della famiglia, ma anche il “peso politico” da questa esercitato tramite i media e il Pd.

Se tutto fosse limitato o limitabile a questo solo aspetti, potremmo chiuderla qui e definire De Benedetti un pessimo imprenditore (basterà ricordare la distruzione della Olivetti, da lui comprata quando era ancora un’azienda all’avanguardia in campo informatico), con il pallino della politica.

Purtroppo la sua golden share sul Pd (su Renzi, in questo momento) e il controllo di un gruppo mediatico che “fa opinione” nella parte (poco) progressista del paese ci ogbbliga a mettere a confronto la “locusta” De Benedetti (la definizione è de IlSole24Ore, girate lì la querela per diffamazione!) con il “fustigatore” De Benedetti.

Sul suo giornale – “suo” in senso stretto, proprietario – ma anche sul foglio di Confindustria (IlSole24Ore) si esercita spesso in infuocati editoriali contro la pubblica amministrazione, l’invasività dello Stato (in toni non molto dissimili da LIbero o Il Giornale, peraltro), la fannullonaggine dei lavoratori pubblici (che licenzierebbe tutti volentieri, polizie a parte), indicando cosa va cambiato in Italia e come. A suo insindacabile parere.

Ecco, i due ruoli (“locusta” e “moralizzatore”) a noi sembrano decisamente incompatibili. Qualcosa che trova un paragone calzante solo con i numerosi “conflitti di interesse” berlusconiani. Ma di questo maleodorante impasto sembra fatta la classe dirigente italica. Tutta intera.

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Il disastro Sorgenia, la Cir liquida e la lezione amara per i banchi

Fabio Pavesi

E’ andata alla fine come doveva andare. La disastrata Sorgenia, la società elettrica del gruppo Cir della famiglia De Benedetti che detiene, o meglio deteneva il 53% del capitale , passerà a giorni sotto il controllo delle banche creditrici esposte sulla società per 1,8 miliardi di euro. Sorgenia come business di fatto è fallita.

Le perdite

Non perchè non faccia ricavi, ma perchè continua a macinare perdite. Ai 196 milioni del 2012 si sono aggiunti i 783 milioni del 2013. Un’emorragia che rischia di non esaurirsi presto. C’è troppa sovracapacità produttiva e ci sono i legacci dei rigidi contratti di approvvigionamento che tengono alti i costi. Dopo l’altro socio, l’austriaca Verbund che aveva portato a zero già mesi addietro il patrimonio di Sorgenia, anche Cir nell’ultimo bilancio del 2013 ha azzerato la sua partecipazione. Sorgenia era iscritta ancora nel 2012 nel bilancio Cir per 500 milioni, oggi vale zero. Una debaclè pagata cara e che ha pesato suoi conti della holding dei De Benedetti che ha chiuso il 2013 in rosso per 270 milioni, in gran parte provocati dalle svalutazioni sulla società elettrica. Ora però se la Cir si è svincolata dalla infelice avventura nel business dell’energia, la patata bollente rimane in mano alle banche. Che  convertendo i debiti in azioni, diventano i nuovi soci forti di Sorgenia. Non c’era altra strada, si dirà.

La montagna di debiti

Se Sorgenia fosse stata lasciata fallire le banche avrebbero trasformato in perdite gli 1,8 miliardi concessi negli anni a Sorgenia. Ora quei soldi sono per ora sofferenze nei bilanci delle banche. Non ce n’era bisogno in questa fase. La speranza è che le banche trovino un compratore o finiscano per vendere a pezzi la società per rientrare dai crediti. Ma per ora al rischio credito si aggiunge il rischio capitale. Un doppio rischio che rivela tutta la miopia dei banchieri italiani. Sorgenia infatti non è affondata di colpo. La genesi del cattivo andamento è da porre già nel 2009, quando i debiti bancari superavano di 10 volte il margine operativo lordo. La società cominciava già allora a perdere marginalità. E cosa hanno fatto le banche, in pieno credit crunch (per tutti gli altri evidentemente)? Non solo non si sono cautelate chiedendo allora alla famiglia De Benedetti di riequilbrare con nuovi capitali la società, ma hanno aumentato del 50% la loro esposizione portando i crediti concessi da 1,3 miliardi a 1,9 miliardi.

La famiglia si defila

E  allo scoppio della crisi finanziaria di fine dell’anno scorso, quando Sorgenia non ha pagato gli interessi sui debiti, si sono sentiti dire dalla famiglia che Cir era disposta a mettere non più di 100 milioni per salvare la società, anzichè i 150 milioni chiesti dalle banche. Un gran rifiuto, segno che per Cir era più comodo e meno oneroso uscire del tutto dal business, consegnando la rovine alle banche. Del resto gli analisti finanziari suggerivano nei loro report che per Cir era meglio lasciar perdere, per evitare nuovi bagni di sangue. E non è casuale che sulle notizie che neo mesi scorsi davano le banche come nuovi azionisti il titolo Cir volava verso l’alto. Del resto non ci vuole un genio per capire che vista la situazione di Sorgenia, ogni nuovo impegno di capitale aggiuntivo rischiava di venire bruciato. Meglio lasciar perdere e lasciare il nodo dolente alle banche. L’indizio della non volontà del gruppo Cir a proseguire nell’avventura sta nei conti.

La liquidità in pancia a Cir

I soldi, volendo, cioè i 150 milioni chiesti dalle banche c’erano in pancia alla Cir. Che a fine 2013 ha visto la sua liquidità disponibile salire da 33 milioni a 538 milioni. E ironia della sorte, buona parte di quel cash viene dall’incasso di oltre 300 milioni dalla contesa vinta sul lodo Mondadori con l’odiata Fininvest di Sivio Berlusconi. Un tocco beffardo a una storia emblematica sul rapporto tra banche e poteri forti. Dove il merito di credito e la sana e prudente gestione dello stesso non si sono viste dalle parti della famiglia De Benedetti. Non si spiega altrimenti perchè pur con un quadro deteriorato i banchieri hanno continuato dal 2009 in poi a foraggiare a piene mani Sorgenia, quando a molti piccoli imprenditori quel credito veniva o revocato o negato.   Si vedrà più avanti quanto sarà costata ai bilanci delle banche tanta munificenza ingiustificata.

dal blog su IlSole24Ore online

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