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L’Aventino e la dittatura

La politica italiana sembra condannata a ripercorrere sempre le stesse strade. Ieri l’opposizione alle “riforme costituzionali” – un insieme davvero eterogeneo che va dai resti di Sel ai Cinque Stelle, con una spruzzata di leghisti e malpancisti ex o infra berlusconiani – ha abbandonato l’aula del Senato dopo che il presidente addetto, Pietro Grasso, ha dovuto accettare la richiesta della “maggioranza” (neofascisti del Pd e veterofascisti di Forza Italia) di fissare un termine perentorio per la discussione sulla “riforma” dello stesso Senato. 135 ore in tutto e conclusione obbligata all’8 agosto.

Sic dixit Renzi, appoggiato pienamente da Napolitano, Che ormai viene individuato persino dai pentastellati come un “capitano” della squadra di governo, non certo come “l’arbitro” della partita. Figuriamoci poi se può rappresentare – come da mandato – “il custode della Costituzione”.

Un insolito corteo di senatori “dissidenti” ha raggiunto a piedi il Quirinale per vedersi lì “respinto con perdite”. Il presidente si dichiarava “indisposto”, a far le sue veci è stato spedito l’incolpevole segretario generale del Colle, tale Marra, che nulla poteva o doveva dire ai frastornati parlamentari in cerca di ascolto “elevato”.

Un mezzo Aventino, come quello di quasi un secolo fa, quando le stesse movenze autoritarie in Parlamento erano agite da tal Benito Mussolini, al Quirinale regnava un Savoia e i socialisti benpensanti non trovarono di meglio che andarsene e lasciarli fare.

Ricorrenze sgradevoli a parte, e ben sapendo che Renzi non dispensa olio di ricino (non ce n’è bisogno: gli italiani di oggi dimostrano di saper mandare giù di tutto anche senza “purgante”, al contrario dei loro bisnonni), la partita che si sta giocando è davvero di portata storica. Sta cambiando l’assetto costituzionale del paese e saremo noi a farne le spese.

Chi pensa che queste cose riguardino soltanto gli “inquilini del Palazzo” è un idiota. Non importa se si ritiene “di sinistra”, se si considera una “assoluto antagonista”. E’ un idiota che non comprende la relazione strettissima – addirittura dichiarata – tra “riforma” del sistema di governo (“istituzionale”) e imposizione di “riforme strutturali” che vanno a incidere sul mercato del lavoro, il welfare, la sanità pubblica, l’istruzione e tutti gli altri “diritti”, che prevedano o no una spesa per esser resi esigibili.

Solo un “governo fortissimo” può imporre lo stravolgimento delle condizioni di vita e riproduzione della popolazione che lavora, cerca lavoro o vive di pensione. Solo un governo impermeabile alle istanze che salgono dal basso – fin qui soprattutto attraverso i “corpi intermedi” (partiti e sindacati, associazionismo, movimenti, ecc) – può disporre senza intralci e in tempi rapidi della vita e dei diritti di tutti.

Cerchiamo di esemplificare. Siamo, noi europei e perfino noi italiani,  tutti cresciuti in un mondo “keynesiano”, che garantiva diritti di vario peso e spessore. Potevi e dovevi esser curato; l’istruzione era obbligatoria fino a una certà età; la repressione del dissenso, anche di quello un po’ sbrigativo e persino un tantinello “violento” non poteva superare una determinata soglia, altrimenti scattava l’accusa di “fascismo in pectore”, “nostalgie del Ventennio”, ecc. Un mondo, insomma, dove non si poteva bombardare una città, massacrare civili inermi, ammazzare innocenti in questura ed essere allo stesso tempo considerati dei “campioni della democrazia”.

Quel tempo è finito. Le leggi attualmente sotto esame in Parlamento – non soltanto italiano – prevedono l’obbligatorietà del lavoro (stage) già durante il percorso scolastico, invertendo un trend settantennale. La sanità è diventata già ora quasi un lusso, con i ticket talmente alti che i più poveri rinunciano a curarsi. L’espressione del dissenso politico e sociale è sempre più a rischio, e basta vedere l’atteggiamento delle polizie in piazza – anche nelle occasioni meno “conflittuali” – per averne la percezione chiara. Nelle questure (e nelle caserme dei Carabinieri, non vogliamo far torto a nessun corpo militare…) si muore più di prima, se sei “nessuno”. Potremmo andare avanti a lungo, ma non serve. C’erano dei “limiti”, stanno scomparendo.

Un governo impermeabile alle istanze sociali è un’amministrazione che non si cura più della mediazione, che non la cerca, che non la tollera. Persino la mediazione parlamentare diventa in questa logica una pura “perdita di tempo”. E non diminuisce la gravità della cosa il fatto che in questa “semplificazione” drastica della dialettica politica ci vada di mezzo anche una parte della “casta”. Fa parte del gioco, è un utile – e utilizzatissimo – mezzo di distrazione di massa. Gli espropriati veri siamo noi. Perché l’autoritarismo governativo non ha mai come primo avversario il gruppo perdente della stessa “casta”, ma la massa sconfinata delle donne e degli uomini che debbono – secondo questa logica – tornare ad essere soltanto “forza lavoro flessibile”. Ossia sempre disponibile, senza tutele, senza diritti, con poco salario. E senza parole.

Vi piace questo destino? Allora fate bene a disinteressarvi di politica. Non siete d’accordo? Fatelo vedere.

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