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Paparazzi in Val Susa

A volte mi sale irre­fre­na­bile il dovere di cro­naca, quasi come fossi un gior­na­li­sta del Manifesto.

Quat­tro com­pa­gni baschi hanno avuto dav­vero una brutta avven­tura, men­tre erano in Val­susa. Una di loro in par­ti­co­lare. Sen­tia­molo dal loro vivo come ce la raccontano.

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Lo scorso 16 luglio 2014 noi tre com­pa­gni di Zruña ( Paesi Baschi), accom­pa­gnati da un’ altra per­sona anch’essa basca, che vive in Ita­lia da 6 anni, ci recammo in Cla­rea per vedere il can­tiere per la costru­zione del Tav.
Lì era­vamo rima­sti d’accordo con un espo­nente dei Cri­stiani di base di incon­trarci per vedere il suo ter­reno e lo stato del can­tiere.
Siamo arri­vati al luogo pre­fis­sato scen­dendo dalla Ramats Chio­monte attra­verso il bosco, senza vedere nes­sun car­tello che indi­casse qual­che “zona rossa”.
Dopo 15 minuti di con­ver­sa­zione nel ter­reno, verso le 16,30 appar­vero due agenti di poli­zia e 2 mili­tari da un lato e altri 3 dall’altra parte, cir­con­dan­doci.
Ci chie­sero i docu­menti, noi chie­demmo per­ché, ci dis­sero che era un con­trollo di rou­tine e che glieli des­simo.
Dopo una tren­tina di minuti durante i quali fummo foto­gra­fati noi e i nostri docu­menti, ci dis­sero che c’era un pro­blema con una delle iden­ti­fi­ca­zioni e che dove­vano por­tarci all’interno del can­tiere.
Cer­cammo di fare una tele­fo­nata ma non ci lascia­rono, inol­tre nono­stante chie­des­simo per­ché dove­vamo seguirli e in base a che, non ci rispo­sero.
Entrando, ci misero in una camio­netta da 9 posti, 2 si col­lo­ca­rono davanti, noi 4 nei tre posti al cen­tro, ovvia­mente senza cin­tu­roni e gli altri die­tro. Nella parte sini­stra della camio­netta, a lato del sedile dei com­pa­gni, c’era un bastone di legno simile a quello che uno dei mili­tari con un tatuag­gio sul brac­cio aveva uti­liz­zato in cari­che con­tro i com­pa­gni del movi­mento No Tav.
Ci con­dus­sero attra­verso il can­tiere fino ad una spe­cie di motel-commissariato da cui vedemmo uscire una tren­tina di mili­tari e un vei­colo lince.
Una volta arri­vati lì, ci por­ta­rono in un uffi­cio davanti ad una per­sona che ci sem­brò essere il com­mis­sa­rio. Egli stesso ci chiese diverse volte chi era­vamo, da dove arri­va­vamo e per­ché era­vamo lì.
Dopo que­sto inter­ro­ga­to­rio, ci tra­spor­ta­rono in una cella situata al fondo di un cor­ri­doio e custo­dita da 2 agenti del corpo dei cara­bi­nieri, 8 dei cac­cia­tori di Sar­de­gna e 4 della Digos, dove ci regi­stra­rono.
Poco dopo, verso le 17,30, ci sot­to­po­sero a una seconda per­qui­si­zione nella stessa cella, que­sta volta sepa­rati, prima i due ragazzi che fecero sve­stire e costrin­gere a fare delle fles­sioni, e dopo alle ragazze, a cui fecero una per­qui­si­zione cor­po­rale e di nuovo ai loro effetti per­so­nali.
Dopo que­ste regi­stra­zioni, insi­stemmo per rea­liz­zare una chia­mata e ci rispo­sero che non pote­vamo ancora farla e che entro 10 minuti saremmo usciti.
Rima­nemmo nella cella altri 20 minuti e di nuovo ci tra­spor­ta­rono nella camio­netta, senza spie­garci niente ed evi­tando le nostre domande, pre­sero quindi la strada in dire­zione Fran­cia, ad una velo­cità media di 140–150 km all’ora, noi con­di­vi­de­vamo i sedili e quindi non pote­vamo met­terci le cin­ture di sicu­rezza.
Inol­tre, fummo foto­gra­fati diverse volte con un tele­fono cel­lu­lare da uno dei cac­cia­tori di Sar­de­gna, la per­sona tatuata che ha avuto par­ti­co­lare inte­resse a foto­gra­fare una delle com­pa­gne, che si sentì molto vio­len­tata.
Con nostra sor­presa, pre­sero l’uscita di Bar­do­nec­chia e ci por­ta­rono ad un com­mis­sa­riato, noi insi­stemmo con le domande senza rice­vere nes­suna rispo­sta.
Nel com­mis­sa­riato apparve un uomo cor­pu­lento che si pre­sentò come l’interprete, ma noi cre­diamo che era un mem­bro della Digos per­ché il nostro com­pa­gno che parla ita­liano lo vide dare ordini.
Lui ci informò che non ci avrebbe for­nito infor­ma­zioni sul per­ché e in nome di cosa era­vamo lì, si limitò a dirci che ci avreb­bero preso delle impronte e foto­gra­fati.
Gli ripe­temmo che que­sto era ille­gale se non ci aves­sero spie­gato il motivo della nostra trattenuta-detenzione.
Lui negò.
Pas­sammo all’interno del com­mis­sa­riato dove pro­ce­det­tero ad aprire una car­tella di poli­zia, con altezza, peso, impronte di tutte le dita e dei palmi delle mani e foto­gra­fie.
Suc­ces­si­va­mente ci pre­sero i dati e intrap­pre­sero una denun­cia di “inos­ser­vanza di prov­ve­di­menti dell’autorità, ex art. 650 C.P.”
Verso le 20,15 ci con­se­gna­rono una copia della denun­cia, ci dis­sero che era­vamo “liberi”, tra le risa, e ci salu­ta­rono con un “arri­ve­derci”.
Ci lascia­rono vicini al com­mis­sa­riato e potemmo ritor­nare gra­zie ad alcuni com­pa­gni del Movi­mento No Tav con cui si mise in con­tatto il nostro com­pa­gno resi­dente in Ita­lia.
Con que­sto scritto non sol­tanto vogliamo denun­ciare pub­bli­ca­mente ciò che ci è suc­cesso, ma anche vogliamo riflet­tere sullo stato di ecce­zione e sulla mili­ta­riz­za­zione della Valle di Susa.
Nono­stante che abbiamo pro­vato paura, incer­tezza ed umi­lia­zione in alcuni momenti di ciò che abbiamo pas­sato, tutto ciò non ha fatto altro che moti­varci ancora di più nella nostra voglia di con­ti­nuare que­sta mar­cia di soli­da­rietà con que­sta lotta con­di­visa e farci com­pren­dere la forza di que­sto movimento.

PROMEMORIA CON I BASCHI IN CLAREA IL 16 LUGLIO2014

Giunsi in Cla­rea sul prato di ban­diere di mia pro­prietà verso le ore dieci del 16 luglio 2014. Mi ero recato lì per­ché in quel giorno era in visita al can­tiere la Com­mis­sione Tra­sporti del Senato e con la mia pre­senza in pros­si­mità del can­tiere inten­devo mani­fe­stare con­tra­rietà alla costru­zione del tun­nel geo­gno­stico pro­pe­deu­tico alla nuova linea Torino-Lione. Inol­tre nel pome­rig­gio mi dovevo lì incon­trare con gio­vani baschi che pre­ce­den­te­mente ave­vano mani­fe­stato il desi­de­rio di sen­tirsi con “cri­stiani di base” con­trari alla costru­zione del tav per appro­fon­dire le moti­va­zioni della loro con­tra­rietà all’opera. Que­sti baschi erano al cono­scenza del fatto che il gruppo dei cri­stiani di base si recano quo­ti­dia­na­mente in Cla­rea in pros­si­mità del ca

ntiere, nella zona rossa, per un momento di pre­ghiera e con­tem­po­ra­nea­mente per mani­fe­stare con la loro pre­senza in quel luogo la loro oppo­si­zione a ciò che lì viene costruito.

Non ero solo, mi erano com­pa­gni tre val­su­sini che tra­scor­sero con me alcune ore osser­vando il can­tiere e al pas­sag­gio della com­mis­sione tra­sporti agi­tando le ban­diere fin verso le ore quin­dici, ora in cui ripre­sero la strada del ritorno verso Gia­glione. Verso le quin­dici mi misi seduto al limite della mia pro­prietà sul fronte del can­tiere, quasi a mo’ di sfida guar­dando fisso verso i due mili­tari che dal mat­tino sem­pre ci guar­da­vano a vista. Dopo circa un’ora sen­tii alle mie spalle dei rumori, mi vol­tai verso il lato nord, lato da cui pro­ve­ni­vano i rumori e vidi quat­tro per­sone che scen­de­vano per­pen­di­colo verso di me. Ci salu­tammo e dopo le pre­sen­ta­zioni ci sedemmo intorno a un tavolo e lì ini­ziammo a par­lare. Io rispon­devo alle loro domande e spie­gavo un po’ il fun­zio­na­mento del can­tiere. Tra­scor­sero così cin­que minuti che sul prato delle ban­diere pro­ve­nendo dal campo della memo­ria per le vigne abban­do­nate arri­va­rono un fun­zio­na­rio di Poli­zia con un uomo in bor­ghese che senza salu­tare né pre­sen­tarsi ci chiese i docu­menti e imme­dia­ta­mente fummo cir­con­dati da un plo­tone di cac­cia­tori. Dopo aver con­se­gnato le nostre carte di iden­tità con­ti­nuammo la nostra con­ver­sa­zione seduti al tavolo e notammo alcuni cac­cia­tori che ci foto­gra­fa­vamo con i tele­fo­nini. Era­vamo ancora sem­pre osser­vati da almeno due mili­tari ed era­vamo sotto osser­va­zione da almeno due tele­ca­mere fisse. I nostri docu­menti ven­nero foto­gra­fati e i loro dati tra­smessi attra­verso radio e tele­fo­nini all’esterno. Dopo oltre mezz’ora Mikel chiese alla poli­zia il per­messo di “andare in bagno”, gli venne negato, lui si rise­dette e pro­se­guimmo la nostra con­ver­sa­zione. Dopo altri quin­dici minuti circa Mikel avvisò la poli­zia della neces­sità di uri­nare, osser­vando come fos­simo cir­con­dati e non ci fosse pos­si­bi­lità di fuga. Si allon­tanò di alcuni passi dal tavolo, ci girò la schiena ed espletò la sua neces­sità fisio­lo­gica, tornò a sedersi e con­ti­nuammo a par­lare. Dopo un po’ la poli­ziotta mi con­se­gnò la carta d’identità, trat­tenne quella dei quat­tro baschi e li invitò a seguirla den­tro il can­tiere. Io mani­fe­stai la mia volontà di accom­pa­gnarli ma la poli­ziotta me lo negò. Mikel chiese a che titolo venis­sero trat­te­nuti, la poli­ziotta rispose che non erano né in stato di arre­sto, né in stato di fermo ma che era richie­sta una più appro­fon­dita iden­ti­fi­ca­zione. Io dissi a Mikel di tele­fo­nare al suo amba­scia­tore per spie­gare la situa­zione ma i baschi pre­fe­ri­rono non fare inter­ve­nire l’ambasciata. La poli­zia non accon­sentì che si tele­fo­nasse. Mikel mi con­se­gnò a voce due numeri tele­fo­nici che io tra­scrissi su un pezzo di carta, men­tre veniva spin­to­nato via da un cac­cia­tore. Salu­tai cor­te­se­mente la poli­zia e i cac­cia­tori men­tre si allon­ta­na­vano con i baschi: Mi fer­mai in quel luogo in attesa del loro rila­scio, ma que­sto non avvenne. Dopo circa un’ora vidi il pul­mino dei cac­cia­tori, che seguito da un’auto di poli­zia usci­vano a forte velo­cità dal can­tiere verso la Mad­da­lena, (velo­cità inso­lita nel can­tiere dove la poli­zia si muove sem­pre molto len­ta­mente) e osser­vai se li vedevo tran­si­tare sul via­dotto verso Torino. Ciò non avvenne, con­clusi che la dire­zione presa era Bar­do­nec­chia. Nel frat­tempo avevo tele­fo­nato ai due numeri lasciati da Mikel per avvi­sarli della situa­zione. Di lì a poco arrivò sul prato delle ban­diere Vale­rio che mi avvisò che dal lato est sareb­bero giunti un gior­na­li­sta che lavora in Fran­cia ed altre due per­sone. Poi­ché que­ste per­sone tar­da­vano ad arri­vare Vale­rio con il tele­fono cer­cava di indi­riz­zarli verso la nostra posi­zione. Essi infatti ave­vano attra­ver­sato il Cla­rea a nord del ponte e si tro­va­vano nel bosco. Tele­fo­ni­ca­mente dicemmo loro di abbas­sarsi e di rag­giun­gerci sul prato delle ban­diere: Dopo alcuni minuti lì giun­sero, par­lammo alcuni minuti e per evi­tare una seconda iden­ti­fi­ca­zione ci avviammo sulla strada del ritorno, io e Vale­rio sulla strada, gli altri tre tra i boschi per evi­tare di entrare nella zona rossa. Ci riu­nimmo dopo il ponte del Cla­rea, in dire­zione Giaglione.

Perotto Paolo

18 luglio 2014

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Dun­que. Allora.

Restrin­giamo la nostra indi­gna­zione ad una sola domanda: il “Cac­cia­tore di Sar­de­gna” tatuato che ha a lungo indu­giato, col pro­prio tele­fo­nino per­so­nale, a fare foto alla bella ragazza basca, può farci avere — tra­mite lui stesso o il suo comando cui ci rivol­giamo — una breve dichia­ra­zione su:

1) Le sue generalitá

2) Il motivo del suo fotografare

3) L’utilizzo pre­sente e futuro, not­turno o diurno, di dette fotografie.

4) Esse sono state con­di­vise con altri com­mi­li­toni, sono sca­ri­ca­bili a paga­mento su qual­che sito web, oppure postate in un gruppo facebook?

Atten­diamo rispo­sta. Grazie


dal blog su ilmanifesto.info

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