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Renzi più democristiano: da “cambiare verso” a “passo dopo passo”

All’improvviso Renzi s’ammoscia… Partito come un razzo per stupire il mondo “in 100 giorni”, arrivato quasi al 200esimo riformula l’obiettivo a 1.000 giorni. E contestualmente autorottama il vecchio tormentone (“cambiare verso”, tutto giocato sull’ottimismo e la velocità), adottando un più democristiano “passo dopo passo”. Del resto più adatto alla sua formazione da massone toscano vicino alla finanza cattolica…

Finita la “rivoluzione conservatrice”? Sul piano della “scossa all’economia” certamente sì. Le misure varate dal consiglio dei ministri di ieri sono poco più che acqua fresca. Le “grandi opere” da sbloccare sono scese (fortunatamente, secondo molti, noi compresi) da un numero faraonico di fantastiliardi a soli 3,89 (per l’alta velocità Napoli-Bari e il completamento della Palermo-Catania-Messina, peraltro “riciclando” fondi da altre “grandi opere” rimesse in cantina). Il “Fondo di coesione europeo” – da qui al 2020 – dovrebbe portare altre risorse, ma meglio non quantificarle, per ora, in modo da evitare altre figuracce.

Sempre nel settore edilizia, via libera alle ristrutturazioni domestiche – quindi anche agli abusi – abolendo ogni controllo da parte dei comuni. Basterà una semplice comunicazione e vai col mattone. Difficile però credere che con i chiari di luna presenti molta gente si butterà a ristrutturare casa soltanto perché non deve più passare in Comune per il permesso…

Stop. Di politica industriale non si parla in nessuno dei 50 commi del nuovo decreto. Solo edilizia (quella finanzaita dallo Stato, ovvero opere pubbliche, oppure il solito fate-come-vi-pare di berlusconiana memoria). Nessuna parola su investimenti che possano rimettere in moto energie congelate (gli imprenditori italici preferiscono da tempo la delocalizzazione e la speculazione finanziaria, evitando le incertezze e i tempi lunghi della produzione reale), men che meno sui consumi (e dopo lo zero impatto registrato dagli 80 euro non è più il caso di giocare con le furbate…).

La risorsa della “banda larga” dovrà accontentarsi di alcuni miserabili incentivi, anziché della cablatura dell’intero paese (altro che far nozze con i fichi secchi…). La Cassa depositi e prestiti viene gradualmente trasformata in una sorta di “banca pubblica” (ma che non si sappia nell’Unione Europea…) per garantire i prestiti bancari alle imprese.

Tra le sparizioni improvvise merita una segnalazione il capitolo sulle “partecipate”, che aveva dominato le anticipazioni della vigilia e rispondeva alle proposte di mister Forbici, alias Carlo Cottarelli, commissario alla spending review. Si capisce, tra le righe, che ci sono troppi interessi locali da salvaguardare e ancora non ben compensati; quindi il tema ha subito un rinvio.

Così come l’annunciatissima “rivoluzione nel sistema degli appalti”, con l’ntroduzione di “standard di livello europeo”. Con gli appalti – e i berlusconiani di governo e d’opposizione – non si scherza. Quindi rinvio.

Unica novità parzialmente “positiva”, in tempi di licenziamenti di massa, è il rafforzamento del fondo per la Cassa integrazione in deroga, che guadagna altri 760 milioni. Ma serviranno a tamponare, non a ricostruire occupazione.

Anche sull’altro dossier – la giustizia – i rnvii prevalgono sulle cose decise. Il capitolo economicamente più importante è ancora un annuncio: “dimezzamento delle cause civili”. Qui pesa il condizionamento dei berlusconiani, che accetteranno di far passare in Parlamento le norme sul processo civile solo se ci sarà un serio blocco delle intercettazioni in quello penale.

Per far capire il margine di mediazione cercato con “il delinquente condannato in via definitva”, Renzi ha fatto inserire la rivalsa finanziaria dello Stato verso il “magistrato che sbaglia”. Ancora poco per placare gli appetiti di politici, amministratori e corruttori desiderosi della massima impunità, ma un passo deciso in direzione della limitazione dei poteri della magistratura (quindi del “terzo potere” nello schema delle democrazie liberali).

Il cambio di passo – dal galoppo al trotto – non è sfuggito ai grandi media confindustriali. Che a questo punto chiedono di mettere subito in forno il terribile “jobs act”, che dovrebbe azzerare ogni regolamentazione del mercato del lavoro, i diritti sindacali dei singoli e delle organizzazioni, mettendo ogni singolo lavoratore nelle mani della volontà del “datore di lavoro”.

I fallimenti sul piano del rilancio dell’economia – difficile anche se l’Unione Europea dovesse decidere di muovere qualche passo in direzione di investimenti comunitarfi – si tradurrà insomma nella necessità, per l’attuale “governo”, di accelerare la rifoma costituzionale e della legge elettorale. Successi reazionari a costo zero, se ci dovesse riuscire. Forse sarebbe il caso di impedirglielo, no?

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