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La Bce torna alla carica contro le tutele sul lavoro. Giovedi si comincia con il Jobs Act

Del discorso del presidente della Bce, Mario Draghi a Jackson Hole il messaggio che troneggia sulle prime pagine riguarda la flessibilità sui conti pubblici. In realtà l’intervento di Draghi era piuttosto centrato sull’occupazione e ha indicato – in cambio della flessibilità sui conti pubblici – misure che consentano una maggiore differenziazione salariale avvicinando i contratti al territorio e alle diverse aziende; riducano le rigidità del mercato; favoriscano una maggiore qualità della forza lavoro.

A ben vedere sono tutti temi contenuti nel Jobs Act che comincerà ad essere esaminato dalla Commissione Lavoro a partire da giovedi. La polemica pubblica insiste sull’abolizione dell’art.18 (tra l’altro esplicitamente evocata già nelle lettera di Draghi e Trichet il 5 agosto del 2011). Renzi ha glissato affermando che è ”inutile discuterlo adesso”, in quanto si tratta di un ”totem ideologico”. Pronta la replica del ministro Lupi secondo il quale se ”è un totem, sarebbe meglio cambiarlo”.

Viene da chiedersi le ragioni di un tale accanimento. Infatti l’art.18 è poco utilizzato in Italia. Più di qualche ricerca ha confermato che ogni anno viene invocato solo in poche migliaia di cause di lavoro. Non solo. La controriforma Fornero ha cancellato il reintegro automatico in alcuni casi, prevedendo indennità risarcitoria per licenziamenti per motivi economici e restringendo le possibilità del giudice se i contratti collettivi non prevedono il reintegro anche in caso di licenziamenti disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.

Le motivazioni sono dunque prettamente “ideologiche”.

Illuminante, a tale scopo, ricordare i punti b e c  del primo capitoletto della lettera di Draghi e Tricher del 5 agosto 2011:

b) C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.

c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi.

Il nodo della questione è tutto qui. Abolire tutele giuridicamente universale per i lavoratori significa avere il pieno controllo e comando del mercato del lavoro e sancire così una vittoria definitiva della supremazia del capitale (le imprese) sul lavoro (i loro dipendenti).  In cambio di cosa? Della flessibilità sui conti pubblici, ha detto Draghi a Jackson Hole.

 

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