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Gli sgherri della Troika in camicia bianca

Quarant’anni fa, per indicare la Democrazia Cristiana e il suo regime tentacolare (clientele, prebende, appalti, vaticano, parrocchie, cooperative bianche, volontariato, ecc), si usava una sintesi sfottente ed efficace: il fascismo in camicia bianca.

Chissà se il “ggiovane” Renzi ne aveva sentito parlare, in qualche chiacchierata di loggia, dai suoi maestri più anziani. Ma l’operazione che ha messo in scena ieri sul palco della feesta de l’Unità (il giornale ha chiuso, il partito è diventato una corte, la festa si chiama ancora così; per poco, crediamo) ha lo stesso segno politico e cromatico.

La generazione dei 40enni del Pse schierata in camiseta blanca è la dimostrazione plateale che a livello dell’Unione Europea procede con grande forza e coordinamento una selezione rigida del personale politico che deve mettere in atto le strategie decise a livello della Troika (Bce, Unione Europea, Fmi).

Achim Post (segretario del Partito socialdemocratico tedesco), Diederik Samsom (capo del Partito laburista olandese) e Manuel Valls, premier francese, sono dei pasdaran delle politiche di austerity, cresciuti all’ombra delle istituzioni finanziarie e addestrati da “tecnici” a guidare paesi in cui la tecnica ha un riconoscimento sociale forte.

Pedro Sanchez, la cosiddetta “nuova stella del Partito socialista spagnolo”, sembra invece noto e recensito soprattutto per la sua avvenenza (il voto femminile sarà decisivo nelle prosime elezioni iberiche?), mentre sul piano delle idee non ha fin qui lasciato traccia alcuna; ma non si è scostato di un millimetro dai luoghi comuni fondamentali seminati dalla clase dirigente continentale.

Matteo Renzi, invece, è stato scelto per le sue capacità di recitazione e comunicazione, perfetto per un popolo che ama identificarsi nei propri vizi e vederli personificati dal “capo”; ovvero da un leader cui affidare il destino generale mentre ci si fa – ognuno rigorosamente da solo e in competizione con tutti gli altri – gli affari propri. Era andata male con Berlusconi, incapace di rendersi davvero funzionale al processo di trasformazione economica e istituzionale perseguito nel continente; si prosegue con il capocomico di Rignano sull’Arno dopo le parentesi tristi di Monti e Letta. Non è un paese per tragedie serie, questo.

Il quintetto di “ggiovani” in camicia bianca sul palco di Bologna, però, ha mostrato con forse involontaria chiarezza come questa leadership politica europea non abbia più nulla a che vedere con anche un solo frammmento della vecchia e generica idea di “sinistra”, a cominciare dal pacifismo, ormai sepolto insieme all’art. 11 della Costituzione. “Compagno una sega”, insomma, anche se si sta bene attenti a solleticare l’ultimo e più autentico punto dolente nell’orgoglio del “popolo di sinistra”: ora si vince, si è smesso di perdere. Certo, non ci si deve chiedere “cosa” si sarebbe vinto, né “chi” ha vinto davvero. Ma per chi ha una mentalità da tifoso e non giocatore in proprio basta e avanza che la squadra vinca, la qualità del gioco non conta.

In politica, però, la qualità del gioco significa interessi da far prevalere su altri. E gli interessi che Renzi è stato chiamatoa difendere sono chiaramente quelli del capitale multinazionale, mediando fin dove è possibile – ma senza smarrire l’obiettivo e l’interesse principale – con quello “locale”, arretrato, familiare, familista, “di relazione”.

E’ qui che gioca al meglio la sua parte populista, rifiutandosi di andare a Cernobbio o in altre assemblee di Confindustria, criticando aspramente i “tecnici” del passato (“che non hanno visto arrivare la crisi”, come se qualcuno dell’establishment globale se ne fosse invece accorto prima…), privilegiando “la nuova imprenditoria” indipendentemente dal comparto che occupa.

La sua funzione politica è sottrarre lo Stato dall’influenza delle “parti sociali”. Sindacati, prima di tutto; ma anche Confindustria, fin qui associazione troppo blanda con i propri soci più inquietanti o incapaci, comunque protetti. E’ un’idea di “politica” che matura le proprie decisioni a partire da altri input, da altri interessi sociali, magari neppure (o pochissimo) presenti in questo paese. Il “bene dell’Italia” di cui si riempiono la bocca tutti i ministri, ma soprattutto Renzi, è una categoria della fede, non incarnata da nessun gruppo di potere particolare, neanche da un certo gruppo di imprese. Il primato dell’impresa perseguito da questo governo anche e soprattutto a livello istituzionale, infatti, non ha a che fare con le richieste delle “imprese che ci sono”, ma di quelle che ci dovrebbero essere.

E’ qui che si può notare come il programma di questo governo sia figlio diretto dell’Unione Europea, non dei “poteri forti” italiani, che pure hanno raggiunto con lui – finora – un doloroso e faticoso compromesso. Si rifaranno sugli esclusi da qualsiasi “patto sociale”, ovvero i lavoratori sans phrase (dipendenti, precari, autonomi monocommittenti, disoccupati, pensionati, ecc), contro i quali tutto sarà permesso a partire dall’approvazione del Jobs Act.

Questa capacità di proporsi in pubblico non come (l’ennesimo) “governo dei padroni” (o dei “poteri forti”), ma come un’entità quasi metafisica di “cambiamento”, è per il momento l’arma vincente di questo “populismo dall’alto”, somministrato a forza di “ggioventù sorridente”, come certi serial killer alla jockerman.

In camicia bianca per marcare anche nell’icona la distanza dal “socialismo di neandertal”. Il che dovrebbe svuotare di senso qualsiasi nostalgia per i tempi dell'”Ulivo, per le coalizioni coatte “per battere Berlusconi e la destra”. Non c’è più alcuna differenza reale all’interno della “ggiovane” classe dirigente europea ed italiana. Neanche sui diritti civili, per un ventennio unica discriminante tra la cosiddetta “sinistra” e l’autentica destra. I destri accettano l’eterologa e le coppie di fatti, la “sinistra” fa suo il liberismo economico, il “rigore”, l’austerity, il massacro dei lavoratori in carne e ossa, l’abolizione del welfare. E lo fa anche meglio, con più entusiasmo, con “maggiore capacità innovativa”. Addirittura con più “simpatia” e spirito da presa per i fondelli.

Non sono, né vogliono apparire, conservatori come quelle mezze calzette della vecchia destra, ancora lì a cercare voti di scambio con i boss locali dell’economia criminale (orami diventata una frazione riconosciuta del Pil).

Quelli del Pd-Pse sono reazionari veri.

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1 Commento


  • luciano

    Il problema per chi vuole davvero fermarli non risiede in quel palco,ma in quella platea plaudente e adorante.

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