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Roma. “Progetto San Basilio” e la paura di un murales

Sono passati quarant’anni da quell’8 settembre in cui perse la vita Fabrizio Ceruso, durante gli scontri con la polizia scoppiati in seguito allo sgombero di alcune case occupate a San Basilio. Fabrizio accorse da Tivoli per difendere un bisogno fondamentale come la casa, in nome di quella solidarietà tipica di coloro che vivono la stessa situazione di sfruttamento e privazione.

Il progetto “San Basilio, storie de Roma”, composto da varie realtà sociali della zona, da un anno sta ripercorrendo la storia di questa borgata e le motivazioni che hanno portato gli abitanti del quartiere a un’esplosione di rabbia e di dignità così grande, da non considerare, come più volte ribadito, come episodio sporadico e fine a sé stesso. Da maggio ad oggi si sono susseguiti momenti di analisi storica e di coinvolgimento degli abitanti, dibattiti in piazza, testimonianze dirette da parte di chi ha vissuto quelle giornate.

Nell’ambito delle iniziative di settembre per il quarantennale, si voleva lasciare un segno tangibile del ricordo di Fabrizio, che potesse diventare patrimonio del quartiere. Questa volontà si è unita all’estro di un grande artista come Blu, che ha scelto di contribuire all’evento attraverso un’opera che rappresentasse gli avvenimenti del 1974.

Anzitutto, un po’ di cronaca può aiutare a rendere più chiara la dinamica degli eventi. L’8 settembre ha luogo un partecipato presidio alla lapide di via Fiuminata; nel corso della giornata, Blu inizia a dipingere la facciata di Piazzale Recanati. Il 13 settembre il murales viene completato e si svolge la giornata in piazza a Largo Arquata del Tronto con sport popolare, banchetti, concerti. Il 16 settembre scoppia il caso mediatico; la notte stessa, fuori da ogni plausibile tempistica burocratica, un camion dei Piics (decoro urbano), scortato dalla polizia, cancella una parte del murales in questione, abbandonando sul posto i poveri lavoranti del braccio meccanico che, chiamati nel cuore della notte per la rimozione totale dell’opera, non trovano nessuno al loro arrivo. Da quel momento ogni singolo spostamento nei pressi del murales viene immediatamente rilevato e impedito dalle forze dell’ordine, neanche fosse una zona militare.

Un’iniziativa partita dal basso che, evidentemente, ha suscitato le ire di molti. Polemiche scatenate, in realtà, da un contesto molto più complesso della semplice dialettica “poliziotti maiali si, poliziotti maiali no” apparsa sui giornali.

Parlare di legalità e illegalità di un murales piuttosto che di un altro appare alquanto contraddittorio, specialmente in un quartiere come San Basilio. Come se solo il Comune e i suoi pennelli di fiducia conoscessero le esigenze del territorio e fossero i monopolisti di una presunta “riqualificazione urbana” volta essenzialmente a rendere un quartiere popolare il prossimo terreno speculativo per i palazzinari di turno. Una nuova veste per la borgata , fino a poco tempo fa denigrata da tutti come il paradiso della criminalità e oggi invece al centro delle attenzioni di architetti e ingegneri da ogni parte del mondo, non certo per salvaguardarne il tessuto popolare. La sdegno creato dal dipinto nell’intera amministrazione comunale e la rapidità con cui si è palesato sono sorprendenti, almeno quanto la passività degli stessi governanti quando si evidenzia che il quartiere ha il più alto tasso di dispersione scolastica della città, che innumerevoli famiglie sono a rischio sfratto, che la disoccupazione dilaga, i servizi sono carenti e gli spazi di socialità praticamente assenti. Le istituzioni da queste parti si fanno vedere solo per reprimere o per curare i propri interessi, quarant’anni fa come oggi.

Fabrizio è un morto di Stato, ucciso, come tanti altri, proprio da coloro che ogni giorno difendono la legalità, anche quell’8 settembre in cui essa coincideva con l’occupazione militare di San Basilio e lo sgombero violento di centinaia di famiglie in emergenza abitativa. A quarant’anni di distanza, le lotte per l’abitare sono tutt’altro che sopite e il bisogno di un tetto continua ad essere forte, nonostante l’unica risposta della controparte continui ad essere costituita da sgomberi, sfratti, pignoramenti. Oggi come ieri, la legalità continua ad essere molto lontana dalla giustizia sociale e dai bisogni della gente, sbandierata solo a misura e comodo di chi detiene le fila del potere. La difficile situazione in cui versano San Basilio come molti altri quartieri non è casuale, Roma è purtroppo piena di ghetti in cui da più di un secolo si confinano, legalmente, gli esclusi dalle “luci del centro città”.

In questo contesto si inserisce il murales di Blu, il quale ha reinterpretato a suo modo la complessa storia del quartiere e dei suoi abitanti. Il dipinto ha preso forma nell’arco dell’intera settimana dall’8 al 13 settembre, alla luce del sole, con grande partecipazione della gente di San Basilio che ha costantemente assistito e contribuito alla realizzazione del Santo del quartiere, protettore degli occupanti di case nella tradizione popolare. Senza sotterfugi, senza finanziamenti, senza scavalcare la volontà del quartiere ma anzi considerandola come unica legittimazione.

L’operazione di terrorismo mediatico posta in essere nei giorni successivi lascia perplessi. E’ grottesco l’accanimento e la interminabile serie di falsità con cui ci si è scagliati contro il dono di un artista ad un quartiere per ricordare l’uccisione di un ragazzo 19enne per mano della polizia, pezzo di storia di San Basilio e di tutta la città. E ancor più grottesca è la parziale censura fatta sul dipinto con una sorta di operazione paramilitare notturna in fretta e furia: dunque non si stanno contestando la mancata autorizzazione del dipinto, la blasfemia del soggetto, la contrarietà del quartiere, bensì si procede ad una modifica-lampo perchè, in sostanza, la raffigurazione dei poliziotti fatta dall’autore non va bene. Una sorta di iconoclastia dei giorni nostri, in cui, lungi da una benchè minima contestualizzazione, qualsiasi tipo di avversità, anche indiretta, nei confronti del potere costituito viene interpretata come un attacco al cuore dello stesso. Senza contare la libertà d’espressione, la censura di un artista di fama mondiale, l’opinabilità di giudizio su un’opera d’arte satirica, ma questa è un’altra storia; solo ci chiediamo, insieme a Blu, come raccontare dunque la storia di Fabrizio Ceruso e della battaglia di San Basilio in modo “politicamente corretto”?

Il progetto “San Basilio, storie de Roma” afferma con forza l’assurdità dell’operazione con cui l’amministrazione comunale e i suoi collaboratori stanno infangando il nome di Fabrizio Ceruso e di tutta la sua famiglia, la storia di San Basilio e la dignità dei suoi abitanti. La memoria di Fabrizio, evidentemente, fa ancora molta paura…

1974-2014

FABRIZIO CERUSO VIVE!

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