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Renzi sbatte contro l’Unione Europea

Siamo tornati ai tempi dei rapporti tempestosi tra Italia e Unione Europea? Con Renzi al posto di Berlusconi, ma con un blocco sociale alle spalle che sta diventando sempre più simile a quello che vedeva nel Caimano la sua speranza?

Lo scontro con il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha improvvisamente assunto toni d’altri tempi, con il placido democristiano lussemburghese – assistito dal capogruppo dei popolari, il tedesco Weber – impegnato a difendere il suo “governo” dall’accusa di essere solo “una banda di burocrati”; ma velenosissimo nel ricordare che “se si fossero ascoltati soltanto i burocrati, il giudizio sul bilancio italiano sarebbe stato diverso”. Traduzione semplice semplice: siamo noi “politici” della Commissione, compreso il ragionier Jyrki Katainen, ad aver accolto la legge di stabilità italiana con un “poi vediamo meglio”, anziché col rigetto e l’obbligo di riscrittura sotto dettatura. Ma facciamo ancora in tempo a cambiare idea…

Ci sono però altri due fatti, contemporanei allo scontro, che lasciano pensare a un conflitto assai più serio del solito scambio di battute via tweet.

In primo luogo la materia strettamente economica, con l’Italia che presenta il fianco debole su deficit e debito, anche se è formalmente promesso il rispetto del 3% sul primo punto, grazie però alle “clausole di salvaguardia” che porteranno – nel caso – l’Iva al 25,5%. Su questo punto l’esame tecnico ancora non è stato completato e potrebbe benissimo – se dovesse saltare definitivamente il clima da “luna di miele” con la Ue che ha assistito Renzi nei primi quattro mesi del “semestre europeo” – concludersi con l’apertura di una “procedura di infrazione”. Una volta persa l’aura di intoccabilità che spetta al presidente di turno, infatti, si rischia di pagare più cara ogni rodomontata verbale e ogni posta di bilancio in disordine.

In secondo luogo, il preavviso di una “procedura di impeachment” contro Mario Draghi dentro la Bce. La nota di agenzia dell’autorevole Reuters, diffusa ieri, piena di voci critiche “da dentro”, unanimente ricondotte a Jens Weidmann (il presidente di Bundesbank), è l’ultimo avvertimento trasversale all’”indisciplinata” Italetta renziana: finora siete rimasti a galla solo per la politica monetaria (moderatamente) espansiva della Bce, cui la Germania è praticamente contraria, ma se non capite le regole del gioco esigeremo la sua sostituzione e allora vi troverete a fare i conti da soli con mercati inferociti. Come la Grecia o giù di lì.

Difficile che questa minaccia diventi un’azione, certo. Il peso economico dell’Italia è molto superiore a quello della Grecia e una crisi di quelle dimensioni metterebbe davvero a rischio rottura – stavolta senza salvagenti, vista la dimensione dell’intervento che diventerebbe necessario – la moneta unica. Ma l’avvertimento resta: il tempo dei giochetti furbetti, “all’italiana”, è davvero finito. O perlomeno è esaurita la pazienza dei vertici Ue.

Renzi non sembra averlo capito. O meglio, ha reagito come uno che sta in campagna elettorale permanente, berciando contro Bruxelles fino a profferire oscure minacce (“ci sono dei patti, Juncker lo sa”, o anche “abbiamo un’idea diversa di Europa, sui programmi vi marcheremo stretto”) che possono irritare, non certo preoccupare o far cambiare idea a chi tiene saldamente in mano le redini del gioco continentali.

Difficile però che Padoan o altri personaggi più esperti non lo abbiano spiegato al premier fino alla nausea. Probabilmente sta arrivando di nuovo a tensione l’ala “doc” dell’Unione Europea (incentrata sull’asse Parigi-Berlino) contro quella “anglosassone”, in ultima analisi “americana”. Qui Renzi ha mostrato troppe volte di essere più attento ai rapporti con David Cameron e gli Usa che non alle relazioni con i partner continentali. Incidentamente, va ricordato anche che Renzi e Cameron non volevano Juncker come presidente, ma Merkel sì. È finita come tutti sanno, perché pesa chi pesa e non chi fa le battute, ma “le ruggini” si fanno sempre sentire al momento giusto.

Diciamo che negli ultimi 15 giorni Renzi non ne ha imbroccata una. Ha aperto uno scontro con i sindacati meno conflittuali della storia del dopoguerra, costringendoli a far vedere che il consenso sociale al governo si sta rapidamente esaurendo. Si è visto respingere addirittura dal suo mentore, Giorgio Napolitano, il tentativo di mettere agli Esteri un’altra “ragazzina” senza curriculum. Ha dovuto rinunciare a visitare in pompa magna Napoli, temendo di vedersi ritratto poi sui media come un indesiderato “occupante” inviso al popolo. Ha pestato i piedi ai maggiorenti dell’Unione Europea per darsi l’aria di chi è in grando di far convergere su di sé anche i sentimenti “euroscettici” (presenti anche nelle assenblee di Confindustria, non solo nelle valli lumbard o nelle periferie metropolitane).

Uno come lui – e come Berlusconi – ha però una sola strategia di gioco: rilanciare sempre. Tipo (ieri sera, a Ballarò): “La riforma successiva a quella dell’Italia è quella dell’Europa”. Ma, come al tavolo di poker, prima o poi qualcuno viene a “vedere”. Specie se – come l’Unione Europea, cioè la Germania – sa che in mano hai solo scartine e zero assi. A quel punto, hai voglia a fare “cucù”…

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