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Referendum sulla “riforma Fornero”. Giusto in ogni caso

Liberi tutti. Se chi ha pilotato Renzi nella “scalata” al Partito Democratico era convinto che da quella posizione si potesse fare qualsiasi cosa sul “mercato del lavoro” e contro la rappresentanza sociale, contando sulla storica dipendenza della Cgil dal “partito guida”, e quindi sulla sua infinita “disponibilità” a sacrificare interessi sociali concreti al totem del “disegno politico”, ha fatto male i suoi conti. O comunque ha gestito assai male rapporti decisamente complessi.

La sortita di Susanna Camusso a margine della manifestazione del pubblico impiego, sabato a Roma, è di quelle che segnano un passaggio di confine: “Qualora la Corte Costituzionale approvasse il referendum della Lega Nord per l’abolizione della legge Fornero noi siamo pronti ad appoggiarlo”. Non lo promuoviamo noi, non ci stracceremmo le vesti se non si fa, ma nell’eventualità “siamo pronti ad appoggiarlo”.

Se non è una dichiarazione di guerra a Renzi e al rapporto col Pd, poco ci manca. Anche al di là delle sue intenzioni, normalmente ben poco battagliere. Di certo è la presa d’atto che non esiste più una “sponda politica” certa e affidabile, per il sindacato tradizionale. E che quindi si gioca in campo aperto, senza ruoli già assegnati, senza “appartenenze” che vincolano a decisioni su cui non si può influire oltremisura.

Sia chiaro: il passo è limitato, la rinuncia a prendere l’iniziativa “ferma” come sempre. E’ la stessa Camusso a spiegare che questa “battuta”, in realtà, punta a far cambiare la riforma da questo governo (“Il referendum determinerebbe una scadenza temporale al governo per intervenire contro una legge ingiusta”); il che sembra decisamente illogico o utopistico. A ragione, la segretaria generale dello Spi-Cgil, Carla Cantone, stamattina su Repubblica, le rimprovera la mancanza di iniziativa contro la riforma Fornero quando questa era in discussione (solo tre ore di sciopero a fine turno, praticamente nulla); ma lo fa occhieggiando anche a vecchie “appartenenze” che non ci sono più, spiegando la sua posizione con il non voler “mettersi alla ruota di altri”, ossia della Lega.

In ogni caso, comunque, gli antichi giochi sono stati sparigliati con il “renzusconismo” e ora si vanno tutti rideterminando secondo configurazioni ancora da inventare. La “svolta lepenista” impressa dal razzista Matteo Salvini alla Lega segna l’introduzione nello scenario politico italiano di un soggetto dichiaratamente di destra che punta a egemonizzare il lavoro dipendente classico, e il voto operaio in primo luogo. Come in Francia. Usando il tema della disoccupazione e dei bassi salari, quello della precarietà e dell’età pensionabile, in chiave di contrapposizione tra lavoratori “indigeni” e “”stranieri”.

Per riuscirci deve necessariamente assumere la difesa degli interessi di questa parte sociale. In modo strumentale, certo, in modo volgare e bastardo, sicuramente. Ma deve assumerli e far vedere che fa qualcosa su questo terreno. E cosa può fare? Senza troppa fantasia, si impossessa di proposte ed idee che già viaggiavano nel mondo sindacale e nella sinistra “non di governo” (dal sindacalismo di base ai gruppi politici), ma che non avevano ancora preso corpo e visibilità per timore di non riuscire nell’impresa (bisogna raccogliere 800mila firme in tre mesi, per essere sicuri di avere il mezzo milione necessario), o per antiche divisioni in micro-capannelli (più che “organizzazioni”). Ma anche per la certezza che un “referendum di estrema sinistra” contro la riforma Fornero sarebbe stato oscurato mediaticamente, al pari degli scioperi generali del sindacalismo di base; in un cortocircuito negativo, per cui se non lo fai non ne parlano, ma se non ne parlano non riesci a farlo come si dovrebbe…

La sola “disponibilità eventuale”  della Cgil a un passaggio referendario contro la riforma Fornero proposto dalla Lega cambia però la dimensione del gioco. Anche a sinistra, insomma, diventa possibile prendere in mano da protagonisti una serie di temi senza più rischiare (troppo) di incorrere nell’ostracismo ideologizzato e un po’ (molto) complice.

Del resto, è fin troppo chiaro a qualsiasi lavoratore che “la Fornero” gli ha rovinato la vita. E non solo a quelli più anziani. Anche i giovani, infatti, “grazie” a quella riforma infame, vedono slittare sempre più in là la possibilità di trovare un lavoro vero, perché “gli anziani” non possono lasciarlo. E’ insomma la prova vivente che la contrapposizione tra giovani e vecchi è un artificio retorico governativo, una panzana per dividere quelli che si vogliono spennare.

Ma è possibile fare il referendum? I quesiti proposti dal Carroccio hanno già incassato l’ok della di Cassazione; ora bisognerà attendere il parere della Corte Costituzionale. Ma la materia pensionistica appare decisamente accessibile alla “volontà popolare”, anche se contraddicendo pesantemente i diktat dell’Unione Europea (contro i cui trattati, invece, non si possono proporre referendum abrogativi, ma solo “di indirizzo”). Anche le eventuali dimissioni di Giorgio Napolitano non inciderebbero più di tanto sulla tempistica di effettuazione, perché in caso di dimissioni non c’è il “semestre bianco” che annulla una serie di atti politici (dallo scioglimento delle Camere ai referendum, appunto).

Sta di fatto che sulle questioni delle pensioni e del lavoro, come su molte altre, da qui in poi, potremo e dovremo discutere in termini di interessi sociali e non più del colore della maglietta. Per il buon motivo che sotto la maglia non c’è più nulla (se qualcuno pensa ancora che il Pd sia un “partito di sinistra” rischia il ricovero e il Tso obbligatorio).

I confini delle dinamiche sindacali e sociali diventano mobili, permeabili, alla lunga inesistenti. Contano gli interessi sociali, di classe. E “rappresentarli” vuol dire difenderli a spada tratta, apertamente, senza subordinazioni ulteriori a “giochetti politici” senza più respiro né identità. Altrimenti lo farà qualcun altro, strumentalmente. Contro di noi.

Il mare è aperto, le correnti sono di forza gigantesca. Ma non c’è alternativa al navigare tenendo d’occhio la stella polare degli interessi di classe. Chi resta fermo può farlo, saranno gli altri a travolgerlo.

 

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