Menu

Roma. Arrestati uomini delle ‘ndrine. Le mafie nella Capitale

Nell’inchiesta “Mondo di mezzo” emergono i collegamenti con le ‘ndrine calabresi. Questa mattina il Ros dei carabinieri ha arrestato Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, entrambi indagati per associazione di tipo mafioso. Secondo le accuse dei magistrati inquirenti Rotolo e Ruggiero assicuravano il collegamento tra alcune cooperative gestite dalla holding fascio/malavitosa romana con la ‘ndrangheta calabrese. Gli arresti ed alcune perquisizioni sono stati eseguiti nelle province di Roma, Latina e Vibo Valentia.
I collegamenti, in particolare, sarebbero emersi tra alcune delle cooperative gestite da Salvatore Buzzi e Massimo Carminati nel consorzio 29 giugno con la cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia). Nel luglio 2014 Buzzi, con l’assenso di Carminati, avrebbe affidato la gestione dell’appalto per la pulizia del mercato Esquilino di Roma a Campennì Giovanni, ritenuto dai magistrati un imprenditore di riferimento della cosca dei Mancuso, mediante la creazione di una Onlus denominata Cooperativa Santo Stefano.

Con questi arresti, la tesi di Mafia Capitale, cioè di una organizzazione di stampo mafioso (e non solo malavitoso) nella gestione di appalti, servizi, corruzione e quant’altro, avrebbe incastrato un altro mattone a proprio sostegno. Se così fosse, il verminaio che l’inchiesta sta portando allo scoperto sarebbe di gran lunga più consistente di quello che abbiamo visto fino ad ora.
Per dirne solo una, a novembre sono state scoperte a Roma circa 2500 società intestate a persone senza fissa dimora. Il fenomeno, iniziato negli anni ’90, recentemente era esploso fino a raggiungere le 2.500 società fantasma. Queste società che avevano il proprio recapito presso mense Caritas, centri d’accoglienza e onlus di volontari, corrispondevano però a ristoranti, agenzie pubblicitarie, ditte edili. Ad esempio all’indirizzo fittizio di via Dandolo, dove ha sede la Comunità di Sant’Egidio e fanno riferimento migliaia di senza fissa dimora, corrispondono ben 1.203 società fittizie. Tra le 1.700 attività commerciali e produttive coinvolte nel giro, 686 sono le ditte ambulanti, 415 quelle che si occupano di allestimenti (vetrine, stand, banchi), 327 le ditte di pubblicità (volantini ecc.), 179 le ditte specializzate in vendite porta a porta, 166 le imprese di edilizia e manutenzione. Ma ci sono anche 144 imprese di traduzioni e interpretariato e 42 aziende di consulenza informatica.
Il giro è emerso dai controlli incrociati che da circa un anno a questa parte erano stati effettuati da Polizia Locale, dal Dipartimento Attività Produttive del Comune e dalla Camera di Commercio. Un dettaglio certo ma non irrilevante. “Nel Lazio, e soprattutto a Roma, – precisa la Direzione Nazionale Antimafia in un suo documento del 2013 – le organizzazioni mafiose non operano secondo le tradizionali metodologie, non realizzano comportamenti manifestamente violenti, non mirano a sopraffarsi per accaparrarsi maggiori spazi, ma anzi tendono a mantenere una situazione di tranquillità in modo da poter agevolmente realizzare quello che è il loro principale scopo: la progressiva infiltrazione nel tessuto economico ed imprenditoriale della Capitale allo scopo di riciclare, e soprattutto reimpiegare con profitto, i capitali di provenienza criminosa”.

L’insediamento delle ‘ndrine calabresi nella Capitale non è però una questione venuta alla luce in queste ore, anzi, a ben vedere è un processo in atto da tempo e che già era stato ampiamente documentato. Come noto, dopo la fine della banda della Magliana Roma era diventata una prateria da riconquistare. Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra erano partite con maggior determinazione alla conquista definitiva della Capitale. Ma a Roma c’è anche una spartizione del territorio da rispettare. Rompere i confini o gli equilibri significa scatenare una guerra. Qualcosa di simile è avvenuto nel 2011 quando ci sono stati nella Capitale ben 35 morti ammazzati per strada nella violenta guerra di mala scatenatasi nella città. Poi, probabilmente, è stato raggiunto un nuovo equilibrio, una auspicata “situazione di tranquillità” come recita il documento della Dna.
Se il “Patto a quattro” vedeva Roma divisa tra Carminati, i Fasciani, Senese e i Casamonica, le ‘ndrine calabresi lavorando di alleanze e di rotture, avrebbero accresciuto parecchio la loro influenza nella Capitale. Secondo alcuni fonti, sarebbe proprio la ‘ndrangheta ad avere il maggior numero di quartieri sotto il suo controllo. Secondo la Direzione Investigativa Antimafia le zone divise per sfera d’influenza sono cinque. Si parte con il quartiere Flaminio controllato dalle ‘ndrine dei Morabito, Bruzzaniti, Palamara, di Africo Nuovo. San Basilio sarebbe invece controllato dalla ‘ndrina Sergi-Marando, mentre Tor Bella Monaca sarebbe sotto il controllo della ‘ndrina Alvaro in collaborazione con la criminalità locale dei Casamonica. A Ciampino c’è la camorra con il Clan Senese e ad Ostia, infine, ci sono Camorra e Cosa Nostra in collaborazione con il clan Fasciani.

Salvatore Calleri, presidente della Fondazione Caponnetto così analizza la situazione nella Capitale: “La situazione a Roma e provincia non è buona. Roma può essere definita anche come“capitale delle mafie” e questo perché convivono mafie italiane e straniere. Tra l’altro gli omicidi di questi ultimi due anni dimostrano che quella della Capitale non è una situazione da sottovalutare, e per fortuna non viene sottovalutata”. Per Calleri il motivo del radicamento delle organizzazioni mafiose a Roma, è strategico, geografico e geopolitico: “Ovviamente perché è la capitale d’Italia. Roma è il centro del potere ed è normale che si concentrino qui i vari clan”.

Secondo il magistrato Otello Lupacchini questa sottovalutazione della penetrazione e del radicamento mafioso a Roma ha una sua ragione: “Anni e anni di sottovalutazione del fenomeno d’infiltrazione ha consentito stanziamenti che, se contrastati già 30/40 anni fa, probabilmente non si sarebbero verificati. A ciò si aggiunga che Roma è pur sempre la capitale d’Italia ed è qui che si trova il motore degli affari, in cui le mafie affondano i loro artigli. Senza contare che ci si trova al confine con la Campania, il che consente la risalita dei Casalesi nel Lazio, da sotto il Garigliano. In più i grossi mercati criminali, come quello della droga, sono favoriti dall’alta concentrazione di popolazione a Roma. Se mettiamo insieme tutti questi fattori è normale che ne venga fuori una miscela esplosiva”.

Ma per le ‘ndrine, Roma è uno snodo decisamente strategico. Roma rappresenta il collegamento perfetto tra Nord e Sud, ed è per questo motivo che la ‘ndrangheta ha scelto la Capitale come nuova colonia. Per le ‘ndrine sono infatti molto importanti i collegamenti con il nord Italia e soprattutto il nord Europa, dove il mercato è in aumento. L’influenza della ‘ndrangheta riguarda soprattutto i comuni collegati a livello portuale come Nettuno e Anzio per facilitare il traffico. Ma dove “investe” la ‘ndrangheta nella Capitale? La malavita calabrese a Roma gestisce soprattutto gli investimenti immobiliari, alberghieri, la ristorazione e il commercio di autoveicoli e di preziosi. Infine, e con un peso di tutto rilievo, c’è il traffico di sostanze stupefacenti e il gioco d’azzardo, legalizzato dal 2004 con una decisione del governo e che vede zone come la Tiburtina e la Prenestina diventate una sorta di Las Vegas all’amatriciana.

Nel 2013, il quotidiano romano Il Tempo rende nota e sintetizza un documento dell’Antimafia sulla situazione a Roma. Lo scenario che emerge è che le ‘ndrine abbiano ormai radici fortissime nel tessuto economico della città. Dal documento si evince una mappa piuttosto dettagliata della piovra ’ndranghetista in una città dove qualsiasi clan – si legge nel documento – è autorizzato a far affari (anche con acerrimi nemici) senza pestare i piedi a chi già li fa da anni.

Nel documento si fa poi riferimento alle sfere d’interesse delle singole famiglie ma anche all’azione delle ’ndrine sul riciclo di capitali illeciti (prevalentemente frutto di traffico di droga). La droga prima di tutto, con i referenti dei clan calabresi che utilizzano i loro rapporti privilegiati con i narcos sudamericani per rifornire anche il mercato capitolino. Sono molti i nomi e gli esempi citati nel documento dell’Antimafia: su tutti Roberto Pannunzi, broker della droga dei Morabito e dei Macrì, scomparso ad aprile del 2010 prima dell’ultimo arresto di luglio. Ed è sempre nella Capitale che, nel marzo 2013, la polizia interrompe un traffico di stupefacenti messo in piedi dai Gallace attraverso i contatti criminali instaurati con la famiglia dei Romagnoli tra i quartieri di Torre Maura e San Basilio. I Bruzzaniti-Palamara di Africo invece hanno puntato su Fonte Nuova come base per un traffico imponente di stupefacenti.

Ma non c’è solo il traffico di droga. I sequestri di beni avvenuti a Roma negli ultimi anni segnalano una forte attenzione per bar e ristoranti di lusso. Nel campo della ristorazione si segnalano soprattutto due tra le famiglie più influenti del panorama criminale calabrese: i Gallico di Palmi e gli Alvaro di Sinopoli. Nel luglio del 2013 si è proceduto al sequestro di esercizi commerciali prestigiosi come il caffè Chigi, vicinissimo alla sede del Governo, e del bar Antiche mura, nei pressi dal Vaticano, intestati a prestanome dei Gallico. Le indagini della Guardia di Finanza e del Ros dei carabinieri scoprono che i gestori di alcune attività della “city” intorno a Via Veneto, Piazza Barberini, sono riconducibili agli Alvaro e si sono accaparrati i locali in contanti ma a prezzi stracciati. Molte le segnalazioni anche sugli investimenti sospetti in bar, ristoranti, alberghi di lusso, tabaccherie, negozi di abbigliamento, discoteche, chioschi al mercato, palazzi, a partire “dal quartiere Prati alle zone più «nobili» della città, lungo le consolari, fino all’hinterlad, da Ostia a Formello” segnala il documento riportato da Il Tempo. Nel settore immobiliare vengono segnalate strane cessioni di aziende con numerosi passaggi di proprietà o compravendita di licenze. Come nel caso della holding “Adonis” – riconducibile a presunti prestanome dei Gallico – che si occupava di acquisire immobili di prestigio nei ricchi e prestigiosi quartieri Parioli e Coppedè. O come nel caso della famiglia Frisina-Saccà, che avrebbero acquistato appartamenti a Boccea (zona Nord) immettendo liquidità finanziarie imponenti nel mercato immobiliare pur dichiarando redditi al di sotto della soglia di povertà.  I Parrellio invece orientano i loro “investimenti” sulle auto di lusso e le aziende radiologiche. Investimenti a tutto campo e in tutta la Capitale, dunque.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *