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L’addio di Napolitano, senza più conigli nel cilindro

Inutile nasconderlo. Ci attendevamo un discorso “epocale”, retorico – sì – ma con indicazioni di prospettiva comprensibili, anche se totalmente da respingere.

E invece nulla. Il discorso di un uomo stanco e senza colpi d’ala. Sostegno al governo, certo. E ci mancherebbe pure, visto che questo è proprio il “suo” esecutivo, quello più extraparlamentare della storia, nato tra primarie “aperte” – ampiamente truccate, dunque – e con l’obbligo di far convivere quello che era stato il partito erede del Pci e il finto antagonista storico, la formazione tenuta insieme da un Berlusconi più stanco di lui.

Sostegno alle “riforme costituzionali”, anche. A partire da quel bicameralismo perfetto che ha più volte indicato come unico responsabile delle lungaggini legislative (come se invece gli interessi concreti fossero ininfluenti….). Un percorso “da portare con decisione fino in fondo”, lasciandosi definitivamente alle spalle la Carta nata dalla Resistenza (non male come contraddizione logica e costituzionale…). Costituzione citata, sarà un caso, soltanto per definire “legittime” le sue ormai prossime dimissioni.

Sostegno pieno alle “riforme socioeconomiche”, a partire dal Jobs act, e quant’altre Renzi – o chi per lui – partorirà a breve.

Difesa dell’Unione Europea contro i “populismi” che cavalcano il sogno idiota del ritorno alle “monete nazionali” (un’investitura indiretta di Salvini come unico antagonista legittimo della maggioranza, a ben vedere). E soprattutto dai “pericoli veri”, identificati senza tema del ridicolo nell’estremismo islamista e nelle vicende ucraine.

Appunto. Sostegno a quel che già è in moto, ma nulla di più. Finiti i conigli nel cappello, le uscite spiazzanti da dover decodificare, gli slanci retorici sostenuti da qualche contenuto concreto. Di repertorio anche l’analogia tra la necessità attuale di “mantenere la coesione” e “rimboccarsi le maniche” e il clima della “ricostruzione postbellica” (sorvolando sulla non banale constatazione che – ufficialmente – non c’è stata in anni recenti alcuna guerra, anche se “le perdite” contabilizzate in termini di Pil e disoccupazione cominciano a somigliarci).

Depressivo l’invito a “ognuno” a darsi da fare, a “intraprendere” per uscire dalla crisi. Lo Stato, su questo, sembra non aver più quasi nulla da dire o da proporre, arreso alle dinamiche di un mercato sovranazionale che le regole europee impongono di favorire abbattendo ostacoli, resistenze, diritti umani.

Al massimo – e ci mancherebbe anche – può “disboscare il sottosuolo” dalle varie mafie, capitali e non. Curiosa comunque la diversa stratificazione operata da Napolitano, pur mutuando la categorizzazione “der Cecato”, Massimo Carminati. Quest’ultimo identificava se stesso e tutta la politica come “il mondo di mezzo”, posto al servizio del “mondo di sopra” per mangiare sulla testa del “mondo di sotto”. Napolitano parla di questo “mondo di mezzo” come “sottosuolo”. SI può capire… Quello “di sotto” non interessa affatto; si tratta solo liberare quello “di sopra” dalle intermediazioni non convenzionali (e non più necessaie, probabilmente) esosamente fornite da quello “di mezzo” (“sottosuolo” ormai indesiderabile, nel salotto buono di Bruxelles o Francoforte).

Il vuoto che ora lascia, Napolitano lo ha rappresentato fino all’ultimo nel più fedele dei modi. Quel tanto di retorica che ancora può sgorgare dall’alto pescherà senza ritegno nel paniere della “fiducia”, del “credere in se stessi”, dell'”orgoglio nazionale”. Senza che la “nazione” – e lo Stato che la governava – sia più un valore, però.

Tutto e il contrario di tutto, per coprire il nulla. L’uroboro – da ultimo – mangia se stesso. E’ il futuro, questo, bellezza!

 

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