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Il Pd verso la scissione. Lo vuole Renzi

Prepariamoci con pazienza alla scissione del Partito Democratico. Produrrà sconquassi soprattutto in quel che si muove alla sua sinistra, sempre in attesa di qualche evento salvifico che possa rimpolpare la più antica e perdente delle coazioni a ripetere: un “grande contenitore senza progetto, che tenga insieme le vare anime della sinistra, perché la differenza di idee e prospettive è una ricchezza“.

Sia chiaro: noi siamo convinti di star vivendo un momento storico decisivo, in cui si giocano gli assetti costitutivi del ftutro, sia sul piano delle relazioni sociali che su quello delle istituzioni politiche. Una vera tragedia storica, di cui non sappiamo neppure quali categorie potranno usare, per interpretarla, gli storici del futuro. “Fascismo” è al tempo stesso troppo (finché non volano manganellate) e troppo poco (gli strumenti di repressione moderni sono molto più potenti).

Ma dentro questa tragedia, italicamente, c’è sempre spazio per la farsa. A cominciare dal protagonista assoluto di queste ore, il renziano Stefano Esposito, “creatore” del maxiemendamento che – grazie alla graziosa benevolenza del vicepresidente del Senato, Tiziana Fedeli, che l’ha ammesso – ha di fatto cancellato i quasi 50.000 emendamenti presentati dalle opposizioni. Cosa c’è di geniale? Nulla. Ha riproposto il testo di legge così come l’hanno concordato Renzi e Berlusconi, tale e quale. Ma in qualità di “emendamento” non è a sua volta emendabile. Quindi passerà così com’è, con buona pace di chi ancora crede di vivere in una democrazia, ovvero in un regime politico dove le decisioni generali vengono “contrattate” pro rata da tutti i protagonisti.

Sì, proprio Esposito, il pasdaran della Tav, colui che “sfida” il movimento contro l’alta velocità in Val Susa anche a costo di inventarsi minacce, pedinamenti, “terroristi” di varia specie e natura.

Non contento di aver partorito la procedura che consente di bypassare il normale dibattto parlamentare – basterà ripeterla per ogni altro provvedimento – ha anche rivendicato la ratio politica del gesto con un’intervista a Repubblica: «Ritieni Renzi il peggio del peggio del peggio della politica e della società italiana? Cristo santo, vai! Fai un partito! Il popolo sicuramente è lì plaudente, non aspetta altro. Vai e ti misuri, avrai il mio grande rispetto. Così sei un parassita».

Quindi è Renzi a volersi liberare dei suoi scassapalle e “parassiti” un po’ sfessati che restano nel Pd, non viceversa. Prova ne sia il giudizio che uno dei malpancisti sotto sferza, Guglielmo Epifani, ha dato della fuoriuscta di Sergio Cofferati (anche lui ex segretario della Cgil): ha sbagliato, avrebbe dovuto continuare a “combattere dall’interno per aggiustare le cose. Ha posto problemi seri che dovevano essere affrontati in maniera diversa, ascoltando le sue denunce. Dopo di che, non condivido la sua decisione di uscire dal partito. E neanche alcune delle sue motivazioni”.

Il quadro è insomma fin troppo chiaro: da una parte un gruppo di eversori istituzionali che agiscono secondo un piano, con una filiera di comando certa, senza esitazioni sulla strategia, anche se commettono una caterva di errori tattici, che non vuole fare né compromessi, né  prigionieri. Dall’altra uno sciame di singoli, senza piano, senza progetto, senza strategia né tattica unitarie (chi vuole “lavorare dall’interno”, ma non sa dire una direzione diversa, e chi si rassegna ad andarsene). Non ne resterà vivo neanche uno. Gli ultimi ad uscire verranno buttati fuori d’autorità. E dubitiamo che ce ne possa essere anche soltanto uno disposto a fare come l’inquilina sfrattata di Colli Aniene, a Roma (l’anziana che ha lasciato l’appartamento, ma anche la bombola del gas aperta, in modo far esplodere tutto, provocando un morto e vari feriti).

Il primo schieramento portatore degli interessi del capitale multinazionale in generale, disposto o necessitato a mediare entro certi limiti anche con il “blocco berlusconiano” (criminalità organizzata compresa); l’altro portatore di interessi sempre subordinati, specializzato – storicamente – nel partorire mediazioni perdenti col capitale trionfante. Di questo secondo fronte, spiega Renzi, quel capitale non sa più che farsene. Ma chi lo compone non ha alcuna prospettiva diversa.

Non c’è partita. Renzi vincerà anche questo scontro, seppure al prezzo di ammettere di essere l’alter ego di Berlusconi e non il “nuovo messia del centrosinistra”. Un vecchio democristiano, e non dei più onesti; soltanto questo.

I problemi verranno creati, dicevamo, soprattutto a sinistra, non a lui. è in quest’area smandrappata e pulviscolare che “la scissione del Pd” (per di più nella forma di “cessione lenta”) potrebbe rimpolpare numericamente, aumentando il rumore di fondo che già l’assorda.

Intendiamoci: che ci sia “opposizione” al renzismo non può che farci piacere. Che questa “opposizione” abbia anche dimensioni di massa, pure. Il problema resta sempre: per fare che? Per quali obiettivi? Contro quali nemici?

Non vorremmo insomma dimenticare che la governance del paese non appartiene al costituendo “partito della nazione” renzusconiano, ma al complesso di organismi sovranazionali – abbreviati in “Troika” – che dispone della politica economica, bancaria, di sicurezza, militare, monetaria, pensionistica, ecc, come fossero cosa loro. Ancora non si è fatti avanti uno psichiatra abbastanza bravo da curare quelli che vedono “partiti della nazione” nascere nella fase in cui la nazione, di fatto, scompare. Ma, per restare all’ambito della nascente “rinascente sinistra di governo italiana” (una vi di mezzo tra il grande magazzino e il suq) ci piacerebbe sapere in che cosa questa si differenzierebbe dal renzismo rispetto ai diktat provenienti da Unione Europea, Bce e Fmi.

Nell’attesa, ci sembra sufficiente ricordare quel che hanno prodotto i Bersani, Fassina, Damiano, Cuperlo, Prodi, D’Alema e compagnia cantando quando hanno avuto responsabilità di governo. Quella presunta differenza, nel paese, non l’ha vista mai nessuno.

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