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Genova, Landini e Letta alla festa di Limes. Imbrigliati nella stessa gabbia

Genova è una città che non offre più nulla. La superbia con cui ancora la si apostrofa s’è persa in un trentennio abbondante di arretramento dell’antagonismo operaio e studentesco, poi definitivamente seppellito dall’epoca delle grandi privatizzazioni, che hanno trasformato uno dei vertici del fu triangolo industriale in terreno di caccia e devastazione della speculazione edilizia prima e del terziario becero (centri commerciali e robaccia assortita) dopo.
Anche dal punto di vista culturale, della passata abbondanza non resta che il rimasuglio di un cantautorato che evade il fisco e la caricatura di una comicità che riempiendo qualche palazzetto dello sport in giro per l’Italia, ha pensato d’essere assurta al rango di politica veicolabile.
Che mestizia…
Questo necessario preambolo per dire che in tal deserto, quando capita qualcosa che, anche sulla carta, pare interessante, vale la pena buttarcisi a pesce.
Così ho fatto con il secondo festival di Limes, nota pubblicazione di geopolitica del gruppo l’Espresso, quindi casa dell’azionista di riferimento del PD.
La tre giorni genovese di Limes è incentrata sulla geopolitica finanziaria, spaziando dalla crisi dell’eurozona, all’analisi del mercato finanziario in senso lato, alle fortune economiche dello Stato Islamico.
Tanta roba insomma, in particolar modo l’incontro relativo alla crisi dell’eurozona, per l’ovvio motivo che ci siamo tutti dentro, e per i nomi dei relatori: Maurizio Landini ed Enrico Letta.
Apre le danze il moderatore della serata, Lucio Caracciolo, già direttore della rivista. La sua introduzione è implacabilmente impietosa, merito anche di un’apprezzabile qualità oratoria. Sostanzialmente la bocciatura in merito all’architettura dell’UE è totale e foschi sono i presagi del direttore in merito ad una deflagrazione dello spazio europeo che si tinge sempre più velocemente di nero (ogni riferimento ai fascio-nazi che scorrazzano sempre più tronfi dalla Francia, alla Grecia, dall’Italia all’Ucraina passando per Germania e Finlandia non è puramente casuale).
Nulla da eccepire quindi, se non fosse che la sua analisi ha la tara originaria di volersi porre come imparziale, il che presta il fianco al fatto che gli avvenimenti vengono scandagliati sotto la luce di una lente neutra che non consente d’identificare alla radice le ragioni per cui i fatti si verificano e i motivi che portano a determinate scelte. Manca insomma il convitato di pietra, ciò che muove le sorti della Storia da quando esiste l’umanità: i rapporti conflittuali tra chi ne fa parte.
Archiviato il proprio preambolo, Caracciolo lascia spazio ai due ospiti.
Il primo atto spetta a Maurizio Landini che in una mezz’ora abbondante di discorso, mette in luce tutte le tare della sinistra (politica e sindacale) di questo paese: mancanza di strumenti atti a comprendere e divulgare alle masse l’esistente (in diversi momenti la carenza espositiva e lessicale di Landini è stata imbarazzante), idee poche e confuse, incapacità d’uscire dagli steccati costituiti (memorabile il passaggio in cui ha affermato che i suoi discorsi non intendono porsi nell’ottica di superamento del capitalismo, fortuna che Galileo non si faceva spaventare dai recinti, altrimenti saremmo rimasti alla Terra formato sottiletta per qualche secolo di troppo…).
La sua retorica si è insomma esaurita nell’invocazione alla socialdemocrazia europea declinata in chiave Syriza e con forti tinte costituzionaliste. Il suo intervento, ha strappato numerosi consensi ad una platea esemplificativa dello scollamento tra classe dirigente e mondo, le teste canute infatti erano la stragrande maggioranza e gli sparuti gruppi di giovani – antagonisti compresi – sembravano lì chi per far presenza (ma con espressioni in volto che comunicavano ben poca comprensione di quanto percepivano) chi per prendere nervosamente appunti, forse in vista di qualche esame o analisi universitaria della serata in svolgimento.
Esauritosi il fervore del segretario FIOM è venuto il turno dell’ex capo del governo, Enrico Letta.
Ammetto che dopo la “confusione” dell’intervento di Landini mi aspettavo da secondo ospite un discorso decisamente più borghese per taglio retorico e analisi. Nulla di tutto questo, la mezz’ora abbondante del democristiano in salsa rosa è stata le declamazione di tutte le supercazzole con cui l’avvento dell’UE venne pubblicizzato alle popolazioni europee una 15ina d’anni fa. Pareva di essere nel pieno di un ritorno al passato, in cui l’eurozona veniva dipinta come foriera di opportunità impensabili e baluardo d’ogni tutela. Seppur non sveglissima, la platea è rimasta “turbata” dalle parole di Letta, quasi prossima a domandarsi se la declamazione cui assisteva provenisse da una persona fuori dal mondo o da un abilissimo mentitore seriale.
E’ stato necessario il secondo round di botta e risposta tra i due invitati su punzecchiata di Caracciolo – incaricatosi di far presente che è pretestuoso parlare di valori comuni in uno spazio così disomogeneo come l’UE, dove convivono democrazie nate dalla resistenza e nazioni che ritengono le SS dei liberatori – per fare luce sulle “schizofrenie” insite nelle parole dell’ex presidente del consiglio.
Se infatti il nuovo intervento di Landini non ha aggiunto niente al suo pronunciamento precedente, limitandosi ad alzare i toni della propria confusa retorica – al netto del fatto che di cose condivisibili ne ha dette molte, ma si connotano tutte come superate dagli eventi o comunque non in grado di imprimere una svolta che non è necessaria solamente nello spazio europeo, ma nel Mondo tutto – quello di Letta, per chi l’ha compreso (e a spanne saremmo stati in una decina al massimo) ha tolto il velo sulla sua natura: quella imperialista.
Eh già perché il pio parroco pisano l’ha detto a chiare lettere: bisogna stare nell’UE in quanto è l’unico spazio – imperiale – capace di offrirci copertura nei confronti della lotta serrata già in atto e che si inasprirà nel prossimo 30ennio, nei confronti dei poli imperialistici concorrenti, ovvero i BRICS e la Cina in particolare. Una volta in corsa, il protetto dalla scudo crociato s’è lasciato andare alla retorica fascistoide avvallata dalla menzogna.
Dall’analisi delle cause della crisi scompare qualsiasi responsabilità del capitalismo (figurarsi accennare al fatto che si tratta di una questione naturalmente insita nello stesso) e della sua deriva finanziaria, se stiamo male è perché 1,5 miliardi di cinesi e un miliardo scarso d’indiani ha deciso che era finito il tempo di avere le pezze al culo e si sono messi a produrre più di noi quello che noi producevamo prima di loro.
La fascisteria del discorso lettiano sta in quel continuo “noi” volto a farci sentire tutti nella stessa barca (eh si, perché pure tu caro Enrico, sei stato precario, hai vagato per giorni da un’agenzia interinale all’altra, sei stato sfruttato e umiliato dal “padrone” ecc. vero?!?) anteposto a quel “loro” volto a dipingere chi sta fuori – dal mondo occidentale – come diverso e nemico a prescindere (quando invece un operaio Foxxcon o un manovale dei cantieri indiani ha molto più a che spartire con la maggior parte di noi rispetto a Letta).
Il picco più squallido del proprio discorso Letta l’ha toccato tacciando di irresponsabilità la Cina – che non ha leggi sull’ambiente, non è democratica ecc. – di fatto sputando su una cultura millenaria di cui probabilmente conosce al massimo i vasi Ming; quello più inquietante quando ha reclamato a gran voce l’impegno internazionale dell’occidente anteposto al disinteresse delle potenze emergenti – irresponsabili – per le aree di crisi; quello più triste quando ha proposto due soluzioni per rinsaldare lo spirito europeista nelle popolazioni continentali: l’Erasmus per i 16enni e un sostegno al reddito chiaramente identificabile come europeo (magari pensava ad un assegnino con l’effige della Merkel…).
Smaltita la rabbia, il discorso di Letta mi ha immediatamente catapultato nei peggiori fasti delle avventure coloniali e guerrafondaie di mezza Europa, comprendendo chiaramente che la classe dirigente di questo continente, ci sta guidando speditamente verso scontri di cui ignora completamente la portata – l’avventurismo libico e ucraino sta li a dimostrarlo – perché questi soggetti, oltre ad essere arroganti e spocchiosi, sono anche ignoranti come capre, e l’ignoranza è peggiore e più dannosa della malafede.
La nota più dolente dell’incontro tuttavia s’è consumata in chiusura, quando alla platea non è stato concesso nemmeno un intervento, con buona pace dei tanto sbandierati, fino a quel momento, valori di democrazia e partecipazione della civiltà europea.
In definitiva un incontro dai contenuti ampiamente sotto la media per il sottoscritto, ma capace di togliere il sonno per gli scenari che il facente funzione della classe dirigente ha delineato, e la pochezza della soluzioni portate dal rappresentate – seppur istituzionalizzato – “di classe”.
Mi resterà, quindi, la consolazione prodotta dalla bellezza della Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale a Genova, unita al sentore che presto o tardi sarà necessario tornare sui monti per ricostruire un mondo in cui valga la pena di vivere.

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