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Guerra alla guerra. Anche Roma si mette in marcia

Come già in altre città italiane, anche a Roma la Rete dei Comunisti ha chiamato al dibattito e al confronto alcune delle realtà politiche, sociali e della solidarietà internazionalista che negli ultimi anni si sono caratterizzate per una tenace iniziativa contro la guerra, contro la militarizzazione dei territori e contro le spese militari.
Una sfida difficile che ha dovuto fare i conti ormai nell’ultimo decennio con la scomparsa dalla scena del grande

movimento pacifista che fino ad un certo punto ha cercato, promuovendo grandi mobilitazioni di massa, di stoppare la partecipazione italiana alle avventure militari nelle quali di volta in volta i governi di centrodestra o centrosinistra hanno trascinato il paese a rimorchio dell’imperialismo statunitense. 
Ora che lo scenario globale è animato da più soggetti imperialisti, con l’emergere di un nuovo polo geopolitico europeo e il rafforzamento di quello giapponese dopo un lungo periodo di crisi, la guerra non solo non è scomparsa come strumento delle controversie internazionali ma sta di fatto diventando immanente. Come ci ha tenuto a ricordare l’intervento del Collettivo Militant, la crisi del capitalismo e la tendenza alla diminuzione del saggio di profitto nel contesto di un pianeta scosso dalla competizione tra diversi poli imperialisti in concorrenza tra loro per i mercati e le risorse, non possono che aumentare la tendenza alla guerra del sistema complessivamente inteso. Non è quindi questione di governi più o meno irresponsabili o guerrafondai, ma di una natura intrinseca dell’attuale condizione del capitalismo internazionale che rischia di trascinare il pianeta in una guerra globale dalle proporzioni non prevedibili a partire da conflitti locali sempre più numerosi all’interno dei quali sono le grandi potenze a confrontarsi spesso per interposta persona. 
Basta scorrere la mappa per rendersi conto, ha affermato Roberto Luchetti della Rete dei Comunisti prima dell’introduzione di Gualtiero Alunni, che un vero e proprio ‘arco di fuoco’ circonda lo spazio dell’Unione Europea dal Maghreb passando per l’Africa Centrale fino al Medio Oriente e poi arrivando all’Afghanistan e all’Ucraina, laddove la placca geopolitica europea si scontra con gli interessi statunitensi e con quelli di Russia e Cina, soggetti internazionali che di fatto rappresentano oggi i maggiori competitori dei tre blocchi imperialisti.
Uno ‘scenario di guerra permanente’ – come lo ha definito Nella Ginatempo, della Rete No War – che di fatto aumenta le responsabilità delle forze autenticamente pacifiste, internazionaliste e antimperialiste di fronte al venir meno del soggetto pacifista di massa, spappolatosi di fronte all’emergere di una Unione Europea che persegue i propri interessi attraverso interventi bellici mascherati da missioni umanitarie o di peacekeeping o facendo ricorso – come ha ricordato invece Alberto Fazolo (Comitato per il Donbass Antinazista) – alle più classiche strategie di destabilizzazione e al colpo di stato in Ucraina per perseguire i propri interessi egemonici ad est insieme ed in concorrenza con l’amministrazione statunitense. In questo quadro preoccupante emergono nuovi attori regionali con proiezione internazionale, come ad esempio quello che l’Istituto Affari Internazionali – ha sottolineato Marco Santopadre, della Rete dei Comunisti – definisce la ‘Nato islamica’, nata pochi anni fa attorno all’Arabia Saudita e che ormai rappresenta un soggetto dell’escalation bellica mondiale, basti vedere l’intervento militare delle petromonarchie e della coalizione sunnita prima in Libia e ora nello Yemen.
E’ evidente che l’emergere del protagonismo dell’Unione Europea rispetto ad un indebolimento strategico degli Stati Uniti – che non rinunciano però alla propria aggressività militare e anzi la ripropongono per bilanciare l’ascesa di nuovi competitori – rischia di produrre un effetto di ulteriore indebolimento delle realtà sociali tradizionalmente critiche nei confronti della guerra, della militarizzazione e della spesa militare che anzi potrebbero sostenere un eventuale sforzo bellico del blocco europeo – all’ordine del giorno ad esempio per quanto riguarda lo scenario libico con il governo Renzi-Gentiloni che spinge per un intervento militare a salvaguardia dei propri interessi a Tripoli – in nome della difesa dei valori e delle condizioni di vita occidentali contro una minaccia islamista reale ma strumentalizzata dalle classi dirigenti di Bruxelles e Francoforte.
Se nel nostro paese dovesse riprodursi uno scenario come quello che abbiamo visto negli ultimi mesi prima a Parigi, poi in Olanda, poi ancora in Danimarca e in Tunisia, come risponderebbe l’opinione pubblica italiana? Che capacità avrebbe di reazione di fronte al richiamo al “fronte comune contro il terrorismo” tutto quel mondo dell’ex sinistra pacifista che ormai sembra addormentata nel migliore dei casi o purtroppo spesso complice dei governi nel piegare l’attività di ong,  associazioni e sindacati alle esigenze degli apparati politici e militari? La sfida che abbiamo davanti – hanno affermato vari degli intervenuti al dibattito nella sala di via Galilei – è quella di lavorare mettendo in rete le diverse esperienze, di amplificare l’impatto delle iniziative di ogni singola realtà e di coordinarne di comuni, di lavorare per affinare il dibattito e l’analisi su uno scenario in continua e rapida evoluzione, affinché non si venga colti impreparati da un’improvvisa precipitazione degli eventi che potrebbe ridare fiato agli spiriti guerrafondai all’interno delle classi dirigenti del nostro paese e della stessa sinistra. Non è un nuovo comitato unitario che la Rete dei Comunisti propone, ma un meccanismo di dibattito e consultazione stabile tra diverse realtà che entri in campo con maggior forza rispetto al passato, in occasione ad esempio delle manifestazioni indette per il 25 aprile – per supportare le resistenze internazionaliste e dei popoli in lotta e per respingere i tentativi di boicottaggio da parte del Pd e delle Comunità Ebraiche, hanno sostenuto Maurizio Musolino (Pcdi) e il Comitato con la Palestina nel cuore) – oppure del prossimo 2 giugno, in cui la proposta è quella di una giornata di mobilitazione nazionale nei vari territori. Altri momenti di mobilitazione comune indicati per le prossime settimane riguardano le iniziative di supporto della lotta delle popolazioni del Donbass contro l’azione bellica del regime di Kiev, tra cui la commemorazione della strage di Odessa del 2 maggio dello scorso anno e la Carovana Antifascista coordinata dalla Banda Bassotti.
D’altronde l’Italia è già in guerra visto che questo paese viola vari trattati ospitando sul suo territorio varie decine di testate nucleari statunitensi e spendendo almeno 80 milioni ogni giorno per il proprio apparato militare e per sostenere missioni militari all’estero illegali, un argomento che i soggetti impegnati contro la guerra dovrebbero maggiormente impugnare in epoca di austerity e di tagli continui e irresponsabili allo stato sociale, al lavoro, alle pensioni, all’istruzione, alla cura del territorio.
E’ evidente che se appare relativamente facile mobilitarsi e schierarsi quando è il classico e sfacciato imperialismo statunitense a intervenire in qualche quadrante del mondo, lo è assai di più farlo quando invece è l’imperialismo di casa nostra, quello incarnato dall’Unione Europea, ad agire, anche a causa di un ritardo anche di quei settori della sinistra sociale e radicale che continuano a considerare il progetto di un polo geopolitico europeo riformabile e comunque da preferire al contraltare d’oltreoceano. Ma è evidente anche che una coerente mobilitazione contro la guerra non può che fare i conti innanzitutto con il proprio imperialismo, come ha ricordato Mauro Luongo di Rossa.

Rete dei Comunisti – Roma

(da www.retedeicomunisti.org)

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