Menu

Bds. Israele preoccupata dalla campagna di boicottaggio

“Prima ti ignorano, poi ti deridono, infine ti combattono”. Lo schema di Gandhi sembra attanagliarsi perfettamente alle reazioni messe in campo dalle autorità israeliane e dai loro sostenitori a livello internazionale. La campagna Bds (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) contro Israele è stata avviata nel 2005, tre anni dopo la sanguinosa repressione della seconda Intifada palestinese. Ignorata nella prima fase, derisa nella seconda, da un anno a questa parte la campagna Bds viene combattuta a tutti i livelli dalle autorità israeliane, sia introducendo una legge che prevede sanzioni giudiziarie per chi la sostiene, sia mobilitando i loro apparati ideologici (scrittori, giornalisti etc.) in Europa e negli Stati Uniti per demonizzare chi sostiene e pratica la campagna di boicottaggio.

Il 19 giugno è stato lo scrittore Abraham Yoshua su La Stampa a mescolare “parole di buonsenso”  contro gli eccessi di Israele con l’urgenza di depotenziare una campagna di boicottaggio. “Israele, in un primo tempo, non ha preso sul serio questi segnali di boicottaggio. Dopo tutto già negli Anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, prima della guerra dei Sei Giorni, quando il giovane Stato ebraico era economicamente e politicamente debole, i Paesi arabi si coalizzarono per un suo boicottaggio, in particolare in campo economico. Tale tentativo però fallì, soprattutto a causa del mancato appoggio del mondo occidentale. La memoria della Shoah era ancora viva nella coscienza generale e Israele era giustamente considerato una democrazia che lottava per la propria sopravvivenza contro dittature arabe il cui potere economico non trovava riscontro nel livello di vita dei loro abitanti” scrive Yoshua “ Ma il boicottaggio che sta prendendo piede ora è di carattere completamente diverso ed è diretto a un Israele diverso. Sì, Israele è ancora «l’unica democrazia del Medio Oriente» ma la storia del XX secolo ci insegna che anche Paesi democratici possono conquistare territori e commettere gravi soprusi contro altre nazioni, come la Francia in Algeria o gli Stati Uniti in Vietnam e, più di recente, in Iraq. Il regime democratico di Israele non lo rende immune dal commettere ingiustizie nei confronti dei palestinesi o dal mantenerli per anni sotto occupazione militare e civile. Per questo nella comunità internazionale si va diffondendo l’attuale boicottaggio (un’iniziativa, per certi versi, simile a quella attuata a suo tempo contro il Sud Africa) con l’intenzione di costringere Israele a cambiare linea politica, ma soprattutto (ed è questa la cosa importante) a fermare l’espansione degli insediamenti nei territori destinati al futuro Stato palestinese” sottolinea lo scrittore israeliano.

Il 20 giugno invece è toccato a un panzer del sionismo europeo, il filosofo Bernard Henry Levy, l’uomo inseguito dalle torte in faccia in mezza Europa, a fare il suo lavoro di supporter a Tel Aviv. E non poteva che trovare ospitalità sul Corriere della Sera. Ma le argomentazioni del filosofo di tutte le guerre occidentali si sono spente in quanto a efficacia. Non riesce ad andare oltre all’invocazione di “perché non boicottate il Qatar?”. Invocare un doppio standard da chi – come Israele – ne ha usufruito ininterrottamente dal 1948 a oggi appare argomento ormai spuntato e francamente irricevibile.

Infine non poteva mancare Fiamma Nirenstein che oggi dalle colonne del giornale amico “Il Giornale” si strappa i capelli perché la campagna Bds si sta affermando ben oltre di quanto le autorità israeliane e i loro supporter avessero mai pensato.  Anche la Nirestein però non brilla per originalità e ricorre ad argomenti da disco incantato: “Il Bds è antisemita, è un nuovo tipo di guerra molto astuto perchè legalizza una vera persecuzione antisraeliana, coprendola della menzogna di essere a favore del benessere dei palestinesi, per la pace, contro l’occupazione: ma non è vero”.

Sono passati dieci anni dal lancio della campagna internazionale Bds e la realtà ne sta dimostrando l’efficacia. Israele, con la brutale repressione della seconda Intifada nel 2002, con i massacri su Gaza del 2009 e del 2014, pensava di aver posto fine alle aspirazioni del popolo palestinese nel raggiungimento dei suoi obiettivi. Le sconfitte sul campo, l’altissimo numero di vittime e prigionieri, le divisioni tra Hamas e Al Fatah, gli opportunismi di alcuni dirigenti palestinesi, la destabilizzazione totale in Medio Oriente provocata dagli interventi e ingerenze imperialiste statunitense ed europee, il gioco sporco delle ambizioni dell’Arabia Saudita e del polo islamico, hanno indubbiamente indebolito la lotta per l’autodeterminazione del popolo palestinese.  A questo punto solo l’intervento di una potenza esterna poteva riaprire il gioco e mettere in difficoltà la politica coloniale israeliana. Ovviamente questa potenza non potevano  essere gli Usa né l’Unione Europea (vedi la miserrima vicenda di Tony Blair come presidente del “quartetto” sul Medio Oriente) rivelatisi sistematicamente complici dell’occupazione coloniale israeliana. Questa potenza si è manifestata e declinata con l’iniziativa di base di una campagna internazionale come il Bds che, goccia a goccia, ha combattuto su ogni aspetto della rete di complicità tra potenze occidentali e Israele: dagli accordi economici allo sport, dai concerti musicali agli eventi culturali. E gli effetti, dopo dieci anni, stanno preoccupando seriamente l’avversario da battere. Le reazioni isteriche delle autorità israeliane e dei loro apparati ideologici di stato (come gli articoli sui giornali italiani che abbiamo visto) confermano che – con grande “scuorno” per le anime belle che continuano a cianciare di Israele come “unica democrazia del Medio Oriente” – questa strada si sta rivelando efficace per poter cambiare le cose per i palestinesi. Anche per il Sudafrica dell’apartheid la partita sembrava chiusa dopo la grande repressione del 1985/86 contro i movimenti e le proteste dei neri. Ma solo quattro anni dopo, nel 1990 il regime dell’apartheid, boicottato a livello internazionale, venne costretto a trattare, e nel 1994 Nelson Mandela divenne il primo presidente nero del Sudafrica. Le cose cambiano ma hanno bisogno di lotta, tenacia e perseveranza.

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *