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Giornalisti di guerra in tempi di crisi

Siamo in trepida attesa del primo titolo, sui giornali italiani, in cui si giurerà che Tsipras – o più probabilmente Varoufakis – ogni tanto si mangia un bambino…

L’elenco delle provocazioni, della false notizie, del rovesciamento delle parti, è praticamente infinito e non risparmia nessun media di regime. Diciamo “di regime” in senso tecnico, visto che il “nostro caro leader” di Pontassieve è genuflesso ai voleri della Troika più di un Rajoy o un Samaras.

Una volta c’era per esempio la Rai, informazione pubbica dove ogni tanto si potevano trovare servizi buoni, addirittura eccellenti, che davano un quadro se non altro “obiettivo” del problema esaminato. Magari lasciavano anche intravedere una predilezione per una soluzione su cui non eri d’accordo, ma fatto con un po’ di discrezione, dando comunque in primo piano i dati concreti. Tutto finito. Basta guardare l’immagine qui di fianco, in cui la Rai descrive una manifestazione ad Atene a favore del “sì” (pro-Troika, insomma) con una foto presa dalla manifestazione del giorno prima, a favore del “No”. Un giochino pedestre (chi l’ha montato andrebbe cacciato in effetti a pedate per omessa deontologia professionale) che evidentemente faceva conto sull’ignoranza del greco tra i telespettatori o gli utenti in rete.

Batte alcune decine di record il servizio di Federico Fubini, inviato ad Atene del Corriere della sera, che in un solo articolo riesce a dare l’immagine di una città senza turisti (che non hanno limiti di prelievo al bancomat), di navi che partono vuote, di uno Tsipras “stravolto” e in balia degli eventi, incerto su tutto, e infine di un luciferino Varoufakis che starebbe studiando un piano per stampare dracme da scambiare alla pari con l’euro. Un lettore che sappia poco ci può cascare, uno che abbia letto qualcosa di più profondo degli articoli di Fubini sa invece da solo ce qualsiasi moneta viene scambiata sui mercati, quindi il suo valore di scambio effettivo non viene deciso dall’emittente (dallo “stampatore”), ma dall’accoglienza di quelli che se la passano di mano.

L’esempio più noto, nella styoria recente, risale all’unificazione tedesca dopo la caduta del muro. Il predecessore della Merkel, Helmuth Kohl, decise che i marchi della Ddr (Germania Est) sarebbe stati accettati alla pari con i marchi della Rft (Germania Ovest). Si poteva fare, perché avrebbero circolato solo all’interno della Germania riunificata e per il tempo (assai limitato) necessario a far smaltire le vecchie monete in mano agli “ossie”, alle prese col trauma del passaggio a un’economia completamente diversa e a cui si arrendevano. Naturalmente il marco Rft subì una svalutazione temporanea, i partner europei chiusero entrambi gli occhi per favorire la riunificazione al prezzo più basso possibile e tutto andò per il meglio (per la Germania, almeno).

Fare il contrario – stampare una moneta diversa pretendendo di mantenere lo stesso valore di cambio “arbitrario” con qualsiasi altra – è invece praticamente impossibile. A meno che tutti coloro che dovrebbero vedersela consegnare non siano d’accordo nel considerarla di pari valore. Non stiamo ovviamente parlando dei cittadini greci, ma dei paesi creditori. Qualcuno faccia la domanda alla Merkel, se se la sente. Ma gli consigliamo di scappare prima di essere raggiunto dalla risposta. Contundente.

Naturalmente, se vinceranno i “no” e non ci sarà – logicamente – nessun accordo successivo con i creditori, allora la Grecia dovrà stampare una propria moneta per garantire la normale circolazione commerciale, pagare gli stipendi e le pensioni, ecc. Che sia una nuova dracma o i vecchi euro (come cambiano rapidamente le cose, vero?) con la facciata nazionale greca, in ogni caso si avrebbe una svalutazione immediata. Che nessuno sa però quantificare con ragionevole certezza. Fiocccano percentuali “terroristiche” (“oltre il 50%”), ma sono per l’appunto tali: modo per spaventare il lettore italiano e dissuaderlo dal criticare l’assetto istituzionale dell’Unione Europea.

Ma Fubini non è il solo. Qualsiasi giornalista si avventuri nelle file ai bancomat o tra le persone al mercato costruisce “reportage” fantasiosi. Non perché necessariamente falsifichino le dichiarazioni fatte da questo o quel cittadino spaventato (lo sono anche i favorevoli al “no”, ovviamente, perché si tratta comunque di un salto in “territori sconosciuti”, come detto anche da Draghi). Non è necessario. Quando si lavora con decine di mini-intervsite, basta selezionare quelle che risultano più utili al tipo di “pezzo” che la testata di appartenenza ti ha commissionato. Il resto vien da sé…

E informazione di guerra, fatta, calzata e rifinita. Eviedentemente c’è in corso una guerra. Ma nessuno – tantomeno questo tipo di “informazione” – ce l’ha mai detto.

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