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L’ultimo colpo di coda della procura torinese contro i No Tav

La coazione a ripetere è un indice di disadattamento alla realtà che muta. Così come guardare il presente con gli concetti del passato. Se poi il passato data a oltre 30 anni prima, e già allora subiva defromazione paurose, allora le conseguenze sono pericolose. Purtroppo, se la coazione a ripetere possiede chi ha il potere di disporre della libertà altrui il pericolo riguarda chi gli capita sotto tiro.

 Il 15 ottobre si aprirà il processo di appello, a Torino, per l’incendio di un generatore di corrente nel cantiere di Chiomonte, avvenuto nella notte tra il 13 e il 14 maggio del 2013. Quattro ragazzi sono stati condannati in primo grado a tre anni e sei mesi per “detenzione di armi da guerra, danneggiamento seguito da incendio e violenza a pubblico ufficiale”.

Accusa già di per sé ultra-esagerata, visto che i quattro sonos tati arrestati solo sette mesi dopo “grazie” ad intercettazioni sui telefoni usati quella notte (peraltro non intestati ai quattro). E le bottiglie molotov, comunque, sono considerate “armi da guerra” soltanto in Italia fin dal 1977, quando se ne faceva un uso decisamente più frequente e massiccio.

Ma la Procura torinese aveva voluto dare il massimo di potenza a quel primo processo, fino a farne una proposta di format per la repressione del movimento No Tav in generale. E quindi aveva incartato quei reati già esagerati in una mostruosa “aggravante per fini di terrorismo”. Non c’è persona dotata di senno che non veda la differenza tra un vecchio generatore danneggiato in un cantiere e le milizie terroriste-integraliste che seminano morte e distruzione in molti paesi. Perché, oltretutto, la memoria della procura torinese è così bloccata sugli anni ’70 italiani da non accorgersi che “terrorismo” è da allora un concetto-chewingum, che ogni potere riempie come meglio crede. Così, come che a Torino doveva sembrare una obliqua evocazione delle Brigate Rosse, nella testa del pubblico presente suona soprattutto come una ridicola equiparazione all’Isis o Al Qaeda. Ridicola, appunto, se non implicasse richieste di pena abnormi.

Il Tribunale, in primo grado, ebbe il buon senso di eliminare l’aggravante per “terrorismo”, mantenendo purtroppo il resto dell’impianto accusatorio e la gravità dei reati contestati, tanto da affibbiare tre anni e mezzo di condanna.

Ma anche questo è apparso troppo poco alla Procura sabauda, tanto che il Procuratore Generale, Marcello Maddalena, ha ritenuto necessario assumere in prima persona il ruolo dell’accusatore nel processo d’appello (richiesto ovviamente anche dai compagni imputati).

E lo ha fatto proprio per rafforzare la richiesta di aggravare le condanne alla luce delle “finalità terroristiche”, nonostante stia per andare in pensione.

Le motivazioni scritte dai sostituti Rinaudo e Padalino – sostenitri dell’accusa anche in primo grado – sono un modello di ideologia da stato autoritario d’altri secoli: “L’assalto nella notte tra il 13 e il 14 maggio si colloca nell’antagonismo estremo, un atto di guerra contro il nostro Stato, per condannare le sue scelte di politica economica o condizionarlo nelle sue scelte future“. Guai a chi critica le scelte dello Stato, insomma, guai a esercitare il diritto di opporsi per “condizionare” quelle scelte. Viene da chiedersi cosa dovrebbe fare una qualsiasi opposizione politica che non condivide l’azione di un governo. Erdogan, scrivevamo qualche anno fa, sembra un capofila su questa strada

E dire che la Cassazione aveva già bastonato duramente il parere del Tribunale del Riesame, completamente coincidente con quello della Procura.

Secondo i giudici di ultimo grado, infatti, quelle bruciature su un generatore non hanno rappresentato un “grave danno per un Paese o un’organizzazione internazionale” (c’è una misura, anche economica, in tutto). Anche perché, viste le perplessità anche francesi sulla realizzazione della Tav, si è “creata un’apprezzabile possibilità di rinuncia da parte dello Stato alla prosecuzione delle opere per l’Alta Velocità”.

Riassumendo: come fa a esserci “grave danno”, per di più “con finalità terroristiche”, se pure le autorità dello stato, negli ultimi mesi, si trovano davanti alla possibilità di abbandonare un progetto costo, inutile, dannoso e osteggiato dai residenti?

E in effetti la Cassazione aveva avvertito il Tribunale del Riesame: cambiate giudizio e formulazione, perché è evidente una “sproporzione di scala tra i modesti danni materiali provocati e il macroevento di rischio cui la legge condiziona la nozione di terrorismo“. Peggio: i giudici hanno presentato “una ricostruzione dei fatti non sufficientemente argomentata, per poi desumerne comunque conseguenze giuridicamente scorrette”. Ci sarebbe da trarne le necessarie conseguenze…

E invece la procura di Torino ha deciso di rilanciare, impegnando il Procuratore Generale stesso in una tenzone che appare – giuridicamente e culturalmente – persa in partenza.

Contenti loro…

 

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