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L’Ue boccia la finanziaria di Madrid. Per mandare un avvertimento a Renzi

Dopo un primo parziale ‘sì’ arrivato la settimana scorsa da Berlino, all’inizio di questa la Commissione Europea ha invece pubblicato la sua ‘opinione’ sulla legge di bilancio spagnola per il 2016 che di fatto suona come una bocciatura. 

Il governo dell’Ue giudica infatti la bozza di Finanziaria redatta dal governo di destra di Madrid “a rischio di non rispetto del Patto di Stabilità e Crescita” imposto a tutti (o meglio, a quasi tutti) i membri dell’Unione.
Tanto per ribadire a Madrid e agli alti Pigs chi comanda, nel corso di una conferenza stampa convocata a Bruxelles il vice presidente dell’esecutivo comunitario, il baltico Valdis Dombrovskis, ha tuonato: «La Commissione europea chiede al governo spagnolo di eseguire rigorosamente il bilancio del 2015 e di assicurare il pieno rispetto del bilancio 2016 con il Patto di Stabilità e di Crescita. In questa ottica chiediamo alle autorità nazionali spagnole di inviarci al più presto, una volta insediatosi il nuovo governo, una versione aggiornata della loro Finanziaria».
Insomma la legge di bilancio spagnola non va, e va riscritta al più presto appesantendone l’impatto su una popolazione già stremata da anni di sacrifici a senso unico, tagli, privatizzazioni, licenziamenti, decurtazioni salariali e pensionistiche.
Il problema è che il Partito Popolare e il premier Mariano Rajoy, già reduci da una sfilza di sconfitte elettorali inanellate in tutte le recenti tornate elettorali – dalle municipali alle amministrative alle regionali catalane – vorrebbe per una volta essere di manica un po’ più larga. Non certo sulla base di una rinuncia all’austerità e al rigorismo classista che hanno da sempre contraddistinto le sue politiche economiche, ovviamente. Semplicemente perché il 20 dicembre prossimo si vota per il rinnovo delle Cortes, il Parlamento statale, e il PP vorrebbe evitare di essere impallinato dagli elettori più di quanto non sia già allo stato prevedibile a causa delle nefandezze pregresse compiute dalla destra postfranchista.
Frau Merkel – compagna di merende di Rajoy nella grande famiglia popolare europea – aveva almeno in parte compreso le urgenti necessità del compare spagnolo, prevedendo almeno per quest’anno un parziale allentamento di alcuni dei parametri imposti dalla troika ai cugini poveri del Mediterraneo. Che tanto qualsiasi governo gestirà la Spagna nei prossimi anni, a meno di non voler operare una rottura con l’Unione Europea e l’Eurozona, dovrà sottostare alle imposizioni del pareggio di bilancio e del patto di stabilità inserite in costituzione.
Ma i grigi euro-burocrati di Bruxelles non prevedono deroghe alla spietata legge dell’integrazione continentale e hanno quindi imposto a Madrid di correggere “gli errori” quanto prima. In particolare il governo dell’Ue ha detto quindi di considerare insufficiente lo sforzo di risanamento del bilancio spagnolo. Madrid prevede infatti per il 2015 un deficit del 4,2% del Pil quest’anno e del 2,8% l’anno prossimo, ma la Commissione non crede alle promesse di Rajoy e ritiene più probabile che in realtà Madrid chiuda rispettivamente al 4,5 e al 3,5%, sforando di molto il tetto/dogma del 3% sia quest’anno che il prossimo.
Ma nella decisione di bocciare la Finanziaria spagnola non c’è solo un accanimento dell’euroburocrazia nei confronti della già martirizzata popolazione spagnola. In realtà la scelta, sulla quale è intervenuto direttamente dopo una “lunga riflessione” il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, sembra dettata dalla volontà di mandare un esplicito avvertimento al governo italiano. Insomma il ‘no’ a Madrid è indirizzato anche – e forse soprattutto – a Roma, dove Matteo Renzi continua a declamare che come scrivere la finanziaria e dove tagliare le tasse lo decide lui. Il governo Renzi, al netto delle roboanti dichiarazioni del novello Berlusconi, insiste nella richiesta di poter godere di una certa dose di flessibilità nel giudizio sull’andamento dei conti pubblici, vantando i propri sforzi e i propri presunti successi nel risanamento dell’economia e chiedendo quindi mano libera nella scelta di nuovi investimenti strutturali.
Certo, la Spagna – come la Francia – ormai da tempo è sottoposta a un regime speciale di controllo (leggasi commissariamento) da parte dell’Unione Europea in virtù del continuo sforamento del limite del 3% di deficit sul Pil, mentre la situazione italiane è meno grave dal punto di vista dei parametri dettati dalla Commissione Europea. Ma allungare il guinzaglio a Roma potrebbe avere ripercussioni anche sull’atteggiamento della Francia, oltre che dei paesi mediterranei finora tenuti alla catena, e a Bruxelles non ne vogliono proprio sapere. Oltretutto a Madrid pare che l’effetto Podemos si stia esaurendo, in parte perché la lista civetta di Ciudadanos (“destra anticasta”!?) sta recuperando buona parte dei voti in fuga dai partiti liberisti tradizionali senza quindi mettere in discussione stabilità e governabilità, dall’altra perché il movimento di Iglesias sta perdendo progressivamente quota e autorevolezza quale alternativa radicale e credibile, e secondo i sondaggi potrebbe piazzarsi solo in quarta posizione alle elezioni del 20 dicembre.
Perché quindi – avranno pensato a Bruxelles – rinunciare a infierire su quegli scansafatiche degli spagnoli?

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