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L’ultimo Vendola balla con il Pd (se quello vuole)

Che Nichi Vendola avesse perso il “tocco magico”, quello supportato dall’esposizione mediatica e da un linguaggio evocativo (sfuggendo per principio ad ogni precisione), era noto da tempo. Ma sembravano esistere dei limiti. Che dall’ultima intervista data al manifesto appaiono scomparsi. Il testo lo potrete trovare qui sotto, quel che ci sembra più importante è però evidenziarne l’assoluta inconcludenza.

Intanto sul piano linguistico, che tanto preme al vate di Terlizzi. Le parole sembrano aver perso ogni connotazione concreta, a cominciare ovviamente da “sinistra”. Così come le prospettive politiche.

Il tutto può comunque esser riassunto in una frase da lui stesso pronunciata: “Una coalizione progressista la si può costruire con il Pd, senza il Pd e contro il Pd”.

La frase ha un senso solo se si concepisce una coalizione politica come ars combinatoria, in cui bisogna giustapporre pezzi senza neppure chiedersi di cosa siano fatti, ma unicamente della foggia e soprattutto delle dimensioni. Un gigantesco Lego, insomma, dove importanti sono solo gli incastri. Il problema – che nel Lego era stato però risolto – sta nel fatto che il materiale di cui è costituito ogni pezzo risulta decisivo: se non è plastica dura, ma gommapiuma o peggio ancora schiuma, il risultato non si tiene insieme. E ben dovrebbe saperlo chi ha provato nei decenni scorsi, pervicacemente, a costruire contenitori politici senza badare alla qualità dei pezzi.

Di fatto, il buon Nichi sembra convinto di essere ancora indispensabile (al Pd di Renzi) come lo era stato con quello di Bersani, garantendo quel tanto di percentuali e parlamentari necessari a varare una coalizione (apparentemente) “progressista”.

Non sembra aver insomma capito la novità politica del renzismo. Eppure la compravendita con Verdini per mettere all’angolo – definitivamente – la sinistra interna al Pd dovrebbe averlo messo sull’avviso.

Peggio ancora: non sembra aver capito da dove origina, oggi, la “politica parlamentare”, ovvero dagli obblighi ferrei decretati dalla Troika, che inchiavardano le scelte di un governo – di qualsiasi natura – a un ventaglio assai ristretto. Eppure la sorte ignobile dello Tsipras 2.0 dovrebbe averlo reso edotto della situazione reale.

Diavolo, ha capito persino che la “riforma costituzionale” gestita dalla Boschi è quella che fa piacere a gente come Goldman Sachs…

Resta l’ipotesi finale: Vendola ha capito benissimo e gli sta bene così, o nel migliore dei casi non sa far altro. Ruota di scorta del Pd dove Sel viene accettata, “liste alternative” dove Renzi lo scarica e persino qualche lista “di opposizione” là dove il ceto politico locale è espressione diretta di qualche mafia locale (non solo al Sud, evidentemente).

Questo manicomio, che naturalmente rende trasparente fino all’inesistenza una qualche “identità” e utilità di Sel, vale per i prossimi mesi. Ovvero le elezioni comunali di primavera. Poi chi vivrà vedrà…

Tutto qui? E con questo speri davvero di raccattare i voti di chi Renzi non lo voterebbe neanche morto?

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Vendola: «Sinistra, ecco l’unità possibile»

Intervista. «Sull’Italicum per ora solo chiacchiere. A Civati dico di non usare la città di Milano come cavia per lotte simboliche: le amministrative le decidono le comunità locali. Alla ’cosa rossa’ dobbiamo arrivare tutti insieme»

«È saggio non commentare il chiacchiericcio ma quello che c’è. E quello che c’è è il combinato disposto fra Italicum e riforma costituzionale, un pesante disegno di mutamento regressivo della forma democratica nel nostro paese secondo le indicazioni profetiche o programmatiche che venivano da JP Morgan».

Nichi Vendola, presidente di Sel, non crede un granché all’ipotesi di modifica dell’Italicum che circola in questi giorni in parlamento, dopo le parole di Napolitano.

 

Se il premio di maggioranza fosse attribuito alla coalizione anziché al partito cambierebbe la vostra valutazione dell’Italicum?

Intanto immaginare che le regole del gioco si costruiscano in sartoria tagliandole, cucendole a seconda delle convenienze congiunturali è già grave e il segno di un degrado. Ma comunque vedremo: non siamo indifferenti, l’Italicum è talmente brutto che guarderemo con attenzione ogni eventuale proposta.

 

Ma si può dare un giudizio tanto severo su Renzi e poi mettere in conto un’alleanza con il Pd, a partire dalle città?

Qualunque sovrapposizione della dimensione nazionale alle vicende territoriali è un vicolo cieco. Oggi non si può non vedere che le città in tutta Europa sono i luoghi di un conflitto fra civiltà e barbarie. Dobbiamo costruire coalizioni di progresso che possano mettere in campo una sfida programmatica su elementi dirimenti: il diritto alla casa, la lotta contro il consumo di suolo, la mobilità sostenibile, l’accoglienza per profughi e migranti. Su questo canovaccio si costruiscono le coalizioni possibili territorio per territorio. Sel non è una corrente esterna del Pd. Una coalizione progressista la si può costruire con il Pd, senza il Pd e contro il Pd. La novità di oggi è che non c’è l’effetto trascinamento del centrosinistra come formula nazionale. Quindi a Milano puntiamo sulla continuità del laboratorio straordinario dell’amministrazione Pisapia. Non c’è nessun automatismo, ma neanche in senso contrario: quello di chi pensa che le città siano cavie da laboratorio per bisogni esterni a quelli dei cittadini. Non si fanno né disfano le alleanze per problemi simbolici o per dispetto. No alla subalternità ma no anche ai rinculi minoritari.

 

Civati dice: senza Pisapia, a Milano nessuna coalizione con il Pd. Troverete una quadra?

Con Civati la vedo difficile. Si comporta come un elefante in cristalleria. In ogni città in cui passa lascia una scia di polemiche e divisioni. Siamo tutti impegnati in una sfida gigantesca che non si può affrontare con le battute. Su una cosa invece Civati ha ragione: sul profilo di autonomia politico-culturale che deve avere la nuova sinistra. Ma l’autonomia non può essere interpretata come la propone l’ultimo che è uscito dal Pd e cioè una rottura generalizzata con il Pd senza guardare in faccia le situazioni specifiche. La posta in gioco è alta, è il destino di comunità importanti. Chi parla di condivisione dal basso non può considerare i territori come terminali muti di una politica fatta dai palazzi romani.

 

Alle scorse regionali la sinistra si è presentata divisa in molte regioni. Rifarlo alle prossime amministrative significherà che non è cambiato niente, e cioè che la ’cosa rossa’ non è nata?

È un problema che dobbiamo porci tutti mettendoci in un’ottica di ascolto e condivisione. Per me è fondamentale ascoltare i sindaci. Sento l’urgenza di far partire il processo unitario, voglio mettere il convoglio di Sel su un binario. Ma che non sia un binario morto. Noi ci siamo separati dalla sinistra dell’impotenza e della testimonianza. Non torneremo indietro. Né daremo una mano a Renzi per insediare nelle città il suo partito della nazione.

 

E se alle primarie di Milano vincesse un interprete del Pd renziano che farete?

Deciderà il territorio. Alle regionali liguri abbiamo fatto bene a non sottoscrivere un patto con il Pd e a sostenere Cofferati senza vincolarci alla coalizione. A Milano ci sono diverse possibilità. Ma a decidere saranno i milanesi. E oggi la discriminante programmatica è mille volte più decisiva e condizionante di ieri.

 

Così farete anche a Roma?

A Roma cominciamo ora la discussione. E non dobbiamo iniziarla voltando pagina ma rileggendo le pagine precedenti. Mafia Capitale non può essere derubricata a un fatto processuale. Il Pd dai tempi della giunta Alemanno ha praticato un attivo consociativismo e ha condiviso scelte e malaffare.

 

Quello di oggi è un altro Pd, o è lo stesso di ieri?

Le rottamazioni veloci non fanno vedere le radici del male. Il fatto che si potesse essere consociativi con un manipolo di fascisti degli anni 70 è un grosso problema. E così il fatto che non ci si è accorti del ritorno dei criminali nei gangli delicati del governo capitolino. E così il fatto che le cooperative rosse potevano diventare un altro pezzo della trama politico-affaristico-criminale.

 

Qual è il suo giudizio sul sindaco dimissionario Marino?

Mi fa rabbia. Quei penosi scontrini producono lo stesso turbamento del romanzo criminale di Carminati e Buzzi. E questo ha consentito ai nostalgici di Mafia Capitale, e cioè ai poteri immobiliari e finanziari di Roma, di dare l’assalto all’esperienza di Marino che invece aveva elementi importanti di discontinuità. E che non a caso il Pd ha provato a normalizzare estromettendo Sel dalla giunta. Tutto questo entra nella valutazione che faremo nei prossimi mesi.

 

Appunto, il Pd vi aveva cacciati dalla giunta. Crede che per il futuro possa ripensarci, e che la coalizione possa tornare agli equilibri della prima era Marino’?

Non lo so. Il Pd è un insieme di enclave, le une in lotta contro le altre. Quello che so è che ora a usare la foglia di fico degli scontrini è la destra romana sodale di quella doppia filiera criminale che iniziava con i fascisti della Banda della Magliana e finiva con i mafiosi.

 

Il giudice deciderà, ma quegli scontrini restano indigeribili.

Infatti sono molto arrabbiato. Per la sinistra non vale la parabola della pagliuzza e della trave. Una pagliuzza, un’incredibile superficialità come quella degli scontrini in una città scossa dagli scandali e da una crisi sociale profonda, ha lesionato il rapporto fra i cittadini e il loro sindaco.

 

I parlamentari della ’cosa rossa’ lavorano insieme da tempo. Alla camera, dove avete i numeri, farete un nuovo gruppo unitario?

Su questo sono fiducioso. Penso che intorno alla battaglia sulla legge di stabilità nascerà un gruppo più grande. Saranno le prove d’orchestra per una sinistra che non cerca la via dell’accrocchio ma le ragioni dell’unità possibile.

 

Prima delle vacanze era stato lanciato un appuntamento della ’cosa rossa. Si farà o salterà?

Spero che si faccia. Sarà importante che da parte di tutti ci sia un atteggiamento di generosità e un convincimento che la quadra la si trova sul terreno dell’innovazione e non su quello della restaurazione di vecchi schemi. Dobbiamo fare tutti un passo avanti. Se prevale la furbizia o il calcolo miope non ce la faremo. Sel, la mia comunità, non chiude una storia, non vuole dissiparla ma vuole fare un investimento. Per questo è importante che questa mia comunità abbia la certezza che di arrivarci tutta intera. Significa la certezza per tutti che non stiamo imboccando un vicolo cieco.

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