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Mafia Capitale alla sbarra. Molti imputati ma poca materia

Con l’appello degli imputati si è aperta oggi la prima udienza per il processo su Mafia capitale. Il primo imputato ad essere statochiamato è stato Salvatore Buzzi, tuttora detenuto a Tolmezzo e si è dovuto collegare tramite video conferenza (fatto questo che ha suscitato, anche giustamente, le proteste degli avvocati difensori).. Subito dopo è stata la volta di Massimo Carminati, detenuto a Parma in regime di 41 bis. Secondo l’avvocato difensore di Carminati, Giosuè Bruno Naso,  il suo assistito è disposto a parlare davanti ai giudici: “Farò parlare Massimo Carminati, stavolta è intenzionato a difendersi in modo diverso dal solito perché vuole chiarire un sacco di cose e credetemi… lo farà sicuramente” ha detto il legale dell’ex Nar. “Di tutta questa storia a Carminati ha dato particolarmente fastidio il fatto che il suo nome sia stato accostato alle parole ‘mafia’ e ‘droga’. Con la mafia non c’entra proprio nulla e la droga gli fa veramente schifo. E non parliamo delle armi che non sono mai state trovate”. In realtà nel processo per rito abbreviato conclusosi due giorni fa, l’aggravante di agevolazione dell’associazione mafiosa è diventata un cardine della sentenza della condanna di alcuni degli imputati in questo processo.

Alcuni imputati si trovano agli arresti domiciliari e hanno voluto esser presenti. Tra loro Luca Odevaine l’ex delegato del tavolo d’accoglienza dei rifugiati del governo, ex capo di gabinetto di Veltroni ed ex capo della polizia provinciale con Zingaretti.

La prima udienza si limiterà alle questioni preliminari che saranno sollevate dagli avvocati degli imputati o alle istanze di costituzione delle parti civili con in prima linea quella di Roma Capitale firmata dal prefetto Francesco Paolo Tronca mentre l’ex sindaco Ignazio Marino ha già fatto sapere che non ci sarà. Fin qui la cronaca.

Sull’inchiesta ed ora il processo per Mafia Capitale, continuano a pesare alcune contraddizioni. Da un lato c’è una divaricazione tra la categorizzazione – quella mafiosa – e il modello attuativo messo in campo dagli imputati. La stessa Procura ha dovuto riconoscere nell’ordinanza di custodia cautelare che l’organizzazione non è stata costretta a ricorrere agli strumenti coercitivi della mafia perché l’habitat non lo richiedeva. Ossia la corruzione trovava ampia disponibilità nell’apparato politico e dirigenziale del Comune che non rendevano necessario il ricorso alla violenza. In secondo luogo, l’inchiesta Mafia Capitale ha portato alla luce “robetta”, cioè un giro di malaffare per una trentina di milioni di euro, troppo pochi e troppo poco sia per parlare di mafia che per declinare come esaustiva questa inchiesta sulle reti del malaffare a Roma. Se si vuole effettivamente parlare di lotta alla corruzione, alla prevalenza di interessi privati su quelli pubblici etc. dall’inchiesta della Procura della Repubblica di Roma manca veramente ancora tanta roba.

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