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Lo scempio della Sanità: non chiudere gli occhi e rialzare la testa

Il convegno “Fra profitto e diritto. Uno sguardo critico sulla nuova Sanità” segna uno spartiacque nell’elaborazione e forse anche nella pratica di Usb Piemonte in tema di diritto alla salute.

Pensato come momento conclusivo di un lavoro di sensibilizzazione e di presenza territoriale e tra i presidi ospedalieri di Torino e della provincia, all’interno della campagna nazionale USB per la difesa del welfare, ma già da prima immaginato come tappa di un percorso di rilancio dell’intevento del sindacato nella sanità piemontese, il convegno di sabato 28 novembre a Torino Esposizione è stato davvero ricco di analisi, proposte, potenziali relazioni tra soggetti, spunti per la ripresa di una mobilitazione adeguata a quello che è emerso come un dato allarmante e incontrovertibile in tutti gli interventi: la scomparsa o per lo meno lo snaturamento più che avanzato del Sistema Sanitario Nazionale. 

Nell’idea degli organizzatori del convegno, i delegati Usb del settore Domenico Martelli e Sarah Oggero insieme al coordinamento e alla segreteria territoriale del sindacato, l’iniziativa doveva fornire un apporto di conoscenza critica sul settore più delicato, dispendioso, controverso dell’apparato statale, con un occhio di riguardo, naturalmente, alla situazione del Piemonte. Una prospettiva, quella regionale, che assume una particolare importanza dal lato dell’intervento politico, essendo le Regioni interlocutori e controparti riconoscibili per lo meno ad un certo livello di rivendicazione. 

2,352 miliardi di euro, il taglio del fondo sanitario; 285 milioni di euro, i tagli dei finanziamenti per l’edilizia ospedaliera, 71.000 infermieri in meno rispetto alle necessità; decine di migliaia di medici e infermieri precari, blocco dal 2010 del contratto di lavoro, 208 prestazioni sanitarie a rischio di appropriatezza.  Questi solo alcuni degli agghiaccianti numeri ricordati da USB nei volantini di presentazione dell’iniziativa. 

Nella sua introduzione Gilberto Pezzoni, coordinatore di USB Piemonte, ha sottolineato come nella nostra regione la limitazione del diritto alle cure stia assumendo ormai proporzioni generalizzate, attraverso per esempio la chiusura già attuata o ancora solo minacciata di presidi ospedalieri come il Valdese, il Maria Adelaide e l’Oftalmico; ed ha voluto inoltre evidenziare come senza una conoscenza precisa e dettagliata della situazione attuale sia davvero difficile provare ad immaginare una reazione dei lavoratori e dei cittadini che usufruiscono del SSN. 

Il primo intervento, del dott. Paolo Mello, tecnico della prevenzione, ha voluto inserire il ragionamento sul rischio lavoro correlato in un quadro più generale di crisi sociale diffusa. Il dato di perdita di posti di lavoro nella città di Torino, nella ristrutturazione e trasformazione da polo metalmeccanico alla non meglio precisata identità attuale del capoluogo subalpino, continua ad essere un macigno non ancora assorbito da decine di migliaia di famiglie e da una fascia consistente di popolazione che vive ai limiti della soglia di povertà ed esclusione sociale.

Quest’ultimo dato che avvicina l’Italia ad altri paesi come Spagna, Croazia e Portogallo, è davvero interessante e ci torneremo al  termine del nostro ragionamento.

All’interno della penisola esistono chiaramente delle condizioni differenziate, e la possibilità di individuare alcune macroregioni che accorpano “benesseri e malesseri”. Si tratta di nient’altro che della ben nota “Questione meridionale” che questa volta assume caratteri ancora più preoccupanti perchè potenziata dal quadro di crisi generale e di periferizzazione del nostro paese nel contesto europeo. Il mondo del lavoro paga un prezzo altissimo anche in termini di incidenti mortali sul lavoro e di diffusione di malattie da esposizione a sostanze tossiche. Il picco dei tumori da esposizione all’amianto si raggiungerà nel 2020, tanto per parlare di una questione dirompente per il Piemonte. 

Il previsto intervento del prof. Pallante è stato sostituito degnamente da quello della dott.ssa Manuela Consito, di Libertà e Giustizia, che ha fatto un lucidissimo excursus sulla storia e le interpretazioni dell’art. 32 della Costituzione. La tutela della salute è un diritto della persona e un interesse della collettività. Siamo in presenza, spiegava la Consito, di un diritto, quello della salute, che non può essere definito un bene, ma qualcosa di più, un vero e proprio moltiplicatore di diritti per il suo riguardare l’intera popolazione e il mondo del lavoro.

Una contraddizione, dal nostro punto di vista centrale, è quella che oppone il diritto alla salute alle esigenze di bilancio, in particolar modo a partire dall’inserimento del vincolo di pareggio di bilancio nella Costituzione e più in generale dei vincoli imposti dall’Unione Europea. Anche il quadro costituzionale risente, lo aggiungiamo noi ma l’intervento della Consito lo rendeva evidente, della modifica dei rapporti di forza tra le classi e ancora una volta del superamento dell’ambito decisionale nazionale da parte dell’Unione Europea. 

Maria Grazia Breda della onlus Fondazione promozione sociale ha, già in avvio del suo intervento, individuato un punto centrale dell’iniziativa: bisogna ragionare di possibili alleanze in difesa dei diritti sociali che tengano insieme soggetti diversi, forze sindacali, associazionismo, cittadinanza attiva. Al centro del ragionamento della Breda i malati cronici e terminali, paradossale esempio di soggetti iperbisognosi eppure molto spesso abbandonati alle sole attenzioni delle sempre più cariche e dissanguate famiglie. I piani di rientro delle regioni fanno a pugni con la garanzia di condizioni di vita e di morte dignitose. Altrettanto allarmante il dato che viene dall’intervento dello psicanalista Metello Corulli, relativo all’inevitabile decadimento delle comunità terapeutiche sottoposte a folli riduzioni di risorse e di personale e destinate a diventare un parcheggio, alla faccia di tutte le conquiste culturali e sociali della medicina e della psichiatria democratica. 

Sarah Oggero, rsu dell’USB presso l’ospedale Gradenigo, ha ripercorso un paio di passaggi decisivi nel processo ininterrotto di privatizzazione della sanità: l’istituzione delle ASL negli anni ’90, la commistione pubblico/privato che riguarda quei soggetti erogatori d’opera per conto del pubblico, ed il grande e per fortuna non ancora dominante sistema delle assicurazioni private.

In questo quadro complesso a rimetterci sono certamente i pazienti, sottoposti a lunghissime liste d’attesa superabili (pagando, si intende!) con un secondo canale che però è garantito da quegli stessi operatori che vengono sottoposti ad una intensificazione molto spesso imposta.

Abbattimento dei costi sul personale, diminuzione della dipendenza dallo Stato, spinta verso le assicurazioni integrative sono i tre fronti contro i quali dovrà muoversi il soggetto capace di opporsi alla distruzione sistematica del diritto alla salute. 

Nelle sue conclusioni Licia Pera, della direzione nazionale USB Sanità, è partita da due dati che parlano da soli: 10 milioni di cittadini italiani oggi rinunciano alle cure; dal 1990 ad oggi sono stati tagliati 130.000 posti letto. Si tratta di un pauroso esempio di selezione sociale e di abbandono della funzione universale dello Stato. Il SSN non esiste più, l’idea di trattare la resa, di rallentare i tempi della dismissione si è rivelata fallimentare. Corruzione, mancati finanziamenti, aumento delle tasse, ritmi di lavoro sempre più massacranti, aumento di responsabilità, tagli indiscriminati sono nient’altro che la manifestazione di quello che dovrà diventare questa parte dello stato sociale: un enorme trasferimento di ricchezza ai grandi gruppi privati, per chi potrà permettersi le cure, un messaggio chiaro e politicamente ormai neanche troppo celato per tutti gli altri: DOVETE MORIRE! 

Che fare di questo convegno? Come proseguire il lavoro? Sulla base di quanto si è detto nelle tre intense ore di discussione a Torino Esposizione le indicazioni più chiare sembrano queste: 

–                    C’è una difficoltà a coinvolgere i lavoratori del comparto, ma c’è al contempo un peggioramento delle condizioni lavorative, della possibilità di svolgere bene il proprio lavoro (che non è una missione, come ricordava la Oggero nel suo intervento) su cui bisogna intervenire coerentemente e coraggiosamente, nel vuoto complessivo di intervento sindacale nel settore;

–                    Ciò non basta a creare momenti di mobilitazione forte. La componente del lavoro deve incontrarsi con il bisogno sociale diffuso, con i quartieri, i territori, affondare nella crisi economica, sociale, culturale di fasce sempre più grandi della popolazione che, come ricordato più volte, rinunciano oggi in massa alle cure:

–                    I due punti precedenti devono trovare una dimensione politica unificante: i vincoli europei;  la somiglianza sempre più marcata del nostro paese con altri della periferia europea e l’allontanamento – salvo sempre più rare eccezioni – dagli standard sanitari dei paesi ricchi dell’eurozona; il superamento di fatto di alcune garanzie costituzionali in nome del pareggio in bilancio, tutto questo costringe a rivendicare anche a livello sindacale la necessità della rottura del quadro istituzionale, perchè il clima di guerra economica e militare non potrà che peggiorare la situazione e l’industria della salute è uno dei grandi business del presente e del futuro. Bisogna cominciare a guardare quei paesi che non pongono il profitto al centro delle logiche di sviluppo e che non casualmente hanno i sistemi sanitari e di istruzione più avanzati al mondo. Dall’altro lato del diritto alla salute ci sta la barbarie, lo sterminio programmato, la soluzione finale di nazista memoria. Muoviamoci finchè siamo in tempo.

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