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Libia. Un nuovo “target” nell’agenda italiana e della Nato

 

Sono due le flotte militari che controllano il Golfo della Sirte e la costa libica. Una è ad esclusiva competenza italiana ed è quella dell’operazione “Mare Sicuro”. L’altra è europea ed è l’operazione Eunavformed. Ufficialmente controllano e dissuadono i barconi del traffico dei migranti, in realtà monitorano le piattaforme petrolifere off-shore, i gasdotti, ed eventuali barche sospette che si avvicinano troppo agli obiettivi sensibili. I cieli libici sono poi solcati sempre più spesso da droni, aerei da ricognizione, satelliti appartenenti all’Italia e alle potenze occidentali.

Se lo sbocco marino settentrionale della Libia è sotto il controllo delle flotte militari, il lato meridionale, spesso ridotto ad una sorta di “terra di nessuno” nelle zone desertiche ai confini tra Libia, Ciad e Niger, vede ormai da tempo attive le forze speciali francesi, statunitensi, inglesi che presidiano alcuni snodi e controllano i movimenti delle milizie o le infiltrazioni di gruppi jihadisti che vanno e vengono su una frontiera estremamente “porosa”.

Il combinato disposto tra agenti speciali a terra, spionaggio dai cieli e portaerei nelle acque della Sirte, consente talvolta di colpire alcuni esponenti jihadisti finiti sulla lista nera Usa come Belmokhtar. Ma, anche in questo caso, non si trattava di un leader dello Stato Islamico quanto di un esponente di Al Qaida.

Renzi, Gentiloni e il governo italiano ripetono ad ogni occasione che in Libia non è previsto alcun intervento militare straniero. Al momento è semplicemente “sigillata” a discrezione degli interessi di fase dei suoi controllori esterni, ma come è noto, i piani di intervento militare sono già pronti e prevedono tutti gli scenari, incluso quello di contingenti militari delle potenze occidentali sul territorio libico.

Una parte della realizzazione di questi scenari, si discuterà a Roma il prossimo 13 dicembre. Il governo italiano ha organizzato una conferenza internazionale sulla Libia prendendo come modello quella svoltasi a novembre a Vienna sulla Siria. Ci saranno le cinque potenze membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma anche Italia, Germania e Spagna, ci saranno i paesi limitrofi alla Libia come Egitto, Algeria, Tunisia ma anche gli stati sponsor dei due governi contrapposti e delle milizie dell’Isis come Qatar, Emirati Arabi Uniti, Turchia e Arabia Saudita. Sono stati invitati i due governi rivali – quello di Tobruk e quello di Tripoli.

“Certamente la pace in Libia – ha affermato il ministro degli esteri Gentiloni – deve essere frutto di decisioni delle parti libiche. Ma, altrettanto certamente, il tempo non è infinito e la comunità internazionale può dare una spinta decisiva a questa attività negoziale tra le parti libiche. E questo è l’obiettivo che l’Italia si propone, accanto agli Stati Uniti, con questa ipotesi di lavoro”. Anche nel caso della Libia il vettore che sembra muovere tutte le pedine è “la minaccia dell’Isis”. Gentiloni non ha confermato l’arrivo in Libia di 4-5mila jihadisti di cui si molto fantasticato in questi giorni di isteria e disinformazione, ma ha affermato che “certamente a Sirte c’è una presenza di Daesh da molti mesi”. “Ci sono evidenze, anche se non con i numeri che si dicono, di un rafforzamento di questa presenza di Daesh nell’area di Sirte, che è un’area simbolica per la Libia”.

La leva dello “spettro” dello Stato Islamico verrà dunque agitata in una doppia direzione: una verso i due governi libici rivali per costringerli ad un accordo di riconciliazione, l’altra per legittimare un eventuale intervento militare delle potenze della Nato in Libia. Tutti i governi sanno che oggi sarebbe assai impopolare un nuovo attacco alla Libia dopo i disastri combinati dall’avventurismo militare di Sarkozy, Cameron e Napolitano nel 2011 (come ormai ammettono anche alcuni degli stessi responsabili). Ma se venisse evocata la minaccia di uno Stato Islamico a due passi dalle coste italiane (come se il Kosovo non fosse altrettanto vicino) e magari intervienisse qualche strage terroristica a dare la spinta, a quel punto l’intervento militare in Libia apparirebbe come “inevitabile”. Ancora una volta una politica dei fatti compiuti trascinerebbe così il mondo ancora più a fondo sul piano inclinato in cui le potenze occidentali lo hanno trascinato negli ultimi venticinque anni.

 

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