Menu

Salvataggio delle banche. Dopo le lacrime, il sangue

Il salvataggio delle quattro banche di fatto fallite – Etruria (nella foto di apertura, la “modesta” sede di quella che era famosa come la “banca degli orafi”), Carichieti, Ferrara, Marche – aveva fin qui fatto spargere un’alluvione di lacrime ad alcune decine di migliaia di piccoli e piccolissimi risparmiatori di provincia, convinti dalla “loro” banca a sottoscrivere obbligazioni subordinate (ovvero senza alcuna garanzia) invece di tenere i propri soldi al caldo nel normale conto corrente. Aveva provocato anche un prima manifestazione davanti a Montecitorio, di fatto sponsorizzata dal Movimento 5 Stelle, mentre i giornali di destra facevano finta di indignarsi.

Ora, oltre alle lacrime, c’è anche il sangue. Un pensionato di Civitavecchia si è suicidato quando ha scoperto che tutti i suoi risparmi (liquidazione, ecc) erano svaniti “grazie” al tipo di “salvataggio” escogitato dal trio infernale Renzi-Padoan-Boschi (il cui padre era stato fin lì anche il vicepresidente di Banca Etruria). Un bail in che, appunto, accollava parte delle perdite agli azionisti e agli obbligazionisti, e per il resto faceva affidamento su una partecipazione “volontaria” dell’intero sistema bancario italiano (ib teoria, dunque, con fondi esclusivamente privati), ma con la “garanzia” di ultima stanza fornita dallo Stato (di fatto, dunque, con soldi pubblici; non subito, ma in futuro).

Proprio la formula del salvataggio è ora al centro di una piccola diatriba tra l’Unione Europea e l’Italia. Il Capo della Vigilanza della Banca D’Italia Carmelo Barbagallo, nel corso dell’audizione in Commissione Finanza alla Camera, ha spiegato che non era stato possibile far intervenire il Fondo Interbancario di Tutela dei depositi  «per la preclusione manifestata da uffici della Commissione Europea, da noi non condivisa».In quel caso, forse, gli ignari “investitori al dettaglio” raggirati dalle quattro banche (ma è così ovunque: ogni impiegato degli istituti di credito viene incentivato a “consigliare” ai clienti meno informati – in primo luogo i pensionati – a sottoscrivere azioni e obbligazioni emesse dalla stessa banca, con l’alea di cedole “interessanti” a fine anno) avrebbero potuto perdere qualcosa di meno, o anche nulla.

Cattiva l’Unione Europea, dunque? Il gioco dello scaricabarile, classico per gli pseudogovernanti italici, non è piaciuto affatto a Bruxelles, che diramato una dichiarazione piuttosto piccata in cui – semplicemente – si ribadiscono le regole comunitarie in vigore e si addebita al governo Renzi la scelta dello strumento utilizzato: «La decisione di far scattare la risoluzione delle 4 banche usando il fondo nazionale di risoluzione è stata presa dalle autorità italiane. Se vengono usati fondi di Stato per sostenere le banche, indipendentemente da dove essi provengano, si applicano le norme Ue compresa la condivisione degli oneri».

Secondo la Ue, infatti, c’erano almeno tre strade percorribili per salvare le 4 banche italiane. La prima, con fondi privati; la seconda, usando il fondo di tutela dei depositi, che comunque avrebbe fatto scattare la risoluzione e le perdite per gli obbligazionisti subordinati; la terza, quella percorsa dal Governo, usando il fondo salva-banche. Con questo semplice promemoria, dunque, la Ue smentisce che il governo italiano abbia scelto la via del salvataggio “con fondi privati”.

Barbagallo, davanti alla Commissione parlamentare, aveva invece spiegato che l’assimilazione del Fondo a un “aiuto di Stato” non sarebbe corretta. «Non condividiamo questo assunto. In Italia i sistemi di garanzia sono soggetti privati; i loro interventi alternativi al rimborso dei depositanti sono deliberati autonomamente e finanziati con risorse anch’esse private. L’assunto è inoltre in contrasto con la direttiva sui sistemi di garanzia dei depositi, che prevede e disciplina questi interventi. Assimilarli ad aiuti di Stato significa, di fatto, impedire che essi possano essere effettuati, come è invece previsto dalla normativa europea vigente e come è auspicabile in un’ottica di complessivo coordinamento tra le disposizioni sulla concorrenza e quelle sulla gestione delle crisi».

L a scelta del governo, insomma, sarebbe stata la “meno cruenta”, perché «con i provvedimenti di risoluzione è stata assicurata la continuità operativa delle banche in crisi, sono stati tutelati i risparmi raccolti in forma di depositi, conti correnti e obbligazioni ordinarie, è stata preservata l’occupazione, non sono state impiegate risorse pubbliche».

Ma qualcuno – decine di migliaia di correntisti diventati obbligazionisti a propria insaputa. o comunque non in grado di comprendere le conseguenze della firma apposta a documenti illeggibili – si è fatto molto male lo stesso. Al di là della polemica inter-istituzionale sulla formula del salvataggio, infatti, c’è la pratica quotidiana criminale di tutte le banche del pianeta. Che mirano in primo luogo a scaricare sulla clientela, specie di quella povera e ignara, costi e rischi, trattenendo per sé i profitti.

Non caso, anche se soltanto ora, a problema esploso, il capo della Vigilanza di Bankitalia ha raccomandato di obbligare le banche a una migliore “trasparenza” nei rapporti con la clientela. «Va presa in seria considerazione la possibilità di vietare il collocamento delle passività più rischiose presso la clientela al dettaglio».Come se fosse una pratica abnorme affermatasi solo negli ultimi tempi e non, com’è, una prassi secolare ampiamente tollerata da tutti i governi del pianeta. Persino l’Unioen Europea, che ben conosce i meccanismi fetidi dell'”industria” bancaria, segnala che quelle quattro banche – ma anche tutte le altre – “hanno venduto prodotti inappropriati a persone che forse non sapevano cosa compravano” e questo ha avuto “conseguenze molto dure e difficili”.

Quel che è cambiato, con la crisi finanziaria e la centralizzazione presso la Bce anche dei compiti della vigilanza (perlomeno per gli istituti di “dimensioni sistemiche”), è che ora i salvataggi con soldi pubblici sono diventati più difficili, se non impossibili. E quindi il fallimento di alcune banche, prima derubricato tra le eventualità impossibili, è da mettere in conto come un fatto di normale amministrazione.

Ma “la clientela” – tutti noi, che siamo obbligati ad avere un conto corrente nel momento stesso in cui troviamo un lavoro, foss’anche precario – non è affatto preparata a fare i conti con una situazione del genere. Un po’ per l’assoluta impossibilità di conoscere le infinite tecniche di manipolazione dei contratti usualmente attive nelle banche, un po’ per l’assuefazione a considerare la banca come un luogo in cui semplicemente si depositano i soldi (salario, pensione, liquidazione, ecc) e si riprendono quando servono. Senza neanche poter immaginare che tra i due momenti – depositare e prelevare – si possa creare un “fattaccio” che provoca la sparizione dei quattro spiccioli di nostra proprietà.

E per fortuna che non siamo ancora obbligati a fare tutte le operazioni in forma “virtuale” (carte di credito, bancomat, carte prepagate, ecc), altrimenti potremmo trovarci in qualsiasi momento davanti a una mail che ci dice “spiacenti, ma il suo conto è vuoto; anzi, ci deve anche qualcosa per le spese…”.

Vedi anche https://www.contropiano.org/economia/item/34148-il-modello-renzi-ssalvare-le-banche-affamare-i-risparmiatori

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *