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Roma, indagini su gang razzista, perquisita una sede di Forza Nuova

Organizzavano raid razzisti, in particolare contro cittadini bengalesi che avevano ribattezzato “Banglatour”, e spedizioni punitive contro militanti di sinistra oppure di gruppi di estrema destra concorrenti. Attività squadristiche alle quali avrebbero affiancato un “rigoroso indottrinamento” dei componenti della banda.

E’ questa almeno l’accusa, emersa da un’indagine avviata dai Ros nel novembre del 2013, che ha portato questa mattina ad una serie di perquisizioni realizzate dai militari a Roma, a Chieti e a Ferrara e che hanno interessato 13 persone, tutte indagate per associazione finalizzata all’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, minacce, lesioni, detenzione di armi da fuoco ed altri reati. Tra i locali perquisiti c’è anche la sede dell’organizzazione fascista Forza Nuova di via Lidia, nella capitale, frequentata secondo quanto reso noto dai carabinieri da alcuni degli indagati. Tra i quali c’è Giovanni Maria Camillacci, 43 anni, noto esponente del partitino di Roberto Fiore, residente a Castelnuovo di Porto.
L’operazione di questa mattina è scaturita dalle indagini realizzate negli ultimi due anni su una lunga serie di aggressioni violente – una cinquantina circa – commesse a Roma contro alcuni cittadini bengalesi pestati nel cuore della notte per il solo fatto di essere stranieri. 
Già nel maggio del 2012, sempre a Roma, due militanti dell’estrema destra erano stati arrestati per aver aggredito e rapinato un immigrato dal Bangladesh.
Nel decreto di perquisizione della sede di Forza Nuova si cita anche un articolo del quotidiano la Repubblica, del novembre 2013, in cui si parlava proprio dei raid che partivano dalle sedi di Forza Nuova e si riferiscono alcuni dei racconti dei protagonisti, molti dei quali allora minorenni, secondo i quali l’immigrato del Bangladesh rappresenterebbe un obiettivo perfetto «perchè non reagisce e non denuncia». Le aggressioni venivano descritte dai protagonisti come «un pestaggio ‘terapeutico’ e ‘ideologico’, che ‘ti scarica i nervi e la tensione’ e che racchiude un credo, quello di combattere l’immigrazione».
Di fatto nel mirino dei Ros, coordinati dal pm Sergio Colaiocco, sarebbe finita una gang dedita ad attività criminali ma organizzata da un nucleo di militanti fascisti e basata quindi sulla loro ideologia razzista e violenta. Gli indagati, secondo la procura di Roma, sono tutti «accomunati da una vocazione ideologica di estrema destra nazionalsocialista» caratterizzata, nel caso specifico, «dal propugnare sia le tesi negazioniste dell’olocausto sia quella della superiorità della razza bianca».
Tutti componenti di un gruppo che, secondo gli investigatori, per la “risoluzione delle controversie ricorreva sistematicamente alla violenza nei confronti dei militanti di opposta fazione cui si accompagnava un rigoroso e violento indottrinamento degli appartenenti al gruppo, tra cui giovani, spesso minorenni, per inculcare il rispetto delle regole e consolidare le gerarchie interne”.
E, per cementare l’ordine e l’obbedienza in un gruppo di affiliati tutt’altro che mansueto, i capi si dedicavano a continue vessazioni e anche a pestaggi e punizioni nei confronti dei membri della gang, come ad esempio quelli ritenuti responsabili di aver abusato sessualmente di una ragazza o di aver fatto uso di droghe. La violenza, secondo gli inquirenti, sarebbe avvenuta nel settembre del 2014 nei confronti di una ragazza, passata da Casapound a Forza Nuova, da parte di un “camerata”, durante una festa. Per punire i responsabili di “condotte non conformi alle regole del gruppo” e di “mancanze caratteriali e comportamentali” il primo ottobre 2014 i quattro vengono portati in un casale isolato; secondo la procura gli squadristi si dispongono a semicerchio “con i soggetti responsabili di violazioni in ginocchio, i quali vengono sottoposti a umiliazioni e percosse da parte degli anziani del gruppo”, nella fattispecie due persone, che “agivano incappucciate“. Un “trattamento particolare” viene poi riservato all’autore dello stupro poiché, “oltre a percuoterlo, gli veniva esploso un colpo d’arma da fuoco vicino all’orecchio, gesto – scrive la procura – che doveva servire da monito anche a tutti gli altri”.
Alle attività criminali della banda si accompagnava inoltre un intenso lavorio di propaganda sui social network attraverso post e slogan che incitavano alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali.

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