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Bologna “No all’università quartier generale dell’ideologia di guerra”

Ieri mattina, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Alma Mater Studiorum, anche la campagna Noi Restiamo omaggia il simbolo dell’elite culturale della città universitaria (il rettorato) con un presidio informativo su cosa rappresenta oggi l’Università: “il quartier generale dell’ideologia di guerra e di sfruttamento propugnate da chi ci sfrutta”, oltre che un grande parcheggio per giovani che sperano di nutrire la propria mente per migliorare il mondo, quando la realtà oggettiva li condanna a una vita di precarietà ed esclusione.

Pubblichiamo quindi il comunicato di Noi Restiamo Bologna, che parla agli studenti come ai precari dell’UniBo, come a tutti i lavoratori costretti a scegliere “la via dell’emigrazione perché stritolate dall’austerity e dalla precarietà”, e tutte quelle vite “costrette a fuggire dagli scenari di guerra creati dalle politiche di potenza dell’Occidente”.

“Questa mattina, nel giorno della cerimonia d’inaugurazione dell’Anno Accademico, in cui l’Alma Mater affronta i temi dell’immigrazione e delle radici d’Europa nelle lectio magistralis previste, abbiamo deciso di riunirci in un presidio informativo di fronte al rettorato, che consideriamo il quartier generale universitario dell’ideologia di guerra e di sfruttamento propugnate da chi ci sfrutta.

Abbiamo scelto come parole d’ordine quelle che sono riportate nella campagna di informazione e confronto che anima da giorni la zona universitaria, “siamo tutti sulla stessa barca, stop all’import/export di vite umane”, per esprimere il nostro dissenso sulla situazione generale in cui versano centinaia di migliaia di persone, costrette a fuggire dagli scenari di guerra creati dalle politiche di potenza dell’Occidente, ma anche, come nel caso dei giovani dei paesi europei della fascia mediterranea, costrette a scegliere la via dell’emigrazione perché stritolate dall’austerity e dalla precarietà. Per questo abbiamo chiamato gli studenti e i lavoratori, che ogni giorno percorrono le strade della zona universitaria, ad esprimere la loro personale opinione riguardo a questi specifici argomenti.

Molti sono stati i pareri e le giuste valutazioni raccolti in una giornata in cui è emerso chiaramente quanta voglia di approfondire e di dibattere ci sia tra gli studenti dell’ateneo, una voglia però tenuta sopita e regolata con i ritmi competitivi della crisi da un’istituzione universitaria in un cui il sapere critico non è più ammesso. Lo sappiamo d’altronde da anni, da quando nelle occupazioni, nei forum nazionali, nel confronto con una dimensione italiana ed euroepa, nei momenti di approfondimento autorganizzati con personalità esperte e disponibili a mettere in discussione i paradigmi dominanti abbiamo iniziato un percorso che ha visto diffondere lungo tutto lo stivale la scintilla di un progetto politico possibile tra quei giovani a cui stanno negando il futuro.

Crediamo sia indispensabile continuare a portare avanti queste tematiche in città come Bologna, visto il ruolo attivo dell’UniBo nella costruzione di quell’immaginario necessario a farci digerire l’imminente intervento militare italiano in Libia, nonché lo stato di precarietà e di totale assenza di prospettive lavorative dignitose. Un laboratorio di sfruttamento che vedrà in scena un nuovo importante episodio già domani, 1 marzo, con la consueta ricorrenza universitaria del Career Day: emblema di una vera e propria lotteria sociale, nella quale i pochissimi che usciranno vincitori avranno un futuro da sfruttati, i perdenti saranno invece costretti a fare le valigie e a cercare fortuna all’estero.

Se questo è il futuro che si prospetta all’orizzonte, pensiamo sia necessario affrontare queste tematiche evitando le provocazioni dei media e dei pennivendoli di regime, e rimettendo al centro del discorso pubblico l’opposizione all’intervento bellico e all’austerity, due elementi fondamentali nella costruzione di quella grande macchina di guerra e di sfruttamento che risponde al nome di Unione Europea e che sta crescendo sulle spalle di coloro che sono vittime di una nuova logistica dell’import/export di vite umane.

Siamo tutti sulla stessa barca, giovani senza prospettive delle due sponde del Mediterraneo. Connettere le lotte e promuovere strutturazione politica unitaria è la nostra unica alternativa”

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