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Trump fa litigare il PD bolognese

L'elezione di Donald Trump ha lasciato buona parte del mondo attonita e sconvolta. Le reazioni scomposte e stizzite di certi giornalisti e pensatori della sinistra liberal hanno dato la cifra di quanto questi tengano in considerazione le scelte e la dignità della popolazione e di quanto abbiano contezza delle dinamiche e delle contraddizioni che attraversano la società reale, nel Nuovo come nel Vecchio Mondo.

Lo shock dovuto al ciclone-Trump pare aver investito pesantemente anche il Partito Democratico, con Renzi che, dopo la vittoria del tycoon, ha dato ordine per la campagna referendaria di spingere sulla manichea dicotomia tra SI=cambiamento, NO=casta (e questo la dice lunga sul clima che da Palazzo Chigi si propaga al fronte del SI).

Ma veniamo a Bologna, dove le reazioni assumono tonalità grottesche e surreali.

Il primo a condividere col mondo di twitter le proprie reazioni, all’indomani del voto americano, è il renzianissimo presidente della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Il presidente eletto nelle elezioni con la più bassa affluenza di sempre (poco più del 37%), dal suo profilo scrive: “Per quelli che “spostiamo l'asse a sinistra”…poi si svegliano con Trump”. La frase suscita immediatamente reazioni dall'establishment locale del PD. Il primo a scomodarsi è il giovane deputato cesenate Lattuca, che chiede al Nostro se sia stata Hillary a spostare troppo l'asse a sinistra. Incalza poi l'assessore all'economia di Palazzo d'Accursio, Matteo Lepore, anche lui dubbioso sul fatto che la Clinton possa rappresentare una qualsiasi “svolta a sinistra” e aggiunge: “Non è più una questione di destra e sinistra, ma di esclusi contro l'establishment”. Non mancano ovviamente toni meno politically correct, tra chi lo invita a cambiare mestiere, tacciandolo di fare “politica da osteria” (e come dargli torto?) e chi gli ricorda che, senza la stampella di Sel, lui oggi non governerebbe.

Evidentemente accortosi dell'”uscita incongrua” (direbbe l'Andreotti interpretato da Servillo ne Il Divo), cerca di mettere una pezza riesumando il leit-motiv del voto utile: “Il mio tweet era rivolto a chi, di sinistra, ha votato terzi o è rimasto a casa”.

Chiude la serie di tweet democratici il sindaco Virginio Merola, scrivendo: “Dobbiamo ricostruire un pensiero di sinistra. Bisogna smetterla di fare la fotocopia della destra perché vincerà sempre l'originale, come Trump testimonia”.

Tutto finito? Macchè. L'indomani, a rinverdire la polemica è il braccio destro di Bonaccini e vice-presidente della Regione, Elisabetta Gualmini, la stessa che pochi giorni fa, dopo l'approvazione del nuovo regolamento regionale per l'assegnazione degli alloggi popolari, che rischia di sbattere per strada oltre 500 nuclei familiari, dichiarava lapidaria: “La casa non è come un diamante, non è per sempre”.

La politologa, titolare di una cattedra all'Alma Mater di Bologna, in un'intervista rilasciata al Corriere di Bologna, difende Bonaccini dichiarando che: “Se si estremizzano le posizioni diventa più difficile aggregare il consenso necessario a governare”. Insomma, la solita visione neocon che vorrebbe l'eliminazione dal panorama politico delle posizioni più radicali e la creazione di un sistema bipolare dove le vittorie elettorali si giocano con la rincorsa dei voti al centro; sostanzialmente, quello che è stato il sistema elettorale nord-americano fino ad ora.

Questa querelle (che pare destinata a protrarsi e lasciare strascichi anche nei prossimi giorni), fa emergere due considerazioni di fondo:

– La prima riguarda la confusione e la diversità di vedute che regna nella classe dirigente piddina emiliana, sostanzialmente divisa in due schieramenti: chi è sempre stato renziano e con un background politico-culturale sostanzialmente liberista e di destra (Bonaccini e Gualmini) e chi, per convenienza o per “dovere di partito”, renziano è dovuto diventarlo dopo, ma che ora – vedendo come le difficoltà che il guitto di Rignano sta avendo sul piano nazionale si riverberino in maniera eclatante sul territorio bolognese (ricordiamo che alle scorse amministrative la coalizione guidata da Merola non ha raggiunto nemmeno il 40% al primo turno, il peggior risultato mai ottenuto dal centro-sinistra in città) – sta timidamente rialzando la testa ed inizia a contestare molte delle scelte fatte in questi anni da Renzi.

– La seconda riguarda il merito delle dichiarazioni sul voto americano fatta dagli esponenti del PD, le quali palesano che ci stanno capendo poco e niente di quanto sta accadendo a livello sistemico. Dare la colpa a chi non si piega al voto utile e alla logica del meno peggio, o affermare che assumere posizioni “di sinistra” alienerebbe i voti necessari a governare, così come vagheggiare di un improbabile “back to the roots”, un ritorno alle (realmente mai esistite) origini di sinistra del Partito Democratico, dà l'idea di una classe dirigente allo sbando, senza un'unità d'intenti, priva di prospettive e della capacità di capire i processi reali dai quali rischiano di venire travolti da un momento all'altro.

Se è vero infatti che oltreoceano Trump esprime quel malessere “di pancia” che qui in Europa stanno sfruttando i partiti dell'estrema destra xenofoba, è anche vero che il tycoon ha vinto non tanto grazie al sostegno dei settori sociali più colpiti dalla crisi e dalla ristrutturazione capitalista, ma grazie al fatto che questi stessi settori si sono per lo più astenuti nella scelta tra questo grottesco personaggio e “Lady Wall Street”, come dimostra il tracollo di voti in termini assoluti dei democratici che non vengono compensati da un guadagno così corposo dei repubblicani.

A Bologna Merola ha mantenuto lo scranno di primo cittadino al ballottaggio grazie alla mobilitazione anti-leghista di una parte dell'elettorato, nemmeno troppo consistente, formato in parte da quella sinistra sedicente radicale che, al pari ed indistinguibilmente dal PD, come ha bene descritto Carlo Formenti nel suo ultimo libro (La variante populista), ha ormai abdicato a farsi rappresentante degli interessi di classe spostando le proprie attenzioni e rivendicazioni in quei diritti civili individuali di natura borghese e quindi perfettamente compatibili col capitale.

L'elezione di Trump, al pari del boom in Europa di partiti xenofobi di estrema destra o di partiti anti-sistema quali il Movimento 5 Stelle in Italia, i Pirati nel Nord Europa, senza dimenticare il referendum sulla Brexit e gli entusiasmi popolari attirati da Syriza e Podemos (almeno nella fase iniziale della loro storia politica), dimostrano un malcontento ed un risentimento diffusi ormai in tutto il mondo occidentale, in particolare tra i settori sociali più deboli e più intensamente colpiti dalla crisi e, se non saranno le organizzazioni di classe a farsi carico di questo malcontento, lo faranno le destre estreme.

Socialismo o barbarie dunque…

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1 Commento


  • Mic

    L'uscita di Elisabetta Gualmini «La casa non è un diamante, non è per sempre» mi ricorda molto quella di una esponente dei Democrats Abroad (l'organizzazione del Partito democratico USA all'estero) che, intervistata l'altra sera da Radio Popolare, a proposito del voto degli operai a Trump dichiarava: «Questa gente non ha capito, o non le è stato spiegato bene, che i loro posti di lavoro non esistono più».
    Queste due «progressiste» assomigliano entrambe alla Maria Antonietta del pane e delle brioche, e credo siano destinate a fare (politicamente!) la stessa fine.

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