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Le tappe della disfatta (del Pd)

Un elenco di date, svolte, menzogne, tutte molto decisive. Dentro l'apparente mancanza di consapevolezza dell'abisso in cui un partito stava precipitando. A noi sembra che il Pd sia piuttosto un partito "scalato" dall'esterno, per ignavia e opportunismo dei suoi protagonisti storici, fino a farne l'unico contenitore adatto a contemperare le indicazioni di politica economica provienienti dalla Troika e interessi clientelari-mafiosi. Almeno per qualche tempo, ormai scaduto…

Un "partito" così, insomma, non ha più necessità di interrogarsi sulla strada intrapresa, le sconfitte subite, la delusione degli iscritti, il consenso popolare, le correzioni di rotta necessarie alla sopravvivenza. E' un puro strumento in mano a poteri che dispongono, ma non chiedono pareri.

Comunque, un elenco molto utile per chiunque non voglia camminare con gli occhi foderati di prosciutto.

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Certe volte bisogna ritornare alla storia. Il partito democratico nasce nel 2007. IL suo manifesto ideologico è il discorso del Lingotto di Veltroni.”L'Europa è andata a destra, in questi anni, perché la sinistra è apparsa imprigionata, salvo eccezioni, in schemi che l'hanno fatta apparire vecchia e conservatrice, ideologica e chiusa. Ad una società in movimento, veloce, portatrice di domande e bisogni del tutto inediti, si è risposto con la logica dei "blocchi sociali" e della pura tutela di conquiste la cui difesa immobile finiva con il privare di diritti fondamentali altri pezzi di società”.

Puro Renzismo in anticipo Contribuisce immediatamente al crollo del secondo governo Prodi, quando Veltroni,proclama la dottrina della vocazione maggioritaria, scatenando le ire di Mastella. Poi i giornali diranno che fu colpa di Turigliatto.

Alle elezioni del 2008 il PD, pur avendo bruciato ogni spazio alla sua sinistra, viene distrutto da Berluscon.

Nel 2009 il partito perde rovinosamente le regionali in Sardegna portando alle dimissioni di Veltroni.

Nel 2009 alle europee, segretario Franceschini, il PD perde sette punti rispetto alle politiche.

Nel 2011 il partito democratico perde le primarie per le candidature a sindaco a favore dei sindaci arancioni, che saranno eletti alla guida del centrosinistra a Genova, Milano, Napoli, Cagliari.

A novembre del 2011 subisce, senza reagire, il ricatto internazionale con la regia del Quirinale che impedisce al paese di andare al voto dopo la caduta di Berlusconi. Vota con il governo Monti le riforme Fornero e il pareggio di bilancio in costituzione, dopo aver solennemente giurato, con il segretario Bersani, di non farlo. Prende atto della abolizione delle pratiche di concertazione con i sindacati.

Nei 4 anni successivi pur avendo sempre tenuto la poltrona di Palazzo Chigi non fa nulla per revocare queste misure del governo Monti.

Sconvolgendo ogni aspettativa il PD perde le elezioni del 2013 prendendo appena il 25, 43% dei voti in Italia, sessantamila meno del movimento 5 stelle. Ottiene la maggioranza e quindi il premio solo grazie ai voti dall’estero e a quelli portati in dote, oltre un milione, dalla sinistra di SEL con cui rompe da subito sulla vicenda dell’elezione del nuovo capo dello stato.

Ottiene si il famoso 41% alle elezioni europee del 2014 ma perde poi, dopo otto anni, le regionali in Liguria. A Roma la giunta Marino viene travolta da scandali e lotte di fazione interne.

Alle amministrative del 2016 perde appunto Roma, Napoli e Torino, quest’ultima appannaggio del centrosinistra dal 1993.

Un brand di successo non c’è che dire. Ma nessuno, mai, che si fermi a riflettere se il problema di questa catena di fallimenti non sia l’innovazione di processo ma quella di prodotto.

da http://www.ilcontropelo.it

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