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Il nuovo che avanza è il vecchio che non muore: Genova, verso le elezioni amministrative

Il caos non è un pozzo. Il caos è una scala! Tanti che provano a salirla falliscono e non ci provano più: la caduta li spezza. Ad altri viene offerta la possibilità di salire, ma rifiutano: rimangono attaccati al regno, o agli dèi, o all’amore. Illusioni. Solo la scala è reale. E non resta che salire.”

Ditocorto, Trono di Spade, “La scalata”

 

A circa due mesi dalle elezioni ammnistrative il quadro degli schieramenti politici che aspirano a governare la Superba si è definito a grandi linee in dialettica con le spinte di trasformazione della rappresentanza politica a livello nazionale.

 

I tre poli

Sono tre i poli principali che sono emersi con i relativi candidati sindaci dopo un processo relativamente tortuoso di gestazione delle ipotesi politiche in campo: un polo di centro-sinistra che ha scelto Gianni Crivello – dopo non poche titubanze dello stesso candidato – attualmente assessore alla Protezione Civile della Giunta Doria, un polo di centro-destra che ha scelto, su indicazione della Lega Nord, Marco Bucci, amministratore delegato di Liguria Digitale, e Luca Pirondini, tenore del Teatro Carlo Felice.

Pirondini, candidato prescelto dallo staff del M5S e “sponsorizzato” da Alice Salvatore, figura di spicco del Movimento a livello locale, è stato scelto scelto con una elezione telematica a livello nazionale tra gli aventi diritto del Movimento, una scelta che ha delegittimato ed estromesso con un colpo di mano la candidata sindaca emersa attraverso le elezioni avvenute a livello locale con il “Metodo Genova”, che – imposto dalla dirigenza “pentastellata” – aveva creato non poche perplessità tra gli attivisti e simpatizzanti “grillini”.

Le liste civiche “a sinistra” sono ora confluite in un unico progetto di interlocuzione con Crivello: “Genova Cambia” creatura politica del presidente del Municipio Centro Est, Simone Leoncini (ex di Rifondazione Comunista, eletto tra le fila di Sel e poi confluito nel “gruppo misto”) e #GenovaCheOsa della giovane consigliera comunale della – ora sciolta – “Rete a Sinistra” Marina Pederzolli, figura di spicco di Left Lab che era l’organizzazione giovanile di RaS. Queste esperienze sono un disperato tentativo di ricerca di visibilità per Leoncini e Pederzolli, per contrattare un posto più rilevante di quello che gli sarebbe stato probabilmente assegnato, per tutelare le loro personali carriere politiche e gli interessi clientelari di cui queste esperienze sono espressione.

 

Crivello, Bucci, Pirondini

L’ipotesi di un remake del centro-sinistra attorno alla figura di Crivello, garantisce la continuità dell’asse di potere che ha governato storicamente la città e il proseguimento delle politiche fino ad ora intraprese, facendosi forte di una narrazione di una figura politica non diretta espressione del PD che si candida come “sindaco dei municipi”.

L’attuale assessore alla Protezione Civile ha preso una posizione favorevole alla rigida applicazione del “daspo urbano” contro i “writers”, a distanza di qualche giorno della  “diffida” di 5 anni a 5 militanti antifascisti per fatti relativi non al tifo organizzato, ma per gli scontri avvenuti in una recente mobilitazione contro un convegno europeo organizzato a Genova da Forza Nuova.

In questo senso Crivello si inserisce perfettamente nel solco del corso inaugurato da Minniti, candidandosi come sue fedele esecutore.

L’ipotesi di Marco Bucci, che ha ricevuto l’endorsement di Confindustria e di Camera di Commercio, proietta il Carroccio verso un nuovo protagonismo in città, e in generale conferisce al centro-destra – che aveva con Toti conquistato la Regione – un ruolo di maggiore credibilità, probabilmente anche all’interno dei ceti popolari, visto lo stile con cui l’imprenditore vuole condurre la campagna fuori dai luoghi di lavoro e nei mercati rionali, avvalendosi della narrazione dell’uomo pragmatico che punta su: turismo, porto-infrastrutture e sviluppo del digitale per il rilancio della Superba.

Significativo è lo spazio che gli viene dato sulle colonne locali de La Repubblica, che cerca di smarcarlo dagli aspetti più razzisti della propaganda che vorrebbe imporre Salvini o all’interno dell’Album dello stesso quotidiano: Infrastrutture, uscito come inserto il 29 marzo, in cui viene di fatto presentato il programma del partito trasversale delle Grandi Opere che comprende il centro-sinistra così come Paolo Signorini, presidente dell’autorità di sistema del Mar Ligure Occidentale e Guido Fassio, segretario generale della Filt Liguria. (Per una analisi più dettagliata rimando a L’incredibile Liguria di “Repubblica”, di Franco Astengo https://contropiano.org/news/politica-news/2017/03/29/lincredibile-liguria-repubblica-090337 )

Il M5S sembra ancora incarnare agli occhi degli elettori della Superba, nonostante le notevoli difficoltà attraversate al proprio interno, la chance di una “discontinuità” con il quadro politico definito: alcuni punti del programma di Pirondini sembrano confermare questa possibile positiva inversione di rotta, altri risultano più ambigui e danno l’impressione di essere più inclini ad una realpolitik che non metta in discussione alcuni indirizzi politici intrapresi dalle amministrazioni precedenti. A parte riprendere il tema della “sicurezza urbana”, dell’immigrazione e del turismo in maniera non molto dissimile dagli altri schieramenti, non si fa cenno alla natura pubblica delle aziende partecipate, ma solo ad una loro più efficiente gestione e ad un generico taglio agli sprechi; non c’è un No netto alle grandi opere, ma si parla di un: “sì alle infrastrutture necessarie, nel rispetto dell’ambiente e di gare d’appalto trasparenti”.

 

Quarto polo?

L’ipotesi di un “quarto polo” alternativo a questi tre schieramenti non ha avuto ancora una configurazione chiara, a parte la sovra-esposizione mediatica delle trattative intercorse tra i dissidenti del M5S di Effetto Genova, dei transfughi da Rete a Sinistra, legati a Sinistra Italiana, e a membri di Possibile, e dell’associazione Emergenti.

Nonostante i generosi tentativi della piattaforma politico-sociale Genova in Comune, l’ipotesi della creazione di un “quarto polo” che rappresentasse una alternativa credibile al quadro politico, così come al suo personale politico, non si è concretizzata nei termini preconizzati; anzi sembra confermare che il nuovo che avanza è in realtà il vecchio che non muore.

In questo contesto lo scoglio elettorale ha rischiato di schiacciare il dibattito sul “quarto polo” appiattendolo sul piano elettoralista, con un confronto su metodo e contenuti che ha spesso risentito delle modalità di un ceto politico ancora interno a dinamiche mutuate dal vecchio che non muore piuttosto che ispirato al nuovo che nasce.

Prendendo a prestito le parole del poeta, di questo tempo non rimarranno nemmeno splendide rovine: occorre quindi costruire una ipotesi alternativa non con le macerie della vecchia rappresentanza politica, ma sulle macerie di questa.

I membri usciti o estromessi di fatto dal M5S, come Effetto Genova, seppure hanno tenuto un coerente atteggiamento contro le politiche della Giunta Doria e si rifanno allo spirito delle origini del movimento, non sono stati in grado di articolare una proposta pubblica che andasse oltre la critica ai meccanismi di mancata democrazia interna al M5S (salvo poi riprodurli in sedicesimo, spesso), ad un generico appello alla “società civile” e all’ipotesi di costruzione di una lista civica “senza sigle e senza simboli” escludente tra l’altro finora, l’appoggio di quelle forze della sinistra – a differenza di esperienze simili avvenute in Italia – che seppur residuali, risicate e talvolta preda di un feticcio identitario, sono state con i propri militanti dentro alle mobilitazioni politico-sociali della Superba e non possono essere ignorati come possibili compagni di strada.

In generale, l’idea di proporre “un buon amministratore di condominio” come “sindaco” non soddisfa i presupposti basilari della sfida che si pongono alla città relativa alle classi subalterne, e senza un “immaginario di rottura” ed un “ancoraggio” a quelle esperienze che pur con tutte le difficoltà stanno cercando di praticarlo, le best practices amministrative dentro il patto di stabilità ed il Decreto Madia, rischiano di diventare nel migliore dei casi una gestione più equilibrata della miseria sociale crescente.

 

L’esperienza di Genova in Comune

Questa esperienza, emersa pubblicamente con un appello cittadino e una assemblea pubblica – “ma se ghe pensu, vorrei una città diversa” – a ridosso del referendum costituzionale del 4 dicembre, nonostante fosse da mesi uno spazio di dibattito tra differenti realtà cittadine, ha avuto l’indubbio merito di avere cercato di spostare il dibattito politico sui contenuti e la partecipazione popolare come conditio si ne qua non dell’agire politico, ha dato in tempi non sospetti un giudizio negativo a tutto tondo sulla Giunta Doria, si ispira alle pratiche di “rottura” delle cosiddette Città Ribelli ed i relativi laboratori politico-sociali (Napoli e Barcellona in primis) e in generale guarda con particolare attenzione alle esperienze di “sinistra radicale” emerse a livello continentale, le uniche in grado di “sfidare” anche a livello elettorale in chiave populista sia i partiti dell’establishment che la destra “sovranista” e xenofoba.

Genova in Comune, nonostante un confronto serrato, “porta a porta” si potrebbe dire, con le realtà cittadine relative ai movimenti politico-sociali, alla galassia dei comitati territoriali e “di scopo” e alle esperienze dei centri sociali, nonché alle frammentate forze della rappresentanza politiche della sinistra che non ha sostenuto – o ha rotto ben presto – con Doria, non è riuscita a coagulare attorno a sé una massa critica sufficiente a determinare un piano politico in grado di presentarsi all’appuntamento delle amministrative, “dettando” regole e contenuti del confronto per una rappresentanza politica alternativa al quadro dato.

In questo confronto allargato si è scontrata con una forma mentis indotta dalla crisi più incline alla “rassegnazione” che a “cogliere l’occasione” rispetto ai compiti minimi di una fase politica delicata, con una pericolosa deriva di “depoliticizzazione” del conflitto, o meglio una divaricazione tra “sociale” e “politico” che rischia di far cortocircuitare anche gli sforzi generosi di chi, partendo dalla propria specificità, si ostina a non affrontare praticamente la tematica del potere, della sua legittimità e della sua rottura/disarticolazione.

In generale, ad una possibile riflessione proficua e pratica conseguente sull’articolazione e sulla dialettica tra potere costituente e potere costituito, il corpo complessivo degli attivisti (a parte qualche rara eccezione) ha preferito una variegata la produzione di alibi politici, la cui sintesi può essere affidata ad una strofa di una famosa canzone dei Baustelle: il tuo pessimismo da quattro soldi, chiaramente aveva fatto proseliti.

Rimane il fatto positivo di aver posto e di continuare a porre, al di là del feed-back insufficiente, “il piano della politica” come terreno di discussione a una serie di esperienze, non solo orfane di una esperienza politica di riferimento e di un palpabile disorientamento (almeno sul piano pubblico), ma largamente incapaci di ripensare la propria prassi e funzione in un momento di conflitto sociale non montante e di drastica ed accelerata riduzione dei margini di agibilità politica, come di fatto verificato ed enunciato dalle variegate anime politiche di movimento a livello nazionale.

Permangono i nodi messi in evidenza da importanti esperienze di mobilitazione politico-sociale emersi in questi anni a livello locale: TAV-Terzo Valico (e in generale grandi opere), lotta per la casa, sostegno ai migranti, scuola pubblica e soprattutto le lotte dei lavoratori (partecipate, industria e porto) e per la difesa dei beni comuni. Queste mobilitazioni – chi le ha animate o sostenute – non sono riuscite a far fare un avanzamento generale e/o a sedimentare un processo politico-organizzativo che fungesse da base per un percorso di rottura, almeno a livello locale, come sbocco politico necessario.

Ma è da questi nodi che occorre necessariamente ripartire senza scorciatoie “politiciste”.

Come Genova In Comune, il contributo dato a sostegno delle proposte di leggi di iniziativa popolare su alcuni nodi importanti della governance cittadina e soprattutto la lotta – anche nelle aule del consiglio comunale – contro la “svendita” dell’azienda pubblica di gestione della raccolta e smaltimento dei rifiuti Amiu, alla multi-utiliy Iren e la “sponsorizzazione” di proposte pratiche mutuate dal Coordinamento Rifiuti Corretti, hanno messo in seria difficoltà l’uscente giunta Doria e sono tappe importanti per la costruzione nel medio-lungo periodo di una rappresentanza politica locale dignitosa.

Rimane una ineludibile questione di fondo: senza la creazione di un polo politico nazionale che affronti di petto la gabbia che l’Unione Europea impone, dettando la governance dell’austerity anche alle amministrazioni cittadine, difficilmente verrà alla luce, nonostante gli sforzi soggettivi, una esperienza che abbia la forza di imporsi come soggetto politico a livello locale.
 

 

Interventi precedenti sulla fase politica genovese:

Il rebus dell’elezioni politiche genovesi nella crisi della politica italiana

https://contropiano.org/news/politica-news/2017/02/28/rebus-dellelezioni-politiche-genovesi-nella-crisi-della-politica-italiana-089352

 

Genova: trama, governance, rottura

https://contropiano.org/interventi/2017/03/10/genova-trama-governance-rottura-089738

 

Genova. Polvere di Stelle sul clima elettorale

https://contropiano.org/news/politica-news/2017/03/22/genova-polvere-stelle-sul-clima-elettorale-090138

 

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