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Bologna. Assemblea contro la repressione lancia un appello a tutto il paese

Un’assemblea che si è aperta con un doveroso ricordo alla memoria di Abd Elsalam quella che si è svolta ieri a Bologna sul tema della repressione.

E non poteva essere altrimenti, poiché i nove decreti penali in cui si condannano a sanzioni pecuniarie complessive di 250 mila euro attivisti e militanti dell’USB di Bologna, contestano proprio la legittimità di una protesta spontanea nata all’indomani (e non solo a Bologna ma in molte città italiane) di quell’omicidio padronale, avvenuto la notte del 14 settembre scorso.

Durante l’incontro, davvero molto partecipato, è stato presentato un appello promosso da USB ed Eurostop, con l’intento di mettere in campo un’ampia mobilitazione democratica che chieda un’amnistia e una depenalizzazione dei reati connessi alle lotte sociali e sindacali, contro la repressione e le leggi di polizia (spesso mutuate dal codice Rocco) e, in particolare, per l’abrogazione dei recenti decreti Minniti-Orlando, ormai convertiti in legge. Nell’assemblea sono intervenuti Giorgio Cremaschi, Carlo Guglielmi (Forum Diritti Lavoro), Ugo Boghetta (Eurostop), Fabrizio Tomaselli (esecutivo nazionale Usb), l’avvocato Marina Prosperi, Carlos Venturi (Rete dei Comunisti). Dall’assemblea è stata poi lanciato un appello nazionale contro la repressione che si sta abbattendo contro gli attivisti sindacali, sociali, politici impegnati nella legittima difesa dei diritti sociali e costituzionali di questo paese.

Per dare la cifra di quello di cui parliamo, nei vari interventi si è ricordato come, solo a Bologna oltre ai già citati decreti penali di condanna comminati per il corteo del 15 settembre scorso, nelle prossime settimane prenderanno il via due processi emblematici del clima poliziesco e repressivo che si vive in città: il primo vede imputati 7 compagni e risale ad una contestazione ad un convegno del Partito Democratico nel maggio 2015 nella quale attivisti politici e sindacali protestavano contro l’approvazione del Jobs Act. Il secondo, più recente e che vede imputati ben 30 studenti, riguarda la lotta contro l’installazione di tornelli all’ingresso della biblioteca universitaria di via Zamboni 36.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg: in questi ultimi anni, il potere ha più volte dato prova del suo lato più repressivo e poliziesco, spesso nei modi più infami. Dal continuo ad efferato attacco giudiziario alla lotta dei No Tav in Val Susa, alla repressione dei movimenti No Tap in Puglia e contro il Muos in Sicilia, passando per la criminalizzazione costante, su tutto il territorio nazionale, di coloro i quali si battono per il diritto alla casa.

Inoltre, con la recente conversione in legge del decreto Minniti-Orlando, si sancisce un salto di qualità nei meccanismi repressivi e preventivi che lo stato mette in campo su tutti i fronti: dall’istituzione a tutti gli effetti di due diritti separati tra cittadini italiani e migranti, allo spropositato ampliamento del potere discrezionale di sindaci e prefetti di adottare provvedimenti e comminare sanzioni amministrative (come i fogli di via) tese ad allontanare soggetti ritenuti “pericolosi”.

E proprio questa legge che si sta applicando sistematicamente da tre mesi a questa parte per ogni evento politico di una certa rilevanza: dai controlli a tappeto sui pullman in occasione sia della manifestazione del 25 marzo che del recente sciopero del pubblico impiego, fino ad arrivare alle decine di fogli di via comminati a vari attivisti durante la visita di Trump a Roma e il G7 di Taormina.

Ma non è solo il lato meramente repressivo dello Stato ad incidere sulla vita di ognuno di noi: le leggi sul lavoro (o, per meglio dire, contro i lavoratori), le privatizzazioni, i tagli drastici alla spesa pubblica somministrati alla popolazione in questi anni, hanno progressivamente impoverito una fetta sempre più consistente di persone. Questo è avvenuto specie dopo l’approvazione dei trattati europei e del vincolo di bilancio, che nei fatti pongono gli stessi governi (esclusa la Germania e pochi altri) nell’impossibilità di compiere interventi economici indipendenti dal volere di UE e BCE.

Questo mix micidiale di provvedimenti economici e di scelte politiche sciagurate sta producendo effetti devastanti: disoccupazione di massa, chiusura di aziende e conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro, sfratti all’ordine del giorno in ogni città, disoccupazione endemica, un brusco aumento delle disuguaglianze sociali e un numero esorbitante di famiglie piombate in condizioni di povertà assoluta (si parla, nel 2016, di 4 milioni e mezzo di individui).

Va però detto che, ovviamente, questo attacco a 360 gradi alle fasce sociali più deboli, specie dopo quasi dieci anni di crisi economica dell’Eurozona, sta portando sempre più persone a sviluppare una viscerale refrattarietà ed avversione verso tutto ciò che viene visto come classe dirigente, come establishment. Dal referendum greco del 2015, alla Brexit, fino ad arrivare al referendum costituzionale del 4 dicembre voluto da Renzi, vediamo una sistematica opposizione dei popoli europei alla volontà delle loro classi dirigenti ogni volta che ai primi viene data possibilità di esprimersi democraticamente.

Questo lo vediamo anche nei posti di lavoro. E la bocciatura da parte dei lavoratori e delle lavoratrici Alitalia del piano di ristrutturazione aziendale è solo il caso più recente ed emblematico.

Risulta dunque facile comprendere il perché le misure di macelleria sociale di questi anni vengano seguite da provvedimenti e leggi repressive che, però, si distinguono qualitativamente dalle leggi speciali degli anni ’60 e ’70 o, prima ancora, da quelle fasciste del Codice Rocco: in quei momenti infatti, la repressione era mirata a colpire i dissidenti o i militanti politici o a stroncare ogni ipotesi di cambiamento sociale radicale; oggi invece è in corso un vero e proprio attacco dall’alto verso il basso, un attacco a tutto campo che le classi dirigenti stanno sferrando alla grande maggioranza della popolazione e ne stanno pagando il prezzo in termini di legittimità. Ed è dunque evidente che, in un tale contesto, chiunque si batta per i propri diritti sociali, ogni lavoratore, ogni disoccupato, ogni esodato, ogni sfrattato, ogni precario e, potenzialmente, ogni cittadino, possa risultare una minaccia per il potere nel momento in cui non fosse disposto ad accettare supinamente la sua condizione e, magari, fosse anche pronto ad organizzarsi con altri per rivendicare più di quanto, dall’alto, si sia disposti a concedergli.

Va letta in questo senso la spropositata somma richiesta ai nostri compagni per i fatti del 15 settembre scorso e sempre in questo solco, si inserisce la svolta impressa da Minniti nella gestione dell’ordine pubblico una volta arrivato al dicastero degli Interni.

Scoraggiare e disincentivare la partecipazione e l’organizzazione degli sfruttati con controlli preventivi e discrezionali a tappeto, terrorismo mediatico e pesanti sanzioni pecuniarie, questo pare essere l’obiettivo di una classe dirigente che sa bene dove ci vuole portare, che è ben conscia del modello di società che vuole edificare dalle macerie della democrazia progressiva.

Una società simile a quella premoderna o della prima rivoluzione industriale, in cui il concetto di democrazia sia completamente svuotato di significato, in cui l’unico interesse da tutelare sia quello del Capitale e del profitto privato, in cui non ci siano spazi per termini come giustizia sociale o uguaglianza sostanziale, dove le risorse disponibili siano concentrate e strette gelosamente nelle mani di pochi, pochissimi individui mentre milioni di persone vivono in condizioni di grave deprivazione materiale.

Ieri, alla presenza di oltre 150 persone a questa assemblea, è stato posto un primo mattone per contrastare questa deriva autoritaria e classista e per costruire contro di essa una forte mobilitazione, un vasto fronte democratico che, partendo anche da quei diritti costituzionali che abbiamo voluto difendere col NO del 4 dicembre, sappia rimettere al centro del discorso pubblico i diritti e le istanze degli ultimi, dei settori sociali più deboli e più colpiti dalla crisi e dagli effetti deleteri delle politiche di austerità.

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