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Bologna. Il fiato corto della “sinistra populista autoconvocata”

Ieri si è tenuto a Bologna l’ennesimo appassionante dibattito sul tema “Sinistra e popolo”: a presentare la posizione degli organizzatori, ovvero di Ugo Boghetta e della sua “Indipendenza e Costituzione” c’era il buon Carlo Formenti, con il suo bagaglio teorico di populismo socialista e lotta alla UE, mentre nell’altro angolo del ring sedeva Fausto Bertinotti, con il suo portato di sconfitta storica e polemiche.

L’iniziativa prendeva le mosse da un libro “Rosso di sera” scritto proprio dai due un paio di anni fa, in cui si discuteva di globalizzazione, fine delle socialdemocrazie, crisi della sinistra. Evidentemente un po’ fuori tempo per essere inteso come una presentazione del libro stesso, il dibattito è stato collocato utilmente tra la fine delle elezioni e la “autoconvocazione per una sinistra nazionale e popolare” del 15 aprile sempre a Bologna, autoconvocata da Boghetta, Porcaro e Formenti, che sono anche i firmatari di una piccata lettera con cui prendono le distanze da Eurostop a seguito di quella che intendono come la sconfitta elettorale di Potere al Popolo.

Nella sua introduzione Boghetta se la prende coi “pavloviani”, ovvero quelli che quando sentono il nome di Bertinotti si mettono le mani fra i capelli, e non serve stare qua a spiegare il perché. “Meglio quelli che ti fanno pensare, e magari anche incazzare, che quelli che fanno solo incazzare”, sarebbe la ragione per avere invitato Bertinotti, che però non pare capace di fare né una cosa né l’altra, né tantomeno di attirare sperate folle.

Il discorso di Formenti, dopo una presa di distanza dall’azione di Eurostop dentro Potere al Popolo, evidentemente sentita necessaria, è il discorso che abbiamo imparato ad apprezzare dai suoi libri e da tutte le assemblee svolte insieme: di fronte alla sconfitta (o tradimento) storico dei partiti socialdemocratici europei dovuta dalla globalizzazione e la finanziarizzazione, bisogna rilanciare un progetto socialista, il cui tratto populista deve essere forma e discorso, e non struttura. E nella lotta per la costruzione del popolo, ben venga l’identificazione del nemico, che in questo momento non può che essere l’Unione Europea. C’è però anche un amaro dato di realtà nella veloce analisi del voto del 4 marzo, che il campo populista è stato occupato massicciamente dal M5S.

Bertinotti, sagace analista della sconfitta, parte dal ’68 per raccontare la disfatta verticale della sinistra. Anche per lui al centro dell’agenda c’è la ricostruzione del popolo, e l’aperutura del perimetro politico oltre a quelle persone che già si definiscono di sinistra, ma è nel momento della definizione del nemico che incomincia a tirare colpi all’aria. Certo, la UE è stata ed è una costruzione oligarchica, il nuovo e allargato “comitato d’affari” della borghesia europea, ed è chiaramente incompatibile con la democrazia…; però nel momento in cui si sancisce che lo Stato è totalmente inerme di fronte alla finanza globale, la UE oligarchica borghese antidemocratica non sarebbe più il nemico da combattere frontalmente, ma bisognerebbe in qualche modo accerchiarlo tramite “l’allargamento del conflitto” ai popoli degli altri paesi.

Nella sua esposizione, il fallimento della lotta greca culminata col tradimento del referendum, così come quella francese contro la Loi Travail di Hollande, non dipendono dal fatto che i governi hanno smesso di rappresentare gli interessi del loro elettorato e sono comandati da Bruxelles (e quindi possono sopportare mesi di scioperi, mobilitazioni, crolli di governo e partiti storici, tanto bisogna fare quello che bisogna fare), bensì che non ci sia stata la solidarietà degli altri paesi, che “il conflitto non si sia allargato”.

La tesi, che pare molto vicina a quella di Varoufakis, però è terribilmente spiazzante anche se si vuole rimanere sul campo del conflitto sociale, perché sancisce che qualunque lotta porterà inevitabilmente alla sconfitta in assenza di solidarietà e lotta attiva negli altri paesi, illusione bella e romantica quanto ferocemente antirealista del tremendo sentimento di competitività che la UE fa emergere fra i popoli europei.

Insomma, un dibattito le cui tesi sono state già ampiamente discusse, ma che non apportando nessun elemento di originalità di analisi pare molto acerbo nella capacità di esprimere un’azione alternativa. Anzi, la conferma dell’analisi fatta negli anni passati, a partire da un popolo pronto a usare l’arma elettorale per punire l’establishment ritenuto giustamente responsabile di una crisi senza fine, complica ogni possibilità di populismo socialista, dato il ruolo centrale e ingombrante del M5S.

Se questo è sicuramente pesato anche sul risultato elettorale di PaP, però dovranno tenerne conto pure gli “autoconvocatori della sinistra” (termine da cui evidentemente anche loro non riescono a staccarsi) nazionale e popolare, ovvero che non basta sventolare la bandiera “anti-establishment” per costruire il populismo socialista, fosse anche accompagnato dall’analisi più fina e dalle parole d’ordine più avanzate (s’intende soprattutto l’uscita dalla UE) perché comunque quel campo è oggi occupato dal M5S.

Né si può pensare che in questa ennesima ricostruzione basti assumere una posizione intransigente sulla questione migranti (se in chiave tattico-comunicativa o di reale adesione non si è ancora capito) per ristabilire la connessione sentimentale con il popolo: non ci stancheremo mai di dire che il problema migranti è la migliore fake-news creata dai padroni europei per distogliere l’attenzione dei lavoratori autoctoni dai loro reali nemici (ovvero i padroni stessi), e che accettare questa visione non è soltanto rincorrere la Lega, ma è proprio darla vinta ai padroni. Senza dimenticare, ovviamente, che la Lega è l’altro polo populista, attualmente tanto forte e quindi molto più credibile di qualunque altra proposta nell’assumersi il “controllo dell’immigrazione”.

Questi punti di incertezza mostrano una certa debolezza d’azione nell’uscire da un percorso strutturato quale quello di Eurostop per lanciarsi nel vuoto della sinistra nazionale popolare, con magari un ottimo carico intellettuale (lasciando ovviamente da parte la questione migranti e una tendenza nazionalistica sempre meno strumentale e sempre più ideale), ma senza essere capaci di muoversi nel campo di gioco esistente, pur riuscendo a vederlo in maniera piuttosto chiara. E qua sveliamo il segreto di Pulcinella: nella politica non basta avere ragione, ma bisogna anche portarla avanti. Possiamo avere capito tutto della fase storica che ci si sta aprendo davanti, della lotta tra populismo ed establishment, la costruzione ordoliberista e antidemocratica della UE, ma se non hai la forza per portare questi temi nella società, rimangono buoni solo per i dibattiti nelle aule universitarie o le presentazioni di libri. Che tutto questo portato senta poi il bisogno di confrontarsi con Bertinotti è francamente poco intellegibile.

Se si vuole agire politicamente servono gli strumenti adeguati. E quello di cui c’è bisogno adesso, riconosciamo un po’ tutti che sia l’essere un’organizzazione popolare che riesca a parlare fuori dagli steccati della sinistra (steccati sempre più piccoli e incerti tra l’altro), ma che se di organizzazione si tratta e non solo di belle parole, non può che iniziare a muoversi da quel poco di terreno di reti, organizzazioni e militanti che è rimasto. Se “Indipendenza e Costituzione” pensa di riuscire a costruire il populismo socialista da sola, non possiamo che augurarle buona fortuna, pur mettendola in guardia dalla velleità del progetto. Se invece pensa di allearsi con altre forze della sinistra anti-UE le diamo una piccola anticipazione: non ne esistono. Questo è il dato di realtà che Eurostop ha capito e su cui ha deciso di muoversi, accettando mediazioni necessarie in politica ma senza fare rinunce, aderendo al percorso di Pap per quanto ancora ai primi passi (e che soltanto gli idealisti potevano pensare avrebbe risolto in tre mesi il tracollo decennale della sinistra), ma continuando a portare avanti chiaramente la sua campagna contro l’Unione Europea, di cui l’assemblea nazionale del 24 marzo sarà un passaggio importante, con una capacità di diffusione molto maggiore di quella di pochi mesi fa.

Questo è quanto Eurostop ritiene si possa fare oggi, date le condizioni. Se non ci siamo accorti di qualcosa che c’era ma non siamo riusciti a vedere, aspetteremo di essere stupiti il 15 aprile.

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