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Sapienza Tossica: denunciamo chi sfrutta i territori!

Negli ultimi mesi decine tra singoli, associazioni e gruppi politici hanno riportato all’ordine del dibattito pubblico la questione della devastazione ambientale e del mutamento climatico dovuti all’inquinamento. Come studentesse e studenti della Sapienza, siamo convinti che una risposta reale a questo tipo di problemi non possa venire soltanto da un cambiamento dei comportamenti individuali, ma che la responsabilità vada anche ricercata tra le aziende multinazionali e le istituzioni che si rendono partecipi della devastazione ambientale. Per questo, vogliamo denunciare le contraddizioni presenti alla Sapienza.

Recentemente il rettore Gaudio ha tentato di lanciare un segnale sul tema, varando una serie di iniziative per promuovere la sostenibilità ambientale che sono in piena sintonia con l’accordo siglato dalle “Conferenza dei rettori delle università italiane” (Crui) con l’associazione Marevivo e il “Consorzio nazionale interuniversitario per le scienze” aderendo alla campagna #StopSingleUsePlastic. Tra le iniziative, segnaliamo la distribuzione di borracce in metallo alle future matricole per disincentivare l’uso delle bottiglie di plastica e l’istituzione di un premio alle società di ristorazione all’interno dell’università che abbandoneranno l’uso della plastica. Questi cambiamenti che mirano a ripulire l’immagine dell’università attraverso un ambientalismo compatibile, sono perfettamente in sintonia con il Piano Strategico della Sapienza, in termini di competitività rispetto alle altre università e avanguardia sul tema.

Sono proprio questi gli atteggiamenti che non soltanto sono insufficienti nel denunciare lo stato delle cose, ma permettono la deresponsabilizzazione di fronte a una situazione ormai al collasso.

Il capitale cerca di camuffare le reali contraddizioni spostando il problema dalle cause agli effetti, mascherando le intenzioni con soluzioni alternative come la green economy, un volto verde che riperpetua lo stesso meccanismo di sfruttamento dei territori e dei lavoratori.

Sono infatti decine le collaborazioni tra docenti, dipartimenti e corsi di studio con soggetti privati che nel corso del tempo si sono resi protagonisti di vere e proprie devastazioni di interi territori.

Un esempio è il master di “Caratterizzazione e tecnologia per la bonifica dei siti inquinanti” che tra i propri partner presenta soggetti quale Eni, Shell o Enel: realtà che si caratterizzano per pratiche estremamente inquinanti e dannose per l’ambiente, basti pensare alle decine di casi in cui le prime due sono state accusate dalle popolazioni locali di gravi danni provocati dall’estrazione del greggio, soprattutto nei siti che le due corporation possiedono in Nigeria come nel sud Italia.

Il Master di secondo livello in “Progettazione geotecnica”, invece, tra i vari partner annovera RockSoil e Cnc: entrambe le realtà sono strettamente collegate alla realizzazione del Tav in Val di Susa. La prima in particolare è stata fondata da Pietro Lunardi, guarda caso ministro delle infrastrutture e dei trasporti con Berlusconi, mentre la seconda società è stata incaricata di costruire i tunnel di servizio per la grande opera inutile, e per il quale uso e consumo sono stati sgomberati con violentissime cariche i No Tav che occupavano i lotti dove si sarebbero dovuti svolgere i lavori nel 2005.

Questi sono solo due esempi di come l’influenza dei soggetti privati all’interno dei nostri atenei abbia ormai profondamente influenzato perfino la didattica. Ma non mancano neanche gli interessi dei singoli docenti, ormai spesso parte integrante dei consigli di amministrazione delle grandi aziende: in questo modo, oltre a ingrassare il proprio curriculum, si possono attivare convenzioni estremamente vantaggiose per le aziende soprattutto in termini di brevetti ma anche di reclutamento di personale.

Le aree più interessate da questo tipo di fenomeno sono quelle che producono un sapere meglio spendibile sul mercato, come i rami dell’ingegneria gestionale, dell’economia o del diritto; in questo modo si influenzano didattica e ricerca dei rispettivi dipartimenti per poter rispondere al meglio alle esigenze degli stakeholder privati, ad esempio insegnando solo teorie economiche riconducibili al neoliberismo.

E così, troviamo docenti con ruoli di dirigenza presso l’Enel, oppure in Cda di ditte come Salini Impregilo, ditta di costruzioni che tra le altre cose è direttamente coinvolta nella realizzazione del cosiddetto Terzo Valico.

Non è questo però l’unico modo in cui alcuni docenti prestano la loro competenza alle grandi aziende private; un’altra via sono le consulenze esterne, spesso ben remunerate. Alcuni docenti hanno redatto analisi costi-benefici, valutando l’impatto delle opere in relazione al profitto che le aziende coinvolte ne avrebbero potuto trarre, magari giustificando il tutto tramite opere di compensazione ambientale che non saranno poi mai realizzate.

Per questo riteniamo doveroso prendere parola, denunciando le aziende che sfruttano e devastano i territori, come la complicità dell’istituzione universitaria che con questi soggetti stringe rapporti e collaborazioni. Siamo convinti che la Sapienza, come le altre università, debbano rappresentare un luogo di produzione di sapere critico e non l’ennesimo terreno di conquista per le grandi multinazionali.

Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla privatizzazione in blocco di settori strategici dell’economia come l’acqua, l’elettricità, il gas e i trasporti: è per questo che sentiamo la necessità di invertire la rotta, andando a denunciare la contraddizione di quell’ateneo che vorrebbe ripulire la sua immagine tramite un ambientalismo compatibile con le logiche padronali, ma che dall’altra parte stringe collaborazioni con alcune delle aziende più inquinanti e che nel corso del tempo si sono macchiate dei peggiori saccheggi ai danni dei territori.

L’università svolge un ruolo strategico, dove la filiera formativa e produttiva vanno di pari passo, ed è all’interno di queste aule che si sviluppa la scienza e la tecnologia del domani: la lotta parte anche da qui. La lotta ambientalista deve essere necessariamente anticapitalista.

Di seguito alcuni esempi di conferenze e dipartimenti che presentano come partner tali multinazionali:

 

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