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Polizia di Stato o Stato di polizia? Prima e dopo Genova…

Polizia e carabinieri sono fuori controllo, questo sembra evidente. O, se un controllo c’è (e c’è sicuramente, visto che sono corpi militari o inquadrati operativamente secondo quella logica), stanno facendo una politica non esplicitata, ma chiara.

Non esplicitata, va detto subito, perché in radicale contrasto con la Costituzione repubblicana e le leggi di questo disgraziato paese.

Con il sequestro della città di Genova, ieri 23 maggio, questa politica ha fatto l’ultimo salto di qualità possibile prima della proclamazione dello “stato di polizia”.

Ufficialmente, il prefetto ha “garantito un normale comizio pubblico richiesto da un partito”. Sorvoliamo, per ora, sulle caratteristiche di questo cosiddetto “partito” e limitiamoci ad analizzare la gestione della città per garantire questa cosa, grazie anche alle riflessioni di alcuni compagni genovesi.

La piazza del “comizio” ha quattro vie d’uscita, di cui una dà su un’altra piazza, con altre sette vie. Tutte queste strade sono state blindate, con tanto di furgoni e cancelli mobili, e centinaia di uomini a piedi (in divisa e non).

Nessuno poteva entrare o uscire da questa gabbia, neppure i cittadini residenti.

Prima questione. Un “comizio” è un evento pubblico, per definizione aperto a chiunque voglia assistervi. Un evento cui invece possono partecipare solo gli “invitati”, con tanto di lista e autorizzazione, si chiama “festa o riunione privata”. Per la quale, com’è ovvio, non si chiude una parte di città e tantomeno si impegnano centinaia di poliziotti (neanche se ti chiami Agnelli).

Seconda questione. Se la blindatura di Genova è stata decisa per “garantire il diritto di tenere un comizio”, paventando che altrimenti avrebbe potuto essere disturbato da contestatori, questo principio andrebbe generalizzato a tutti i partiti che si presentano alle elezioni. Perché tutti potrebbero essere disturbati da simpatizzanti dei concorrenti.

Ma questo punto avremmo l’assurdo che tutti i comizi andrebbero difesi con un tale dispiegamento di forze, con il risultato che nessun comizio potrebbe essere frequentato da cittadini “normali”, ossia non “invitati” perché membri di quel partito. Ergo: i comizi sarebbero completamente inutili rispetto allo scopo ufficiale per cui vengono convocati: cercare consenso elettorale.

Dunque, quello di Casapound non era un “comizio di un partito politico”, ma un pretesto per un gioco delle parti tra un gruppo di fascisti e la polizia dello Stato.

Il gioco è scoperto, anche perché qualcuno è andato davvero a chiedere ai funzionari di piazza: “scusa, ma come faccio ad assistere al comizio?”. E la risposta non lascia dubbi: “i 40 (in realtà anche meno, come si vede, ndr) partecipanti al comizio erano stati preventivamente autorizzati/registrati”.

Bene. A Genova, dunque, la polizia ha sequestrato un pezzo di città per consentire una “festa privata” di gente che si dichiara fascista, anche se “del terzo millennio”. E che dunque, a termini di legge, andrebbe arrestata, sciogliendone le fila e chiudendone le sedi. Compito che spetterebbe proprio alla polizia, con il successivo conforto di una sentenza giudiziaria…

Le precedenti sortite di Casapound e polizia – per esempio a Roma – erano state un pochino più “furbe”, nella preparazione.

Sia a Torre Maura che a Casalbruciato (per ben due volte), il copione era stato infatti leggermente differente. I fascisti si presentavano per impedire l’insediamento di famiglie rom (in un centro d’accoglienza oppure in case popolari regolarmente assegnate), grazie alla “soffiata” di qualche funzionario del Comune di Roma. La polizia a quel punto li proteggeva da eventuali proteste antifasciste, favorendo quel tanto di supporto della gente del quartiere meno informata. Solo nell’ultimo caso, di fronte all’evidente forzatura della legge da parte dei fascisti, la polizia ha scortato la madre rom con la bimba in braccio per consentirgli di entrare nella casa assegnata.

Ma nella gestione della situazione a Casalbruciato, l’atteggiamento della polizia, non è che  fosse complessivamente meno censurabile. In realtà, lasciando che Casapound mettesse in scena la sua gazzarra, impediva che atti amministrativi legalmente decisi diventassero effettivi. In pratica, favoriva la commissione di un “reato” (sorvolando per carità di patria sui reati solitamente commessi in questi casi, come l’apologia del fascismo, i saluti romani, le minacce razziste, ecc).

La lista potrebbe essere allungata a dismisura, se fosse necessario.

Ma la trama politica esce anche così sufficientemente chiara. Che Casapound possa essere un “partito politico” in grado di entrare stabilmente nei quartieri popolari e “rappresentare” il malessere sociale crescente è ovviamente una bufala. Solo gli “antifascisti dei Parioli” – tipo Repubblica e il Pd – possono agitare questo straccio per nascondere la propria falsità.

Sono quattro gatti, un gruppo di picchiatori in libera uscita, sovraesposto mediaticamente e dunque “accreditabile” sul piano elettorale, ma senza alcuna possibilità di diventare “movimento di massa”. Ruolo che invece viene ricoperto dalla Lega di Salvini, da Fratelli d’Italia, ecc.

E anche in questi casi la polizia viene sempre più scopertamente usata come “servizio d’ordine politico”, invece che come “protezione dei cittadini”. Viene mandata nelle case private senza mandato per requisire striscioni polemici o ironici con il ministro in carica, controlla gli striscioni portati dagli studenti persino alla “festa della legalità” antimafia, sequestra cellulari dopo un selfie beffardo col ministro, ecc.

Ma Casapound e i fascisti dichiarati sono e restano gruppetti senza futuro… Dunque, perché la polizia viene così massicciamente impegnata nella loro protezione ovunque questi quattro gatti decidano di andare (o vengano indirizzati)?

La risposta che al momento ci sembra più razionale è semplice: Casapound (e Forza Nuova, ecc) sono poco più di un’esca. Servono a far uscire allo scoperto gli antifascisti veri, che possono così essere schedati, denunciati, picchiati, nell’intento di ridurne al minimo le già non oceaniche fila. Una politica di repressione preventiva, insomma, che usa indifferentemente l’esca dei fascisti come gli infiltrati, la schedatura dei profili social come i daspo o i “decreti penali” (autentiche “condanne” comminate direttamente dalla polizia, senza passare per un processo e un tribunale). Se andate a leggere le misure aggiuntive al Decreto Sicurezza, proposte da Salvini, il meccanismo repressivo diventa ancora più pesante e anticostituzionale.

Questo insieme è da stato di polizia, anche se non viene dichiarato tale.

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1 Commento


  • Diggei Rapina

    Fotografia nitida di quello che accade in questo paese “psichedelico”. Bravo Alessaandro.

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