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Potere al Popolo: sintesi, analisi e proposte della 6° Assemblea Nazionale

Domenica scorsa Potere al Popolo ha convocato a Roma la sua sesta Assemblea Nazionale per fare il punto su quanto fatto finora e sulle sfide che ci attendono. L’Assemblea è riuscita ogni oltre previsione: più di 500 persone sono venute da tutta Italia e anche dai nodi esteri a portare, in quasi 50 interventi, un patrimonio di idee, proposte, esperienze e umanità, hanno condiviso rabbia e gioia, ingiustizie e lotte vincenti, con spirito positivo e con il sentimento di stare costruendo una comunità e uno strumento utile per tutti gli sfruttati. Insieme abbiamo rinnovato quell’impegno a “fare tutto al contrario” rispetto a quello che abbiamo visto nella politica italiana di questi anni.
Dopo un anno e mezzo, infatti, non ci è passata la voglia – e anzi pensiamo sia sempre più necessario – essere diversi da quella politica fatta di molte chiacchiere e pochi fatti, molto verticismo e poca partecipazione, molto opportunismo e poco spirito di servizio, molti personalismi e poco senso del collettivo, molta ideologia e poca concretezza, molta immagine e propaganda e poca sostanza, molti litigi e poca voglia di pratiche comuni…
In quest’anno e mezzo di vita abbiamo toccato con mano che “fare tutto al contrario” è davvero possibile, che è possibile costruire un nuovo tipo di organizzazione, far partecipare le persone e anche ottenere vittorie. Certo, ci siamo sempre più convinti che occorra essere onesti sulle tante difficoltà che un progetto come il nostro deve affrontare, ma anche che bisogna cercare sempre l’aspetto che possa volgerle al positivo.
Stiamo facendo ed accumulando esperienze sul campo, spesso in modo diversificato, stiamo aggregando nuove persone, molte delle quali giovani o nuove alla politica, stiamo cercando di radicarci sui territori aprendo Case del Popolo, ricomponendo settori della società lì dove le classi dominanti hanno lavorato a dividere, disgregare, contrapporre. Stiamo cercando di migliorare il nostro programma attraverso 13 tavoli di lavoro nazionali e, dopo le ultime elezioni amministrative in cui abbiamo eletto consiglieri, abbiamo iniziato a sperimentare anche il lavoro nelle istituzioni di prossimità. Ma siamo perfettamente consapevoli che tantissimo resta ancora da fare per diventare un’opzione credibile agli occhi delle classi popolari.
Le pagine che seguono sintetizzano appunto le analisi e le proposte emerse dall’Assemblea Nazionale per riuscire a crescere, organizzarsi meglio, risultare più incisivi.

1. La nostra collocazione: dalla parte dei senza parte

In quest’anno Potere al Popolo ha dimostrato una bella vitalità e sta cercando di conquistarsi la necessaria credibilità innanzitutto tra la gente, non solo nelle file sempre più ridotte di chi è già di sinistra. In un deserto politico e un clima di forte sbandamento non è abbastanza per cambiare il mondo ma non è affatto poco. Anzi, è il primo passo.
Sappiamo di avere di fronte uno scenario a metà tra una “lunga marcia” – perché c’è da accumulare forze, cambiare cattive abitudini e modi di pensare che hanno contagiato tanti dei “nostri”, sviluppare una nuova teoria e un nuovo immaginario all’altezza dei tempi – e la sensibilità di stare immediatamente lì dove le contraddizioni si producono o possono prodursi. Per questo non possiamo essere settari, perché non ci possiamo tirare indietro dall’essere in ogni conflitto: dalle lotte sociali all’antifascismo militante, dalle mobilitazioni dei lavoratori a quelle sui diritti civili, da quelle ambientaliste a quelle femministe. Non a caso abbiamo sempre scelto di essere in piazza a fianco dei movimenti sociali e dei comitati popolari.
Questo approccio ci ha consentito di attraversare anche tornanti difficili come le recenti elezioni europee che avrebbero ammazzato molti altri giovani progetti, e ora possiamo metterci a disposizione di chi vede tutto nero e pensa che le cose siano immutabili. Ci riferiamo soprattutto a lavoratrici e lavoratori, alle precarie e ai disoccupati, agli abitanti delle periferie e ai migranti, a tutti coloro contro cui è stato diffuso a piene mani lo scetticismo del TINA (there is no alternative, “non ci sono alternative”) per cui appare inutile agitarsi, appare inutile cercare di mettersi insieme agli altri. Potere al Popolo, al contrario, intende proprio mettersi al servizio di chi vuole lottare ma stenta a trovare una rappresentanza politica dei propri interessi e delle proprie aspirazioni all’emancipazione.
Quando parliamo di “rottura” non facciamo ideologia ma intendiamo veicolare nella società un presupposto fondamentale per ottenere un cambiamento significativo. Vogliamo sentirci e assumerci, nel XXI° Secolo e in questa parte del mondo, la responsabilità di tenere aperta un’ipotesi rivoluzionaria, contro il capitalismo e per il socialismo.
Per questo stiamo costruendo giorno per giorno uno spazio alternativo sia al liberismo “europeista” del PD, a cui probabilmente in nome del “voto utile contro i fascismi” si aggregheranno altre piccole forze della sinistra, sia al liberismo “sovranista” di Lega e 5 Stelle. Non abbiamo paura a dire che la maggior parte delle misure di questo Governo sono barbare e reazionarie, e quelle poche misure sociali che hanno approvato (decreto dignità, reddito di cittadinanza, quota 100) sono decisamente insoddisfacenti. Ma, d’altra parte, non abbiamo paura a dire che il PD non è un compagno di strada, perché è da tempo parte del problema e porta piena responsabilità nella crescente ostilità popolare verso la sinistra. Non intendiamo più subire la logica del meno peggio, che poi va sempre a finire nel peggio: la nostra vita merita il meglio.
Potere al Popolo intende costruire il suo percorso, agendo affinché la nostra gente riscopra le proprie potenzialità, le metta in comunicazione con gli altri, le trasformi in un sentimento di protezione collettiva e recuperi la propria autostima. Un popolo che non ha stima di se stesso non produce il necessario conflitto né lotta per la propria emancipazione. È questo il processo che continua a impedire ogni ricomposizione di classe.
È stato questo il senso della decisione di aprire ovunque possibile Case del Popolo come luoghi della ricomposizione e della sperimentazione, o della partecipazione alle elezioni amministrative e della costruzione dell’organizzazione di Potere al Popolo in tutti i territori dove già siamo e in quelli in cui vogliamo arrivare. Va completamente rovesciata la logica rispetto al passato. L’organizzazione non serve per fare le elezioni, sono eventualmente le elezioni che possono servire a costruire l’organizzazione, sedimentando i rapporti, costruendo gruppi di azione, allargando la nostra interlocuzione sociale, cercando di utilizzare al meglio l’eventuale presenza di Potere al Popolo nelle istituzioni di prossimità alla gente e ai territori (consigli municipali, comunali, regionali).
Se il governo gialloverde andrà in crisi e verranno convocate elezioni anticipate noi intendiamo farci trovare pronti, sul piano organizzativo e sul piano dell’approccio politico, a una scadenza elettorale. C’è bisogno di far sentire, anche ai livelli più alti, una voce diversa.

2. Lo scenario internazionale in cui ci inseriamo, sempre più violento

Dobbiamo avere piena consapevolezza che i tempi in cui Potere al Popolo si trova ad agire non sono affatto facili, al contrario. Non possiamo sottovalutare come l’accresciuta competizione globale tra le grandi potenze stia creando tensioni e rischi di guerre. In alcuni casi queste guerre già si combattono attraverso strumenti come le sanzioni economiche o i conflitti commerciali. In questa competizione sempre più brutale, tutte le grandi potenze si stanno adeguando mettendo fine alle relazioni internazionali che abbiamo conosciuto dal dopoguerra in poi. Stringono accordi strategici ma esclusivi in materia economica, monetaria, militare, sulle risorse e le tecnologie. Lo fanno gli Stati Uniti, lo fanno Russia e Cina, lo stanno facendo anche i paesi dell’Unione Europea.
Gli imperialismi non sono più un esclusivo tema di analisi storica, sono tornati a manifestare tutti i limiti e i pericoli di un particolare livello di sviluppo del capitalismo a livello internazionale. Anche di fronte a nuove sfide come l’infarto ecologico del pianeta, le multinazionali e le banche reagiscono soltanto cercando di capire come possono trarre valore dalla crisi ambientale. Mentre gli Stati e le organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale le assecondano con misure, leggi, direttive che ne agevolano gli interessi. Sono queste politiche di sfruttamento e devastazione ambientale a causare le migrazioni: ed è paradossale che le persone che scappano da tutto questo vengano di nuovo perseguitate, incarcerate, espulse, trattate come schiave nel nostro paese.
Ma di fronte ai pericoli di guerre o di infarto ecologico, occorre che si sollevi una intera umanità, dalla dimensione locale a quella generale, per fermare un piano inclinato che porta ad esiti drammatici. In questa sollevazione Potere al Popolo deve trovare il suo posto e svolgere la sua funzione.
Un contesto storico che ormai non esclude la guerra o una feroce competizione globale sulle risorse, fino a ritenere che interi pezzi di umanità siano ormai un eccesso di capitale da eliminare, produce all’interno di ogni paese scelte economiche e sociali precise, un clima politico e ideologie conseguenti. È questa la guerra tra poveri e guerra contro i poveri e che stiamo vedendo e combattendo da tempo nei quartieri, nei luoghi di lavoro ed anche nelle università e le scuole, dove l’accesso e la conclusione degli studi e della formazione sembrano ormai riservati alle minoranze sociali che possono permetterselo (per non parlare della natura ideologica e sempre meno critica dell’istruzione ricevuta).
I tagli al welfare, che in una società ancora largamente maschilista colpiscono in primis le donne, e alle risorse prima disponibili, hanno creato ovunque una percezione e gestione della “scarsità” del tutto funzionale ai ricchi e al capitale. L’aver concepito e scatenato poi la competizione al ribasso negli strati sociali più deboli della società, è una delle operazioni più criminali del modello liberista e più difficili da contrastare.
Una guerra contro i poveri ha bisogno anche di un sistema politico, giudiziario, poliziesco conseguenti. Le riforme istituzionali e repressive approvate in questi anni sono state tutte ispirate dalla paura e dalla necessità delle classi dominanti di impedire che i settori popolari e quelli impoveriti dalla crisi provino ad alzare la testa. La costruzione di un nemico esterno e interno (dai migranti agli “antagonisti”) ha rimesso in circolo veleni come il razzismo e la logica dello stato di polizia. Potere al Popolo, se saprà reggere alle prove che lo attendono, deve essere consapevole che sarà nel mirino di chi intende impedire con ogni mezzo che il conflitto sociale torni ad essere uno strumento dell’emancipazione della società nel suo complesso.

3. La situazione economica e politica italiana: come vogliamo cambiarla

La divisione internazionale del lavoro e la competizione globale, i trattati firmati a livello internazionale, la fragilità del nostro capitalismo imperniato intorno alla piccola e media impresa capace di restare a galla solo grazie a evasione, bassi salari e a una rete di intermediari che disperdono il valore prodotto a tutto danno di chi lavora, il grosso livello di indebitamento e la maggiore esposizione alla speculazione finanziaria, la mancanza di qualsiasi capacità di pianificazione da parte della nostra classe politica, fanno sì che il nostro paese abbia da tempo un ruolo subalterno e le nostre classi popolari siano particolarmente oppresse. I nostri dirigenti, di qualsiasi colore politico, nonostante sfumature a uso e consumo elettorale, non si adoperano per la difesa delle fasce sociali più deboli e per la difesa del lavoro ma difendono gli interessi dei mercati, della finanza e dei ceti più ricchi, anche collaborando e accettando diktat diktat provenienti dall’UE e dagli USA. Così si stanno acutizzando in Italia non solo le disuguaglianze sociali ma anche le asimmetrie territoriali. La legge sull’autonomia differenziata punta proprio a sancire e radicalizzare questa situazione.
In questi anni abbiamo infatti visto la chiusura di centinaia di luoghi produttivi, il sistematico declino degli istituti di formazione in alcune regioni, e la loro concentrazione solo in alcune aree del paese. Ormai si produce solo per esportare sulla base delle richieste dei mercati esteri ma deprimendo salari, consumi, investimenti e servizi all’interno. Si emigra di nuovo verso le regioni ricche o all’estero. Le fabbriche e le aziende chiudono o restano aperte solo se si trova un compratore, spesso multinazionale, che accetta l’investimento esclusivamente se lo Stato gli garantisce riduzioni del personale, incentivi e sconti fiscali e contributivi, tregua sociale all’interno delle aziende. Seguendo questa logica, sono state chiuse fabbriche importanti o smantellate e privatizzate reti strategiche nei trasporti, nell’energia, nelle telecomunicazioni. Intere aree sono ormai ridotte a cimiteri industriali.
Lo Stato dunque agisce, ma solo a sostegno degli interessi privati e non degli interessi collettivi. Il costo sociale di queste politiche è stato, e continua ad essere, altissimo in termini di licenziamenti, disoccupazione, impoverimento, crollo dei salari e finanche di una regressione sociale, civile, generale del nostro paese sotto tutti gli aspetti. Tra questi inaccettabile la regressione sulla parità di genere: basti pensare che in Parlamento sono depositati ben 7 disegni di legge che hanno tutti la finalità di privarci dell’autodeterminazione e dell’autoidentificazione.
Potere al Popolo intende rovesciare questi inaccettabili parametri e rimettere in campo una battaglia di ampio respiro che unisca le classi popolari del paese da Nord a Sud, riponga al centro la priorità degli interessi collettivi rispetto a quelli privati, anche se questo significa entrare in collisione con i trattati che vietano gli aiuti di Stato alle imprese impedendo le nazionalizzazioni; che sanciscono la supremazia della competizione e della concorrenza rispetto alla coesione sociale; che impongono la riduzione di salari e pensioni, i tagli e le privatizzazioni dei servizi fondamentali per finanziare la voragine del debito pubblico – un debito che non abbiamo contratto noi e che quindi ci dobbiamo rifiutare di pagare. Non è possibile una politica economica e sociale di piena occupazione, eguaglianza sociale, sviluppo dei beni comuni e salvaguardia dell’ambiente se non si fanno politiche fiscali adeguate, se si accettano e rispettano i vincoli delle organizzazioni finanziarie e dell’UE (la stessa Ue che non è stata in grado di garantire l’accordo per avere zero emissioni entro il 2050).
Se questi vincoli impediscono di agire a sostegno degli interessi popolari, occorre agire per rompere i vincoli e la sovrastruttura istituzionale che li impone, non per impoverire la gente e consegnare ogni sfera sociale agli interessi privati.
Allo stesso modo bisogna rompere con ogni politica di guerra, rottura che può diventare anche lotta sociale, come hanno mostrato i portuali di Genova. Di fronte al riarmo convenzionale e nucleare che impone al nostro paese inaccettabili rischi, servitù missioni ed enormi spese militari che ci impoveriscono, è necessario rilanciare la mobilitazione per l’uscita dalla NATO e per una vera politica di pace.
Crediamo che tutta questa narrazione tossica sulla supremazia dei mercati e della ragion di Stato rispetto alla vita delle persone sia durata fin troppo e già da oggi dobbiamo pensare a come preparare la mobilitazione autunnale contro l’ennesima manovra di bilancio “lacrime e sangue” a cui ci vogliono obbligare i mercati finanziari, le istituzioni europee e il padronato italiano.
La lotta ai contratti precari, lo stop ai licenziamenti, la riduzione dell’orario di lavoro, la nazionalizzazione delle imprese strategiche e in crisi, l’adeguamento dei salari al costo reale della vita e il salario minimo contro gli stipendi da fame, sono temi intorno ai quali è possibile ricomporre quello che il capitale cerca di tenere diviso e contrapposto.
Per questo vogliamo lanciare in autunno due campagne politiche. La prima sul lavoro, la seconda sulla redistribuzione delle ricchezze.
Innanzitutto il lavoro. Perché oggi c’è chi si ammazza letteralmente di lavoro, e per non perderlo fa 45 ore a settimana, rischia infortuni, e chi si suicida perché non ha un lavoro, perché lo prende la depressione. Bisogna spezzare questa competizione fra occupati e disoccupati, fra fratelli e sorelle della stessa classe. Anche perché sempre di più l’automazione rende minore la quota di lavoro necessaria a produrre ciò che abbiamo bisogno e libera tempo. È assurdo che questo sviluppo delle forze produttive e questa liberazione di tempo debba trasformarsi in schiavitù nei campi, alla catena, o davanti al pc per cercare lavoro. Vogliamo quindi che si riduca l’orario di lavoro a parità di salario, che i profitti che oggi fanno i padroni vengano usati per assumere i disoccupati e diminuire il peso sugli occupati con attività produttive alternative a quelle che avvelenano il nostro ambiente e ci tolgono la salute.
E poi la redistribuzione della ricchezza. Anzi, delle ricchezze. Perché in Italia ci devono dare la ricchezza di cui ci hanno espropriato. Le risorse ambientali (a partire dall’acqua, l’aria, il suolo, il sottosuolo), il tempo, ma anche i soldi. Non è vero che i soldi non ci sono. In Italia ci sono 130 miliardi di evasione l’anno. Siamo il quarto paese per ricchezza privata al mondo. I ricchi sono aumentati grazie alla crisi. Però le tasse pesano sui piccoli e sui lavoratori dipendenti. È tempo che i ricchi di questo paese e le multinazionali paghino. Altro che Flat Tax proposta dalla Lega: vogliamo una patrimoniale seria, i cui proventi vadano a diminuire le tasse sui più deboli, a finanziare il lavoro e la messa in sicurezza ambientale del paese e la riconversione ecosostenibile delle attività produttive climalteranti.
Due campagne su questioni sociali. Due cose chiare, su cui confrontarsi con tutti. Così pensiamo di fare l’unità che è necessaria per vincere. Sui temi concreti, con le lotte e nelle lotte, fra la gente.
Infine occorre smantellare un’altra narrazione tossica che imperversa nel nostro paese: ossia che il lavoro e gli investimenti possono arrivare solo aumentando lo stress ambientale sui territori e sugli abitanti. È vero, ci sono infrastrutture che sono utili, soprattutto in un Sud che manca di collegamenti: ma ce ne sono tantissime che sono inutili, costose e devastanti. Il nostro nemico le mette tutte sullo stesso piano per occultare il marcio dentro il necessario. Allo stesso modo ci sono impianti industriali che danno lavoro ma avvelenano la gente e l’ambiente. Chi specula su questa contrapposizione commette un crimine in entrambe le direzioni.
Potere al Popolo respinge con fermezza ogni tentativo di contrapporre il diritto al lavoro con il diritto alla salute. Redistribuire la ricchezza significa anche redistribuire l’accesso alla ricchezze naturali e ai beni comuni. Noi poniamo una domanda pesante e legittima. Chi può decidere se una grande opera o un impianto è utile o devastante per i territori e la salute? Noi rispondiamo che sono le comunità locali e i lavoratori a dover decidere insieme, e a poter mettere in campo soluzioni alternative che devono essere prese in considerazione.
Ma coniugare lavoro, salute e ambiente ha un costo. Nessuna azienda privata, multinazionale o nazionale che sia, si accollerà mai i costi di un risanamento ambientale o di una riconversione produttiva o infrastrutturale. È dunque conseguente che, in nome degli interessi collettivi – degli abitanti, del lavoro e dell’ambiente –, le comunità e il pubblico debbano entrare in campo investendo su questi e non sulle agevolazioni al soggetto privato. È un cambio di priorità e di paradigma, difficile da far ingoiare, ma necessario per sopravvivere. Un cambiamento difficilmente immaginabile senza conflitto sociale e una partecipazione popolare capace di alleanze, ma giustizia sociale e giustizia ambientale non si possono separare.
La decisionalità dal basso e il controllo popolare sono per noi parametri decisivi, che sicuramente non compaiono nel codice degli appalti, ma sono quelli capaci di fare la differenza sull’utilità e l’impatto delle infrastrutture sui territori.

4. Il programma di azione di Potere al Popolo nei prossimi mesi

I prossimi mesi ci vedranno molto impegnati, e per questo chiediamo il supporto di tutte e tutti quelli che vogliono cambiare questo presente. Non vi diciamo: “venite”, ma “andiamo”, perché Potere al Popolo è lo strumento attraverso il quale tutti quelli che oggi non si sentono rappresentati possono rappresentarsi.

  • Inizieremo lanciando, durante l’estate, una grande campagna di adesione che faccia conoscere Potere al Popolo, le cose che ha fatto, le sue posizioni politiche. Organizzeremo meglio la presenza e l’iniziativa di Potere al Popolo in ogni territorio;
  • Dal 28 agosto al 1° settembre, a Isola Capo Rizzuto in Calabria, terremo un campeggio nazionale di aggregazione e di formazione, una piccola scuola per socializzare le buone pratiche e imparare ad essere sempre più incisivi nella comunicazione, nell’organizzazione degli eventi, in piazza etc;
  • Quindi a settembre lanceremo due campagne caratterizzanti, che facciano conoscere e distinguere Potere al Popolo: lavoro e redistribuzione delle ricchezze sono i temi su cui è possibile contrastare sia il liberismo reazionario del Governo che quello in salsa progressista del PD, andando al confronto con ampi settori sociali. Si tratta di due temi sui quali appare urgente intervenire e su cui è possibile sollevare partecipazione e conflitto. Per l’autunno, intendiamo costruire insieme ad altre forze sociali, politiche e sindacali, una manifestazione su questi temi;
  • Nel frattempo, spingeremo i tavoli di lavoro a un miglioramento del programma esistente, che sarà poi discusso da tutte le militanti e i militanti dei diversi territori e votato in piattaforma;
  • ll tavolo ambiente ha programmato alcune attività e vertenze che seguiremo prioritariamente nei prossimi mesi. Trovate tutto qui!
  • Avvieremo da subito un gruppo di lavoro elettorale che darà alle assemblee e ai gruppi territoriali tutte le informazioni e le indicazioni necessarie in caso di elezioni anticipate;
  • Infine, ci prepareremo alle scadenze delle elezioni regionali: in Emilia Romagna a novembre, così come in Liguria, Umbria, Toscana, Campania, Puglia e Calabria a maggio 2020.

Abbiamo una lunga strada da fare. Ma insieme si fa prima. Mettiamoci in marcia!

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