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In fiamme la città della scienza, a Napoli

Dentro non c’era nessuno, anche perché il lunedì è giorno di chiusura settimanale. E’ andato tutto completamente distrutto, persino i computer e i server degli uffici.

Dei molti padiglioni che componevano lo «science center» solo uno è stato risparmiato dalle fiamme. I e testimoni parlano di un incendio che si è dissufo molto rapidamente. Ora bisogna capirese questa velocità si da attribuire alle numerose strutture di legno o alla molteplicità di focolai.
E’ infatti andata in fiamme un’area vastissima, tra i 10 e i 12mila metri quadrati.
Il custode giura di aver dato l’allarme non appena vista la prima colonna di fumo.
Sul luogo sono arrivati quasi immediatamente i 160 dipendenti, preoccupati anche per la possibile perdita del posto di lavoro. A notte inoltrata sono arrivati anche il sindaco Luigi de Magistris e il suo vice Tommaso Sodano.

La Città della Scienza era stata aperta dodici anni fa, a Bagnoli, sull’area ex Italsider, realizzando un progetto di Vittorio Silvestrini. L’idea didattica fondamentale era quella di redere la scienza un’attività “praticabile”, togliendo quell’aura “inavvicinabile” che le sue sue ovvie difficoltà le hanno regalato in tanti secoli. Il museo di Napoli era il luogo dove apprendere praticamente le leggi della scienza, grazie a decine di esperimenti pratici e dimostrazioni dal vivo.
Ma funzionava anche da centro di ricerca e formazione post-universitaria, promuovendo congressi e incontri per facilitare la condivisione delle conquiste recenti, dei problemi aperti, delle ricerche in corso.

L’importanza di un museo, in particlare della scienza – lo ricordiamo anche per combattere la travolgente “ignoranza di ritorno” che si va affermando come “sufficiente a se stessa” – non sta tanto nei singoli “pezzi” che contine, ma nella capacità di “far vedere” la storia delle conquiste dell’intelletto umano. Nel far comprendere, visivamente e in questo caso specifico anche “sperimentalmente”, che la molla del progresso della civiltà non risiede nel “genio individuale”, ma nella successione, nel miglioramento continuo. Ovvero nell’adesione della mutante comunità scientifica – perché, certo, la capacità di scoprire cose nuove non è da tutti – a un’idea semplice quanto devastante per l’individualismo “capitalistico”: la conoscenza è una produzione collettiva, il frutto di un “intellettuale collettivo” (anche se spesso inconsapevole). Un uomo da solo non può andare oltre se stesso. Lo sforzo collettivo muove invece energie e conduce a risultati molto superiori alla somma delle singole intelligenze. E’ il principio della “cooperazione” che sublima persino la “concorrenza” tra singoli scienziati, indirizzandola verso un risultato condiviso e comune.
Non sappiamo al momento se l’incendio sia volontario o meno. Nel caso sia stato “doloso”, qualunque sia stato il movente (ricatto, speculazione edilizia, provocazione, ecc), chi lo avesse deciso – lo sappia o meno – ha in odio proprio questa conquista “collettiva”, intrinsecamente debordante dalla logica della privatizzazione. E’ insomma un servo del capitale, quindi un nemico del genere umano.

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