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Napoli. Presidio al Consolato tedesco, liberate i compagni di Amburgo!

In occasione del G20 del 6-8 luglio, il governo tedesco ha dispiegato un eccezionale dispositivo di ordine pubblico, teso a prevenire, con la forza militare e la minaccia della legge, ogni manifestazione di dissenso, disordine e contestazione, in una città occupata da decine di migliaia di manifestanti da tutta Europa.

La città di Amburgo, che ospitava il summit dei venti stati che dominano il mondo, è stata militarizzata per diversi giorni con nuclei speciali addestrati in tecniche di infiltrazione, carri armati e 20mila unità di fanteria (tra polizia ed esercito), molte delle quali armate di mitra. Alcuni giorni prima dell’inizio del vertice, un campeggio di manifestanti, autorizzato dalle autorità, è stato sgomberato su iniziativa dei funzionari di polizia della città, che per l’occasione hanno esercitato ampi poteri decisionali; decine di perquisizioni hanno preso di mira abitazioni, sedi associative e centri sociali in tutta la Germania; un numero non meglio precisato di attivisti è stato sottoposto a misure cautelari del tutto preventive, che punivano l’intenzione o, peggio, la presupposizione dell’eventualità di reato. Come se non bastasse, per l’occasione del G20 il governo ha dato ordine di costruire una prigione speciale ad Amburgo, costata 5 milioni di euro, e ha varato un provvedimento ad hoc che aumentava la pena per reato di “attacco alla sovranità dello stato” (il nostro “oltraggio a pubblico ufficiale”) da una semplice multa economica alla detenzione fino a diversi anni di carcere.

Un vero e proprio “stato d’emergenza” creato ad hoc dal governo conservatore federale col sostegno attivo del governo locale a guida socialdemocratica. Ennesima prova della svolta a destra delle socialdemocrazie europee storiche e della più generale tendenza alla dissoluzione dei diritti costituzionali, sociali e politici, a partire dal diritto alla circolazione, al dissenso e all’espressione delle proprie idee.

Ciò che inquieta maggiormente, tuttavia, è la volontà delle forze politiche tedesche (conservatori di Merkel e socialdemocratici) di legittimare durante il G20 una caccia all’“attivista straniero”, alla ricerca di un capro espiatorio di facile persecuzione, che ha portato alla carcerazione di decine di attivisti non tedeschi, di cui ben 32 sono ancora detenuti in attesa di processo, in alcuni casi con gravi restrizioni al diritto di comunicare con l’esterno. Alcuni di essi hanno già subito sentenze punitive di due anni e nove mesi, che risultano ampiamente sproporzionate rispetto ai reati contestati di resistenza e oltraggio alla forza pubblica, lancio di oggetti e simili.

Insomma, scenari da guerra civile, o meglio, da controllo coloniale del territorio … soltanto che in questo secolo il “nemico” è “interno”, lo straniero da sottomettere è il lavoratore medio precarizzato e senza diritti politici, l’eventuale terrorista è l’attivista che oppone resistenza e organizza la lotta contro l’autorità statale, la massa senza volto dei dominati è la classe degli sfruttati autoctoni e immigrati, tra cui si fomenta una “guerra tra poveri” sempre funzionale alla riproduzione degli schemi conservatori del dominio.

Il modello dello Stato-nazione entra in crisi di fronte all’impossibilità di controllare su scala nazionale il capitale finanziario completamente internazionalizzato e liberalizzato, quindi di fronte ai processi sovranazionali di costituzione politica, economica e militare di un blocco europeo di tipo imperialista, i cui centri decisionali, a carattere completamente discrezionale, quindi non democratico (la Commissione, la BCE, la Corte di Giustizia), favoriscono la distruzione delle democrazie novecentesche attraverso l’imposizione, dietro minaccia finanziaria e con la giustificazione del “debito”, di politiche economiche antisociali e di riforme politico-istituzionali funzionali alla centralizzazione del potere esecutivo e alla riorganizzazione degli apparati statali secondo un modello securitario e repressivo che colpisce e stigmatizza il dissenso sociale.

La crisi dello Stato-nazione implica la trasformazione dello Stato: esso diviene, negli ultimi due decenni, istituto di liquidità (con funzioni di pagamento dei debiti privati e sostegno finanziario) del capitale finanziario (bancario-industriale), la cui mobilità nei flussi economici transnazionali impedisce la regolazione economica e rende obsoleto l’intervento della politica nell’economia.  La sussunzione della forma-stato al capitale finanziario transnazionale avviene tramite un paradigma neoliberale dominante in tutti i paesi capitalistici avanzati dell’Unione Europea, e che prevede, tra le altre cose, l’amministrativizzazione del governo del territorio e della popolazione, ovvero il controllo disciplinare, preventivo e amministrativo dei fenomeni sociali di resistenza e opposizione, l’ampliamento dei poteri discrezionali e decisionali degli apparati di polizia in materia di ordine pubblico, la rinuncia alla politica come “luogo” del consenso e della mediazione dei conflitti tra parti sociali. Infine, la ristrutturazione dello Stato moderno, si avvale di un sistema neocorporativo caratterizzato dall’istituzionalizzazione dei conflitti sociali in ambito lavorativo, in virtù della mediazione conciliativa degli interessi opposti delle parti sociali (lavoratori e padronato) attraverso i sindacati confederali, spesso proprio a scapito della parte più debole in termini di potere negoziale (i lavoratori), che fa della triade Cgil-Uil-Cisl delle istituzioni di disciplinamento della forza-lavoro.

Le condizioni preliminari di questa trasformazione epocale della forma-stato sono, forse, non solo economiche, quindi relative al carattere transnazionale dei flussi di capitale, dei moderni monopoli e dei centri decisionali sovranazionali della finanza; ma anche politiche: riguardano il venir meno della necessità del consenso. Se lo Stato moderno può fare a meno del consenso della popolazione, o comunque, di una gran parte di essa, allora il modello classico del Welfare State diventa obsoleto, politicamente inutile ai fini del controllo della popolazione e del territorio nazionale.

Da un decennio a questa parte ormai siamo in guerra. È una guerra economica quella che combattono tra loro le potenze capitalistiche della terra, attraverso la competizione commerciale e monetaria; ed è una guerra politica, che talvolta raggiunge tetti di tensione altissimi, livelli di scontro militare interimperialista, talvolta mascherati come conflitti per interposta persona in territori dichiarati “neutrali”, tal’altra invece espliciti, come nel caso del Donbass e della Siria.

La torta da spartire si sta riducendo. E ciò, in un contesto di crisi mondiale dell’economia capitalistica, o meglio, di crisi della crescita reale della ricchezza su scala mondiale e di inasprimento della concorrenza tra vecchi imperialismi occidentali e nuovi imperialismi a oriente, si traduce nell’esigenza politica e militare del mantenimento dell’ordine pubblico e del controllo del territorio interno degli Stati capitalistici avanzati.

Insomma, la conduzione della guerra economica, e, in prospettiva, il rischio di conflitti geopolitici e militari tra le potenze capital-imperialiste della terra, impone il mantenimento serrato della pace sociale, il controllo dell’emergenza permanente – emergenza del debito pubblico, emergenza del terrorismo, emergenza dei flussi migratori inarrestabili – attraverso cui i governi europeisti giustificano la normalizzazione di misure eccezionali tese a minare profondamente i diritti sociali, gli spazi di democrazia diretta e sindacale, e le norme garantiste del sistema giudiziario.

Ma la pace sociale – nel contesto della centralizzazione del potere esecutivo dello Stato (funzionale alla ristrutturazione sociale e politica e necessaria alla costituzione di un polo imperialista europeo), quindi di crisi del consenso e della rappresentatività, di depoliticizzazione delle tecnologie di governo economico della popolazione, di crisi strutturale della produttività con ripercussioni brutali per la forza-lavoro, di violente trasformazioni del tessuto sociale – può e deve essere imposta solamente manu militari.

La crisi dello Stato-nazione e la trasformazione post-democratica e neoamministrativa della forma-stato, si rivela con particolare violenza in queste settimane in Catalogna. Qui, lo stato di “guerra civile” non lascia equivoci, e la Spagna diventa la Turchia occidentale.

Il governo di Madrid, non potendo difendere l’unità dello Stato-nazione con la concessione di diritti e libertà in maniera chiara e democratica, è costretto a imporre con la forza la sua sovranità, attraverso l’occupazione militare e il commissariamento della polizia autonoma catalana. Manco a dirlo, il portavoce della Commissione Europea, Margaritis Schinas, ha recentemente affermato che l’azione del governo spagnolo rientra nell’ambito della legalità, giustificando di fatto le misure adottate.

Un esecutore più discreto, ma non meno deciso e autoritario, della guerra dall’alto mossa dalle forze politiche ed economiche del grande capitale europeo attraverso il paradigma securitario e repressivo e le retoriche antimmigrazione è senza ombra di dubbio Marco Minniti. Come si evince dall’importante analisi politica condotta dalla rete Noi Restiamo (Noi Restiamo, Breve guida al “Pacchetto Minniti”), i decreti Minniti e Minniti-Orlando investono ambiti assai più ampi rispetto alle poche norme di cui sono costituiti, e creano un “diritto amministrativo punitivo” che estende la possibilità di punizione (e repressione) al campo dei comportamenti non perseguibili penalmente, o anche semplicemente “indecorosi” (Decreto Minniti 14/2017).

«Da una parte infatti si allontanano gli emarginati dal centro delle città, si reprimono i militanti e gli attivisti politici e sociali, creando il contorno legislativo per un clima di repressione che possa arrivare a coprire qualsiasi tipo di istanza sociale. Dall’altra vengono gestite “in via emergenziale” le massicce ondate migratorie degli ultimi anni, indebolendo la posizione giuridica di chi ha, o deve ottenere, un permesso di soggiorno e regolamentando le procedure in termini di “efficienza” e “sicurezza nazionale”, puntando allo stesso tempo sullo sveltimento delle pratiche di espulsione dei migranti irregolari» (Ivi, p. 3).

Le misure che sono conseguite a questa nuova fase di recrudescenza securitaria si sono tradotte in massicci controlli e rastrellamenti di migranti presso la stazione di Milano e nelle strade della capitale (che hanno portato alla morte di un ambulante), e nello sgombero dello scorso agosto di uno stabile in Piazza Indipendenza a Roma, dove risiedevano profughi e rifugiati, tra cui decine di donne, anziani e bambini ora senza dimora.

A ciò si devono aggiungere i recenti attacchi al diritto di sciopero, come avvenuto dopo lo sciopero dei trasporti a Roma indetto per lo scorso 16 giugno; i quali attacchi rischiano di concretizzarsi nell’ennesima misura repressiva con la proposta di legge depositata in parlamento dopo il 16 giugno, che prevede la limitazione del diritto di sciopero rendendone più difficile l’indizione per le organizzazioni sindacali non confederali, o meglio, quelle conflittuali e di classe, favorendo l’accentramento del controllo sindacale sulla “negoziazione” delle condizioni lavorative nel monopolio corporativo di Cgil-Uil-Cisl.

Infine assume un importante significato simbolico, il potente dispositivo di prevenzione e militarizzazione messo in campo il 25 marzo, quando sono state sequestrate 160 persone che si dirigevano per la manifestazione nazionale di Eurostop a Roma, in occasione dei sessant’anni della firma dei contratti di Roma, e ancora il 26 e 27 maggio per il G7 di Taormina, in Sicilia, in occasione del quale, non solo sono stati consegnati decine di fogli di via ad attivisti di diverse città, ma si è assistito, ancora, a decine di fermi ingiustificati durati diverse ore con l’intento esplicito di impedire a manifestanti e attivisti della penisola di giungere sul luogo del vertice.

Di tutto questo meccanismo malsano, la Germania del G20 di Amburgo costituisce l’ennesimo esempio, forse il più mirabile. La dimostrazione di forza dello scorso luglio ne è una manifestazione evidente, ancora più significativa nel momento in cui il paradigma neoliberale di governo economico e politico imposto dai partiti tedeschi europeisti (conservatori e socialdemocratici) si rivela sempre più in crisi anche in Germania, sempre meno capace di rispondere alle reali esigenze della popolazione, sia di fronte alla crescita delle mobilitazioni anticapitaliste e dei movimenti di resistenza dal basso, sia di fronte alla crescita del pericolo populista e nazionalista rappresentato dallo AFD, che ad oggi, dopo le recenti elezioni politiche, si è affermato come il principale partito di opposizione alle politiche neoliberali.

Questa Germania, oggi in crisi, è stata la principale responsabile delle politiche di austerità, antisociali e antidemocratiche, imposte ai paesi dell’U.E., specie agli anelli più deboli della catena imperial-europeista, dalla Grecia all’Italia.

Questa Germania, con i fatti del G20 di Amburgo, si è dimostrata il modello esemplare del paradigma securitario e post-democratico oggi dominante, in cui prevenzione, ordine pubblico e repressione poliziesca lasciano presagire l’affermazione di un rinnovato autoritarismo, indifferente al consenso, ai bisogni e al benessere reale della popolazione e dei territori.

Questa Germania, centro politico dell’ordoliberismo europeo, paese di punta della catena imperialista europea, è oggi il “cuore nero” dell’Unione Europea, per le politiche antisociali promosse dall’asse governativo tra conservatori e socialdemocratici, e per l’opposizione nazional-populista in via di affermazione (https://contropiano.org/interventi/2017/09/27/germania-2017-cuore-nero-dellunione-europea-095982).

Questa Germania, oggi, detiene nelle carceri di Stato 32 attivisti internazionali in attesa di processo dallo scorso 8 luglio. Tra di essi, 4 compagni italiani (proprio oggi, 28 settembre, è stato scarcerato il quinto attivista italiano detenuti dall’8 luglio).

Dall’“Osservatorio contro la repressione” apprendiamo che particolarmente grave è la situazione di Fabio Vettorel:

«studente diciannovenne, e pertanto considerato «minorenne» dal diritto tedesco, di Feltre (Belluno) totalmente incensurato, per il quale non è stato ancora deciso né il rinvio a giudizio né il giorno del dibattimento. Un fatto dai due possibili significati – come argomenta la madre Jamila Baroni, ad Amburgo per seguirne da vicino la situazione: «O intendono accanirsi, visto che la detenzione preventiva potrebbe durare fino a sei mesi, o potrebbero decidere il suo completo proscioglimento, ma non sanno più come venirne fuori». Come ricostruito infatti anche da un reportage di Panorama ARD (primo canale della tv pubblica tedesca) le prove raccolte a suo carico sono inconsistenti e contraddette dagli stessi video della polizia. Al tempo stesso proprio nei confronti di Fabio sono state applicate dal 6 agosto scorso misure duramente restrittive della possibilità di comunicare con l’esterno e appare inquietante il «profilo psicologico» negativo evidenziato dai giudici che emettono il “giudizio” senza averlo mai incontrato e senza nessun consulto di esperti e psicologi» (http://www.osservatoriorepressione.info/carcere-ad-amburgo-cresce-la-protesta-cinque-attivisti/).

Il governo italiano, come prevedibile, tace vergognosamente di fronte a questi fatti, complice silenzioso della repressione scatenata ad Amburgo, e ancora una volta si dimostra subordinato all’egemonia tedesca sui paesi del sud dell’Europa!

È necessario, quindi, oggi più che mai, dare continuità alla lotta contro il paradigma securitario, neoamministrativo e post-democratico di Merkel, Rajoy e Minniti, e perseguire l’unità di tutti i movimenti di resistenza, su scala nazionale e internazionale, intorno alla lotta contro questa Unione Europea e le sue politiche antisociali, imperialiste e antidemocratiche.

È necessario mobilitarsi con costanza per la scarcerazione di tutti gli attivisti sociali, sindacali e politici! Difendere il diritto allo sciopero, al dissenso, al conflitto sociale, all’organizzazione delle lotte! Difenderlo con la lotta e l’unità di intenti politici e di obiettivi minimi!

Con questo proposito, come gruppo cittadino della piattaforma sociale Eurostop, intendiamo renderci parte attiva nella costruzione del presidio del 2 ottobre, che si terrà a Napoli, alle porte del Consolato tedesco, per denunciare gli abusi subiti dagli attivisti italiani ancora detenuti, e ci ostineremo a dare continuità alla nostra iniziativa politica per la loro scarcerazione.

Con questo proposito, ancora, aderiamo alla campagna lanciata lo scorso 23 settembre a Bologna per l’amnistia sociale generalizzata, le dimissioni di Minniti e il ritiro della legge Minniti-Orlando.

Il 2 Ottobre è un primo momento per chiedere pubblicamente la scarcerazione dei compagni detenuti; ma anche per denunciare la vergogna indicibile del governo italiano di fronte all’abuso subito dai cinque attivisti italiani ad Amburgo, e di fronte agli abusi subiti quotidianamente da attivisti, sindacalisti e lavoratori italiani sul suolo patrio.

Mobilitiamoci per le dimissioni del ministro Minniti e il ritiro immediato della Minniti-Orlando!

Combattiamo per l’ottenimento di un’amnistia sociale per tutti gli attivisti, i militanti politici, i lavoratori e i sindacalisti, che in questi anni hanno avuto il coraggio di alzare la testa scontrandosi contro il muro di ignavia politica e di repressione poliziesca opposto dai governi europeisti e dal PD in prima istanza!

Alessandro, Emiliano, Riccardo e Fabio LIBERI SUBITO!

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