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Debutta a Napoli “Città ‘n Blues”, di Marcella Vitiello

Lunedì 3 Febbraio, alle ore 18:30, all’interno del circuito de Il Teatro cerca casa – formula voluta e adottata da Manlio Santanelli e Livia Coletta – proprio presso casa Santanelli (Manlio Santanelli, drammaturgo napoletano tra i più importanti della generazione post eduardiana e tra gli autori teatrali italiani più tradotti in assoluto ndr) debutta “Città ‘n Blues”, spettacolo ideato, scritto, diretto e interpretato da Marcella Vitiello.

Dopo che un primo embrione ebbe visto la luce circa un anno fa, secondo i canoni della mise en espace, concepita espressamente per l’inaugurazione della Casa del Popolo Civico 7 Liberato di Napoli, “Città ‘n Blues” si è imposto, successivamente, all’intelligenza creatrice e al corpo di attrice di Marcella Vitiello, crescendo fino a diventare drammaturgia per un immaginario spazio cittadino.

Una sinfonia per voce/corpo solista, dentro una scrittura scenica in cui divampano epifanie visionarie in forma di allegorie, metafore, metonimie. Paesaggi marginali, donne e uomini provenienti da un altrove poetico, parole di rivolta.

Traendo ispirazione da un collage di testi di Stefano Benni, su un tappeto musicale intessuto con le musiche di Thelonious Monk a Charles Mingus, attraversato dalle voci blues di Billie Holiday ed Ella Fitzgerald, la regia di Marcella Vitiello dipinge, con pennellate dal tratto fortemente espressionista, quadri teatrali che, come su una tela di Otto Dix o di Egon Schiele, o sulla scena di un Piscator o di un Reinhardt o ancor più di un Mejerchol’d, rendono meteriche – anche grazie alla bella e simbolicamente minimalista scenografia di Marina Fayad visioni oniriche e irreali, personaggi surreali, intime e pantoclastiche urla contro il dominio del Capitale.

Contro la dittatura neoliberista del Pil e il razzismo segregazionista e fallocrate del bianco Occidente. Contro l’ipocrisia borghese di un dio stanco e irridente le miserie del nuovo proletariato urbano.

Una scrittura scenica coerente e stringente ma, allo stesso tempo, a/sintattica, nel suo joyciano procedere per associazioni di idee significanti.

Quadri d’autrice, dove prendono vita figure nate da un soma/glossa che si sposta su più registri. Dal fumetto all’onirismo poetico. Dal realismo tragico alla danza. Dal mimo al clownesco.

Dice l’attrice/autrice nella sua sinossi:

«In una città strana, piena di bassifondi e grattacieli, cinque storie vengono raccontate e interpretate: il bassista con una sola mano, la lady che canta il blues, il pianista nero, il poeta del jazz e, infine, la nota dissonante, l’uomo che cerca lavoro. Quale filo invisibile lega le cinque storie? In una città sporca del sangue di rivolta, riecheggiante di musica nera e dei canti blues dei reietti, il legame profondo è però il silenzio. Lattimo di silenzio tra una nota e laltra. Il silenzio che parla. Il silenzio che portano dentro tutti coloro che si ribellano. Tra le note di Thelonious Monk e Charles Mingus, che accompagnano le frasi poetiche di Stefano Benni, prendono vita storie di rivolta e di arte, di razzismo e repressione, di uomini e donne in lotta con lesistenza e la società. Una lotta intima, cruenta e spesso disperata, passionale, fantasiosa e poetica, talvolta silenziosa ma determinata. E d’altra parte: «Hanno musiche di silenzio gli sguardi damore e la notte prima della battaglia».

Nato dall’idea di fondere e far reagire -come in una sorta di esperimento chimico/lisergico- musica e poesia, teatro e letteratura, narrazione e realtà, allucinazione onirica e vita disperatamente vissuta, arte e rivoluzione, Città ‘n Blues vuol essere una partitura jazz dove la drammaturgia intesse un tappeto di parole e di suoni, che vanno a comporsi in una sorta di jam session scenica, per corpo/voce unico di attrice.

Traendo ispirazione dalla concezione del teatro di un grande maestro del 900, quale fu Leo De Berardinis -cui la messinscena vuol tributare un umile omaggio- costruito sulle architetture armoniche di Thelonious Monk e Charles Mingus, attraversato dalle voci blues di Billie Holiday ed Ella Fitzgerald, occupato dalla quotidiana fatica di chi ha perso lavoro e dignità -coefficienti e registri diversissimi, ai quali il compito di conferire unità viene affidato alla s/prosa poetica e caleidoscopica, fumettistica ma lorda di crudo realismo di Stefano Benni- lo spettacolo racconta la lacerante poesia dell’esistenza ai margini.

Un’esistenza che trova il suo urlo liberatorio nella musica, nella poesia e, dunque, nella finzione autentica di un linguaggio teatrale che sa farsi denuncia sociale e politica. Dove l’alto e il basso, l’aura e lo choc, la forma e l’emozione, si guardano, si inseguono, si incontrano, si scontrano, si lasciano e si ritrovano, per abbracciarsi in una scrittura scenica materica e lieve, fisica e impalpabile.

Come la musica, la danza, l’atto recitativo stesso. Quando sa farsi presenza e assenza ad un tempo.

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