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Stadio della Roma, USB: quando è schiava degli appetiti privatistici la politica genera mostri

Degli arresti attorno all’affare dello stadio della Roma colpisce soprattutto la composizione, un misto di imprenditori e politici di tutte le componenti che mette bene in evidenza in cosa consista la cosiddetta governance dell’attività economica. Quando politica ed imprenditoria si sposano per concordare opere faraoniche, con un ritorno economico quasi esclusivamente per le parti private, il fattore corruzione svolge una funzione decisiva. È il ruolo al quale è stata relegata la politica oggi, mero servizio per gli affari degli investitori privati, che vogliono operare con il massimo vantaggio e correndo il minor rischio d’impresa possibile.

I tagli agli enti locali in questi anni hanno favorito questa dinamica. I capitali disponibili sono in mano ai grandi investitori privati e questo mette le amministrazioni in una condizione di sudditanza. Non c’è alcun respiro strategico nelle scelte della politica, ma si agisce in funzione degli appetiti privatistici. Anche il continuo ricorso agli appalti nella stessa gestione dei servizi pubblici ha favorito in questi anni una commistione pubblico-privato nella quale a perdere è sempre la parte pubblica. Che in questa vicenda sia coinvolto il presidente di una delle maggiori aziende partecipate di Roma Capitale, è indicativo della prevalenza che gli affari privati hanno assunto nella vita della città.

Non è diversa la vicenda dello stadio, un’opera di cui la città non sente affatto il bisogno e che è di gran lunga meno importante di tante altre cose assai più urgenti, come il recupero delle periferie o il rilancio dell’edilizia popolare attraverso il riuso di tanto patrimonio abbandonato e/o sottratto alla mafia.

Una politica schiava degli interessi privati genera mostri e tante opere inutili e dannose al territorio. Qualcuno ha sperato che le cose stessero cambiando perché erano comparsi volti nuovi. Il metodo però è rimasto lo stesso e i nodi ora arrivano al pettine.

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