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Roma. Inventa il “mostro” in prima pagina

Festa illegale: Scavalca il cancello per entrare al rave. Morto il ragazzo ferito alla Sapienza” – il Tempo.

Ragazzo morto al rave abusivo alla Sapienza, Salvini: inaccettabile” – il Giornale.

Muore a 26 anni per entrare al rave abusivo alla Sapienza” – la Stampa.

Rave abusivo alla Sapienza, morto il giovane che ha scavalcato i cancelli” – il Messaggero.

Questi sono alcuni dei titoli che il 23 giugno hanno occupato le pagine dei quotidiani nazionali all’indomani dell’incidente, occorso alla Sapienza la notte tra il 21 e il 22, che ha provocato la prematura scomparsa di Francesco Ginese.

Come ormai molti di voi sapranno, lo studente foggiano si è procurato la ferita, poi rivelatasi fatale, nel tentativo di scavalcare le mura della città universitaria, forse per evitare la lunga fila e la libera sottoscrizione prevista all’entrata della seconda della due giorni di musica, dibattiti, giochi e sport.

Musica, dibattiti, giochi e sport, organizzati da studenti, per studenti.

Perché, checché ne dicano giornalisti o male informati (magari anche in buona fede) che in questi giorni sembrano aver scoperto un mostro che si aggira per le università italiane, questo era il programma della Notte bianca alla Sapienza.

Zero permessi e niente scontrini: ecco il business dei party universitari abusivi”.

Sapienza, un centro sociale occupato nell’ateneo: la cabina di regia dei rave illegali”.

Eccoli di nuovo, nei giorni successivi al fattaccio, i titoli de il Messaggero, firmati dall’irreprensibile Marco Pasqua, vero alfiere della legalità più reazionaria e della menzogna più meschina nei confronti di qualsivoglia momento di alterità politico-sociale presente nella capitale.

E così, nella narrazione generale si racconta di un rave che tira dritto fino al mattino nonostante l’incidente, di cocktail a basso costo per aumentare lo sballo, di «Repubblica indipendente» per la messa in piedi di un business abusivo su cui fare una montagna di soldi, con buona pace di quei poveri studenti – quelli “veri” – che in ateneo ci vanno per studiare davvero… come se organizzare un momento collettivo in un venerdì sera abbia mai impedito a qualcuno di affrontare regolarmente la sessione d’esame.

Eppure, l’invenzione del mostro da sbattere in prima pagina non è, in questo caso, una “trovata giornalistica” rispetto a un caso isolato di cronaca, perché per l’occasione l’obiettivo di turno è l’espressione di un pezzo di questa società che da anni sta subendo un attacco pesantissimo, frontale, da parte di tutti i governi e le amministrazioni che si sono succeduti nel paese come nella città: stiamo parlando del movimento universitario.

La messa in croce dei compagni che hanno organizzato la due giorni alla Sapienza risponde infatti a una precisa logica che ha visto nell’accoppiata Minniti-Salvini l’occasione di un’accelerazione importante, e che col cosiddetto Salvini bis mira a mettere una seria ipoteca sulle possibilità di espressione di un pensiero, di una visione di mondo, altra rispetto a quella della società odierna (o quantomeno, imporranno un profondo ripensamento delle pratiche possibili).

Per questi motivi, parallelamente a quelle necessità che dovranno affrontare i ragazzi e le ragazze della Notte bianca per rispondere dei fatti del 21 sera, le possibili implicazioni del prossimo periodo riguardano tutte le realtà politiche (della Sapienza in primis) che operano all’interno degli atenei.

Sul piano dell’agibilità politica, la possibilità di una stretta repressiva, ci sembra, necessiti di una riflessione comune a un problema altrettanto diffuso, specialmente in un passaggio storico in cui l’università sconta, bisogna ammetterlo, una seria difficoltà alla mobilitazione. Su quello istituzionale invece, la ricorrenza di questi giorni dei venti anni del Bologna process è la tappa contingente con cui l’Unione europea tenta di coprire i disastri provocati dal processo di integrazione, nel caso specifico, nell’ambito della formazione.

Senza ombra di dubbio, quanto accaduto venerdì è un enorme tragedia causata da una fatalità. Su questo, le forze della repressione potrebbero far leva (in barba al silenzio rispettoso del dolore dei familiari che invece richiederebbe tale occasione) per compiere un altro passo verso quell’ipotesi di mondo che non prevede nessuna alternativa al capitalismo più liberista, predatorio e repressivo.

A noi, che in questo passaggio storico ci troviamo a operare, il dovere di difenderci e l’onere di organizzare la controffensiva.

 

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