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Catania. Assemblea verso l’8 marzo : “Sarà ancora sciopero generale”

Per lanciare lo sciopero generale dell’8 marzo, proclamato dal movimento NonUnaDiMeno e indetto dal sindacalismo di base, si è svolta ai “Benedettini” un’assemblea pubblica, che ha registrato gli interventi di rappresentanti di associazioni e movimenti femministi e dell’ l’Unione Sindacale di Base.

Ad aprire l’assemblea Stefania Arcara, femminista, ricercatrice universitaria di Unict, a cui hanno fatto seguito Marica Longo, operatrice e psicologa femminista del “Centro AntiviolenzaThamaia”, di Anna Agosta, Presidente dello stesso Centro, di Giulia Strano, della Collettiva femminista “CanaglieCatanesi” e di  Claudia Urzì, sindacalista dell’USB .

Alle relatrici hanno fatto seguito gli interventi dal pubblico:

Ludovica Intelisano, studentessa universitaria, Rita Palidda, Collettivo RivoltaPagina, Anna Di Salvo, Città felice – La Ragnatela, una dipendente dell’amministrazione Unict e una studentessa del liceo Cutelli. La Di Salvo, storica rappresentante del femminismo catanese, ha annunciato la partecipazione della “Ragna-Tela”- associazione che non aderisce a NUDM – con un proprio striscione al corteo che si svolgerà l’8 marzo a Catania, con concentramento alle ore 17 in piazza Roma.

Dall’intervento di Stefania Arcata (NUDM): “Dopo avere ricordato Stefania Noce, studente di Unict vittima di femminicidio, propongo di fare un bilancio politico, arrivate al terzo anno dello sciopero globale delle donne.BRiflettere sulle nostreorigini politiche e su quali contenuti politici hanno caratterizzato finora le nostre azioni come NUDM nazionale, e come NUDM CT. L’idea dello sfruttamento materiale delle donne da parte degli uomini, oggi collegata alla violenza di genere, che è stata lanciata dalle argentine nel 2016 con lo slogan “Se le nostre vite non valgono, smettiamo di produrre”, proviene dal femminismo degli anni ’70, dalla campagna transnazionale “Salario contro il lavoro domestico”.

È ancora grazie alle lotte femministe della seconda ondata che la violenza maschile sulle donne è stata posta per la prima volta come problema politico, e sarà da lì che nasceranno i Centri antiviolenza.

Ricordo che NUDM è nata nel 2016 a livello nazionale per iniziativa di UDI, IoDecido e la rete Di.Re. (i centri antiviolenza italiani): a Catania il ruolo determinante è stato quello di Thamaia, insieme ai collettivi femministi.

La forza di NUDM è stata quella di concentrarsi sulla propria lotta, cioè la violenza maschile sulle donne, sia fisica che economica (forme di violenza come il recente disegno di legge Pillon, gli attacchi alla 194, tutti attacchi che costringono le donne a fare sempre battaglie difensive). Contro l’appropriazione maschile del tempo, del lavoro e del corpo delle donne… (un esempio è la tratta che coinvolge le nostre sorelle migranti, costrette a prostituirsi a clienti loro connazionali e italiani)…

Oggi NUDM tende a trasformarsi in un movimento declinato in senso antigovernativo, a fronte di un indebolimento delle organizzazioni e dei movimenti della sinistra.

Da femminista, però, io so che i problemi delle donne non iniziano oggi, con Salvini, Trump e Bolsonaro… La lotta femminista purtroppo è ancora necessaria: le donne continuano a essere ammazzate, in Italia, in media, una ogni tre giorni – femminicidi sempre relegati alla “cronaca”. La violenza maschile sulle donne non ha quella dignità politica che viene riconosciuta –giustamente – alle morti dei migranti in mare o alle morti sul lavoro in fabbrica. Le donne continuano a essere stuprate da uomini eterosessuali, continuano a doversi guardare le spalle se camminano da sole di notte per strada…

Ci vediamo in piazza l’8 marzo a Catania, al corteo delle donne!”.

L’ intervento di Claudia Urzì ha preso spunto da “Donne sull’orlo di una crisi di numeri”, uno studio, che ha dato vita ad un agile quaderno, sulla disuguaglianza di genere nel mondo del lavoro, realizzato in queste settimane dall’USB.

“In questo quaderno – ha spiegato la professoressa sindacalista – abbiamo voluto soffermarci su alcuni dati che fotografano la disuguaglianza di genere nel mondo del lavoro e la ricaduta materiale che questa ha sulla vita di donne. Una disuguaglianza che ha la punta dell’iceberg nel gap salariale: nel lavoro dipendente le donne sono pagate il 23% in meno rispetto agli uomini, percentuale che sale al 29% per il lavoro autonomo e al 38,5% tra le lavoratrici più istruite. Alle condizioni attuali, il gap salariale sarà colmato nel 2236! Tutto questo accade in un mercato del lavoro in cui l’occupazione femminile è al 49,5%, contro il 68,5% di quella maschile, nonostante siano più istruite degli uomini (63% le diplomate, 58,8% i diplomati).

La disoccupazione femminile è al 10,4%, contro l’8,4%, numero che potrebbe sembrare relativamente basso, se non fosse che le donne, soprattutto le giovani (15-24 anni), scivolano rapidamente dalla disoccupazione all’inattività. Questa a fine 2018 raggiungeva il 44,8% (25% per gli uomini). Le donne “vantano” anche un altro primato: in un anno totalizzano 50,6 miliardi di ore di lavoro non retribuito, quello cioè che contribuisce alla produzione familiare (il lavoro retribuito dell’intera popolazione italiana totalizza 41,7 miliardi di ore l’anno). Ogni casalinga lavora gratis 2539 ore l’anno, contro le 1507 ore delle occupate e le 826 degli uomini (occupati e no).

É solo un veloce estratto dello studio. Sono numeri impietosi e devastanti, che testimoniano quanto sia ancora lunga la lotta per l’uguaglianza. Una battaglia che va trasferita dalla sfera morale-umanitaria a quella politica, abbandonando la stantìa rappresentazione vittimistica: le donne non sono soggetti fisiologicamente deboli, bisognose di protezione, ma persone discriminate e sfruttate. Tanto più oggi, quando si vorrebbe fare delle donne lo strumento per l’abbassamento dei diritti e delle tutele, utili a una riformulazione del welfare già abbondantemente massacrato in una chiave familistica, che prevede il ritorno delle donne tra le mura domestiche.

L’impronta pesantemente familistica che attraversa tutta la misura del reddito di cittadinanza nega ancora alle donne quel diritto all’autodeterminazione che deriva dalla disponibilità di risorse economiche individuali legandole così, con doppio laccio a quel partner che spesso coincide con il soggetto maltrattante. Quota 100, dal canto suo, ci restituisce quell’asimmetria di opportunità che il mercato del lavoro riserva alle donne e agli uomini”.

“Anche quest’anno – conclude la Urzì – l’USB ha risposto all’appello lanciato dal Movimento NUDM proclamando lo sciopero generale, di tutte le categorie pubbliche e private, per l’intera giornata dell’8 marzo”.

(Lo studio dell’USB “Donne sull’orlo di una crisi di numeri” è scaricabile all’indirizzo: https://confederazione.usb.it/)

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