Dopo qualche traccheggiamento iniziale, ha ingranato le marce alte il piano di svendita del patrimonio pubblico di Napoli. Tale piano è siglato da un vero e proprio contratto siglato fra l’amministrazione comunale del sindaco Manfredi, marcata PD – 5 Stelle, e l’allora Governo Draghi, sintetizzato al link SLIDE_Patto_per_Napoli_blu_ppb_1.pdf.
Tale “patto per Napoli”, come è stato definito, è stato paragonato agli accordi firmati dal Governo greco con la Commissione Europea nel 2015, in quanto prevede il salvataggio dal default finanziario in cambio di alcune misure da mettere in atto, con annessi controlli degli ispettori.
In questo caso, si tratta del graduale versamento di 1 miliardo e 231 milioni di a fondo perduto fino al 2042 da parte dello stato centrale nelle casse del comune di Napoli, in cambio di un ampio piano di messa a profitto e dismissione del patrimonio comunale, con annessi obiettivi intermedi da raggiungere sotto il controllo degli ispettori ministeriali.
Dal un punto di vista strettamente politico, in sede di campagna elettorale del 2021, lo scialbo e semi sconosciuto ai più candidato di PD e 5 Stelle Manfredi ha potuto presentarsi in campagna elettorale come l’unico in grado di poter negoziare il salvataggio dal fallimento delle casse comunali, avendo subordinato l’accettazione della propria candidatura alla promessa, da parte del Governo, della stipula del “patto per Napoli”. Ciò è stato indubbiamente determinante per la sua vittoria
Dunque, i primi passa finanziari di attuazione di tale accordo sono stati effettuati a novembre scorso, con l’alienazione di una quota del 30% di alcuni beni pubblici appartenenti al comune, valutati 50 milioni di euro, ad INVIMIT, una società per azioni posseduta al 100% dal Ministero dell’Economia e Finanza (MEF); ciò è avvenuto attraverso la costituzione di un fondo immobiliare ripartito, appunto, 70% Comune di Napoli, 30% INVIMIT. INVIMIT è sì, come detto, un’azienda di proprietà pubblica, ma è specializzata proprio in privatizzazione e concessione a lungo termine di asset del patrimonio.
Uno dei primi passi pratici, invece, si è avuto sabato 24 febbraio, quando, in vista della privatizzazione o della concessione a lungo termine dei locali della Galleria Principe, sono cominciati i lavori sotto i porticati: sono stati sgomberati i senza tetto che vi trovavano rifugio ed è stata perimetrata un’area destinata ad essere cantierata.
Sono significative le modalità con cui ciò è avvenuto: il comune ha emesso ordinanze urgenti il giorno, ed il giorno successivo ha agito, senza avvertire per tempo nemmeno chi ha in regolare concessione degli spazi nell’area interessata al cantiere.
All’interno di tale area vi è anche il civico 7 liberato, che da anni ravviva la Galleria svolgendovi una funzione politica e sociale attraverso dibattiti, iniziative mobilitazioni, spesso in mezzo all’abbandono, alla sporcizia e ai crolli.
Nel corso degli anni, il civico 7 ha sempre chiamato il Comune di Napoli ad assumersi le sue responsabilità rispetto alla situazione igienica e strutturale della Galleria, proponendo anche, nell’ambito di coordinamenti di più larghi, la soluzione a problemi atavici dell’area, ad esempio, attraverso l’istallazione di cassonetti rimovibili per i rifiuti, di bagni pubblici, di una lavanderia pubblica tesa ad effettuare, ove possibile, il lavaggio dei panni dei senzatetto, nonché la distribuzione programmata di pasti e coperte pulite.
E’ stato indicato anche un locale vuoto ed in disuso che poteva essere attrezzato a tali funzioni umanitarie ed assistenziali ma, ovviamente, le istituzioni non ne hanno voluto sapere lasciando cadere le costruttive proposte avanzate dall’allora Coordinamento Solidale.
Ora, nel momento in cui gli appetiti privati sulla Galleria Principe si fanno più tangibili e concreti con l’avanzare del “patto per Napoli”, si è giunti a questo blitz notturno che deve inquietare tutta quella parte di città interessata a tenere vivo il dibattito rispetto alla riconfigurazione urbana che si sta verificando in maniera selvaggia e incontrollata da anni.
Come si sa, infatti, Napoli è stata oggetto di un processo di turistificazione del centro storico, il quale, da un lato lo sta rendendo invivibile per gli abitanti per via dell’inflazione insostenibile, dall’altro non sta portando nessun beneficio in termini di miglioramento dei servizi di igiene urbana e dei trasporti.
Inoltre, tali processi stanno anche contribuendo ad erodere gli spazi un tempo tranquillamente usati per dibattiti, iniziative di lotta, partecipazione politica: oramai è difficile trovare una sala senza dover pagare o uno spazio pubblico senza andare incontro a prescrizioni e atti di repressione. La Galleria Principe, anche grazie all’esistenza del civico 7 e di altre realtà, resta uno dei pochi luoghi rimasti utilizzato in maniera partecipata e non va assolutamente perso.
Ovviamente, non è in discussione la necessità di effettuare tutti i lavori necessari per la messa in sicurezza strutturale dell’edificio, che è un obbligo del Comune e va portato fino in fondo. Ma l’amministrazione comunale deve capite che non può consegnarlo alla gentrificazione e alla privatizzazione a suon di blitz simili a quello del 25 febbraio e i lavori vanno effettuati non in vista di tali obiettivi, con l’obiettivo di preservarne l’uso pubblico e sociale.
Pertanto, il civico 7, per sabato 9 marzo ha convocato un’assemblea cittadina per discutere di tutti questi argomenti, assieme al gruppo dei consiglieri della II Municipalità di Potere al Popolo, rappresentato da Chiara Capretti, a due esponenti della sinistra napoletana che si sono dimostrati, nel corso degli anni, particolarmente sensibili a tali tematiche, ovvero Sandro Fucito, Presidente della VI Municipalità, già Assessore al Patrimonio della giunta De Magistris, e Nicola Nardella, Presidente della VIII Municipalità, e , ovviamente, a tutti coloro tutti vorranno intervenire nel dibattito.
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